Dopo aver letto Senza salutare nessuno. Un ritorno in Istria, pubblicato nel 2019 da Laterza, e averne chiacchierato con Silvia dai Pra’ [QUI il link] ero impaziente di ri-leggerla. Ed eccomi esaudita: la scrittrice di origini toscane, che vive a Roma dove insegna, torna in libreria con un romanzo denso, vischioso, corposo, che ti si appiccica addosso e ti appartiene come le storie che riguardano persone a cui finisci per affezionarti e che senti di famiglia.

I giudizi sospesi (Mondadori) è, infatti, la storia di una famiglia, i Giovannetti, che vive nell’ombra della figura paterna, docente di filosofia al Liceo Classico della piccola cittadina di provincia, denominata con una serie di asterischi. Affascinante, colto, stimolante, brillante. Con lui Angela, professoressa di arte alle scuole medie, innamorata ciecamente del marito, goffa, distratta, messa completamente in ombra, tranne agli occhi del figlio minore, Felix, per il quale brilla come nessun’altra. Ma lui stesso è in ombra rispetto all’eccezionalità della sorella maggiore, Perla, ineguagliabile e irraggiungibile, sempre prima in tutto, nello studio o in qualsiasi prova si cimenti. Una famiglia della medio borghesia come tante, con quel pizzico di glamour e notorietà che la provincia regala nei suoi confini. Fino a quando nella loro vita irrompe James Tocci. Giacomo, per la precisione, ma preferisce James per non portare lo stesso nome di Leopardi.

Quattro rintocchi del tempo, come una campana inappellabile: 1998; 2005; 2015; 2023.

Quando la storia comincia Felix e Perla sono adolescenti, e i genitori nel pieno dello splendore della loro maturità. Sembrano una famiglia felice. E poi? o dovrei dire: e invece?

RISPOSTA: Credo che difficilmente oggi si possa usare il termine “famiglia felice” senza sentire subito soffiare il vento del sospetto – il secolo appena trascorso non ci ha insegnato a dubitare solo dei grandi sistemi, ma anche dei microcosmi, quelli dentro cui si proietta il mondo esterno, che è un mondo fatto di rapporti di potere. Rapporti di potere che, in controluce, si intravedono pure dentro questa famiglia: la madre – come molte donne della sua generazione – abbandona le sue aspirazioni e lascia che tutti i riflettori si puntino sul marito; il marito ripone eccessive speranze di riscatto sulla figlia maggiore; i “non-carismatici”, ossia Angela, la madre, e Felix, il figlio minore e voce narrante, vengono spesso ignorati, messi in secondo piano rispetto alle “leggende di casa”, Mauro e Perla.
Eppure, detto ciò, non credo che i Giovannetti possano essere definiti una famiglia disfunzionale. Assomigliano a molte famiglie della borghesia intellettuale della provincia italiana – coi loro errori, i loro limiti, i loro snobismi; ma non fanno errori così colossali per poter dire che si meritano la valanga che li travolge.

Ed è il sospetto ciò che mi ha colpito della voce narrante. Un sospetto che diventa introiezione e che si fa via via più fitto quando più si va avanti nella lettura.

Sospetto che tu con grande abilità tieni teso e vibrante per tutta la narrazione.

Tutta la tumultuosa vicenda di Mauro e Angela, Perla e Felix contornati da nonna e zii, amici e fidanzate, amanti e colleghi, nello scontro inesausto e ineludibile con James Tocci è raccontata da Felix ormai adulto che si rivolge direttamente ai lettori, con quella simpatia che nasce da chi si presenta con ironia e senza corazze, mostrandosi nudo e vero e reale e riconoscibile.

Ogni evento è filtrato dalla visione particolareggiata e frustrata di Felix, e da qui il sospetto che forse qualcosa gli sia sfuggito, che forse qualcosa che andava fatto non l’abbia previsto, che forse non ha capito o non ha saputo comprendere.

