Caroline Bongrand è una sceneggiatrice cinematografica francese, che con il film Eiffel diretto da Martin Bourboulon ha ottenuto una fama internazionale, e autrice di numerosi saggi e romanzi. Mi confronto con lei dopo aver letto il nuovo romanzo, pubblicato nella traduzione italiana di Francesca Bononi per Marietti1820. Il titolo originale del romanzo è Les Présences divenuto in italiano Tracce.

Che cosa crede che si sia aggiunto e cosa si sia perso per ciò che si racconta nel romanzo nel passaggio da Les Présences a Tracce?

RISPOSTA: Una traccia può essere una cosa che appartiene soltanto al passato, mentre Les Présences evoca qualcosa del presente, di ora. In realtà, il finale del libro si trova tra i due, o si compone dei due, ci sono delle presenze e ci sono delle tracce. Il titolo italiano mi sembra ottimo!

Prima di addentrarci nel vivo della vicenda del romanzo, volevo un suo commento sull’esergo che accoglie i lettori e le lettrici del libro, tratto da Gioconda di Nìkos Kokàntzis: Le persone muoiono solo quando le dimentichiamo. A lettura ultimata del romanzo, capisco perfettamente cosa voglia dire e che valenza abbia nell’economia della narrazione, ma posto lì per chi si accinge a leggere e ancora non conosce ciò che accadrà nelle pagine qual è l’aspettativa che voleva creare?

RISPOSTA: Non desidero creare nessuna aspettativa, ma soltanto interpellare i lettori sul dovere che abbiamo, noi che siamo vivi, verso i morti, che sono inevitabilmente una parte di noi. Credo che quando si pensa a qualcuno, stranamente, lo si mantiene vivo. Non il suo corpo, non si