Ed è questa ottica che rende la storia del tuo romanzo così carica, vitale, tragica pur conservando i lati comici del racconto.

Perché Felix è l’unico della famiglia Giovannetti che poteva raccontarci I giudizi sospesi

RISPOSTA: Perché è l’unico che, fin dall’inizio, ha un’ottica parzialmente esterna al suo sistema familiare. Non è un cultore della cultura highbrow come Mauro e Perla, non è del tutto ammaliato dalla leggenda del padre come la madre – anzi, come giovane maschio di una diversa generazione, lo vede anche nelle sue piccolezze. Felix sa che la sua famiglia perfetta è piena di crepe, e sarebbe pienamente disposto a comprendere Perla nel suo desiderio di gettare all’aria la vita per lei così meticolosamente preparata: il cento e lode alla maturità, l’esame alla Normale di Pisa, un futuro da docente universitaria – lui sa bene che tutta la perfezione della sorella non può non nascondere un nucleo esplosivo. 

Ciò che non capisce, ciò che non capirà mai, è perché Perla decida di distruggere tutto per James Tocci; perché, dopo essere vissuta così a lungo all’ombra dei desideri paterni, si trovi un’altra ombra, ben più fosca, dietro cui nascondersi.

 Per dirla tutta, Felix non riuscirà mai nemmeno a capire se quella di Perla sia una vera e propria scelta, oppure se sia stata a tal punto manipolata, e destrutturata, e spaventata, e isolata, fino a non riuscire nemmeno più a ipotizzare un orizzonte di vita che non avesse il suo centro in James.

Le generazioni.

I giudizi sospesi nella complessità e composizione narrativa è anche un romanzo che si fa carico del confronto tra generazioni: quello pragmatico e costruttivo dei nonni, quello facilitato e intellettualistico dei genitori, e quello fluido e instabile dei figli.

A questi ultimi nel romanzo è dato il ruolo di protagonista attraverso la voce narrante di Felix e per la preponderanza delle vicende di Perla, che finiscono per attrarre e fagocitare come un buco nero quelle di tutti gli altri familiari.

Mi sono riconosciuta nell’adolescenza dei tuoi personaggi e nel tempo che li attraversa, nelle atmosfere di provincia, nei destini predestinati, nelle svolte inattese di un futuro sempre più incerto.

Siamo più o meno coetanee, e quindi posso ipotizzare che è il tuo mondo quello che racconti in termini di generazione e in termini di confronto generazionale.

Che cosa ti interessava che venisse fuori dei nostri tempi in una storia così fuori dal tempo come è quella di Perla su cui è incentrato I giudizi sospesi?

RISPOSTA: Mi interessava, probabilmente, il persistere di vicende come quella di Perla in una realtà ormai mutata, moderna, progressista.

La mia era la generazione in cui, quando ti dichiaravi femminista, venivi subito guardata male, percepita come una “nata-vecchia”, una fuori tempo massimo. Vivevamo una realtà che ci veniva raccontata in un modo e che poi, vissuta, era completamente diversa. Il leit-motiv era “le donne ormai hanno ottenuto tutto, che vogliono di più?” Che cosa assurda, a ripensarci! Legalmente lo stupro era punito più o meno come una bestemmia, ricevere molestie era considerata una cosa normale, le donne nei posti di potere erano sostanzialmente inesistenti, una ragazza si sentiva ripetere fino alla nausea “non essere così colta / spavalda / ribelle, che spaventi gli uomini!”, eppure ci veniva detto “ma che volete, ancora?” 

Parlando della mia generazione, quindi, penso che noi siamo quelle che abbiamo vissuto uno scontro con la realtà più vischioso, difficile da combattere, infido e manipolativo – non avevamo davanti a noi il muro del maschilismo compatto, da prendere in gruppo a martellate, come le donne della generazione precedente, né il femminismo era diffuso e accettato come oggi. 

Perla era la ragazza perfetta, ma quanto era fragile la sua perfezione? A quali modelli femminili poteva ispirarsi? Cosa poteva aspettarsi dall’amore una ragazza che aveva sempre visto le donne “ridursi a un satellite” dell’uomo che sposavano? James, secondo me, riesce a distruggerla perché va a colpirla proprio nel punto più debole: l’idea che una ragazza come lei poteva essere stimata, adorata, ma mai amata. Così, per essere apprezzata, lascia che lui le porti via tutto: un po’ come Gilbert Osmond in Ritratto di signora, James sembra provare un piacere perverso nell’appropriarsi non solo dei soldi e del tempo di Perla, ma di tutto ciò che lei voleva fare – cerca di ridurla a un animale impagliato, a un oggetto da collezione.

La storia di Perla avrebbe potuto essere ambientata nel 1950 o nel 2000, è vero: non siamo ancora riusciti ad affrontare con successo la violenza di genere, e vederla oggi forse fa ancora più male, perché le donne hanno altre aspettative, puntano più alto, e guardare quelle cadute è tremendamente doloroso. Del resto, ce lo dicono anche i dati: nel complessivo calo dei reati in Italia che abbiamo avuto dagli anni ’90 ad oggi, gli unici crimini che non accennano a diminuire sono gli omicidi di donne.

Un altro elemento che non mi sembra secondario nel romanzo è la provincia. Certe dinamiche relazionali come quella tra il professore Giovannetti e le sue alunne, solo per fare un esempio tra i molti che potrei proporre, esplicano la loro forza nei confini ingabbianti e rigidi della provincia, che come insegna il grande romanzo americano è anche il terreno più fertile per farle germogliare e seguirne nei minuti dettagli e con chirurgica precisione la crescita e l’evoluzione.

Il paese in cui Felix e Perla vivono non è mai nominato, ma anzi indicato con gli *** dell’impronunciabilità, e da quegli asterischi si sprigiona la forza detonante dell’universalità. Resa rimbombante anche per la vicinanza alla grande città, l’Urbe per antonomasia, Roma. Terreno più neutro e meno competitivo: in cui perdersi senza salvarsi.

Per quale motivo Silvia dai Pra’ ha scelto come punto di partenza privilegiato, seppure non unico, il paese di *** dove far vivere i Giovannetti e consumare il loro dramma familiare? cosa non sarebbe potuto accadere in una metropoli come Roma di quello che accade loro?

RISPOSTA: Credo che in una metropoli una storia come quella tra Perla e James sarebbe potuta avvenire in maniera sostanzialmente identica, ma sarebbe mancato lo sguardo altrui sulla caduta, “il coro”, chiamiamolo così, con cui la provincia assiste al tramonto dei suoi idoli.

La vita di provincia è, al contempo, più rassicurante di quella di città, ma possiede delle sfumature più crudeli, visto che lo sguardo altrui può essere spesso feroce – inoltre, induce a credere nell’universalità della propria “leggenda” – la più bella del paese, il più intelligente della scuola, il professore più famoso, la famiglia più ricca… – una leggenda che, invece, vive solo tra i confini ristrettissimi del proprio comune. 

È per questo che Felix ama così tanto Roma: perché lì nessuno (a meno di non appartenere a certi microambienti di un’alta borghesia molto provinciale) ti assegna un ruolo, una posizione in classifica, un podio o una corona. Non ti si fila nessuno, diciamola così. È quella che Felix chiama la “misericordia dell’indifferenza” delle grandi città, il che può sembrare un ossimoro, però, quando si arriva da un piccolo centro, quando si è capito quanto lo sguardo degli altri può essere crudele, si riesce a capire come a volte l’indifferenza possa essere pietosa.

Siamo arrivate con passo spedito all’ultima domanda. Ti sarai accorta che non ho voluto svelare nulla della trama, perché il tuo romanzo è così immersivo per il lettore, che non posso togliergli il piacere di incontrarsi e scontrarsi con i tanti eventi, accidenti, ripensamenti e catastrofi che accadono ai personaggi, in una linea così ben tenuta e stretta di cause e conseguenze, talune sorprendenti, altre irritanti, altre ancora incomprensibili come nella vita vera, in cui vediamo amici e familiari sbagliare e ri-sbagliare senza riuscire a bloccare la concatenazione nefasta che li sta trascinando nel baratro, gli uni dietro gli altri. 

Quello che accade a Perla incide profondamente su tutti: i genitori, il fratello, la zia Toni e la cugina Ines, la nonna, e buona parte della comunità di provincia in cui i Giovannetti sono integrati, amati e anche invidiati.

Ma forse per concludere dobbiamo rivolgerci a lui: James Tocci. Alla sua nullità come personalità eppure capace di suscitare una forza attrattiva, pur essendo repulsivo e irritante. Credo che sia il personaggio più complesso ed enigmatico che si muove tra le pagine. Quello che hai costruito con più inedito e sapiente equilibrio. Troppo facile renderlo l’orco delle favole, il cattivo mostruoso. E invece tu hai disegnato un essere banale, che però riesce a fare del male, coscienziosamente e volutamente, senza avere mai la minima remora etica e il più piccolo rimpianto.

Chi è James Tocci?

RISPOSTA: Quando ho cominciato la stesura del libro mi sono interrogata spesso su come costruire il personaggio di James – che è un individuo difficile da definire, se lo chiamiamo “il cattivo” ci sentiamo subito dentro un cartone animato, forse dovremmo usare termini più specifici – narcisista maligno, ad esempio – o magari rispolverare la vecchia figura della femme fatale, la manipolatrice che entra nella vita altrui per approfittarsene e distruggerla, e declinarla al maschile, homme fatal – una categoria letteraria che a mio parere ha il suo rappresentante più alto in Osmond di Ritratto di signora.

Per un istinto che abbiamo fin dall’infanzia – il vecchio gioco di guardie e ladri, in cui nessuno voleva mai fare la guardia – tendiamo a proiettare troppe aspettative sui cattivi, ad attribuirgli un fascino che spesso non hanno: non serve avere particolari qualità intellettive per ridurre gli altri a delle marionette, basta conoscere i tasti da toccare per manipolarle, e farlo senza remore, riserve o sensi di colpa.

Le persone che non si sentono in colpa per il dolore causato agli altri sono pericolosissime, del resto, sono i veri psicopatici, anche se magari non si presentano come tali.

Quindi, all’inizio, ho volutamente introdotto il Tocci come un mezzo scemo, uno che gli altri membri della famiglia possono credere di poter gestire, anzi, di “raffinare”, rendendolo più simile a loro, senza capire che lui sta già trasformando Perla: ad esempio, gioca con la sua competitività contrapponendola a un esercito di altre donne, e, tra le altre donne, c’erano anche le sue amiche, così lei si ritrova isolata da tutti.

In tutto il libro noi sottovalutiamo il Tocci, perché è superficiale, pigro, inconcludente, velleitario, senza renderci conto di come stia destrutturando l’intero universo di Perla: la sua stessa famiglia non lo riesce a capire fino in fondo, accusa Perla per ciò “che si lascia fare”, senza capire che ormai lei non è più nessuno, che tutto ciò che la tiene in piedi ormai è lo stesso rapporto che la divora.

Tanto che, in fin dei conti, non sappiamo nemmeno del tutto perché lei resta con lui: per dipendenza, per sindrome della crocerossina, per testardaggine, oppure perché ha paura? Il Tocci è lo stupido, bugiardo narciso che avevamo visto entrare in scena all’inizio, o è una persona feroce e pericolosa di cui tutti devono avere giustamente timore? Perla resta con lui per una brutta concezione dell’“amore” – che metto volutamente tra virgolette – o perché ha paura di ciò che potrebbe accadere a lei e a tutti gli altri?

Chiacchierando (per la seconda volta) con… Silvia Dai Pra’
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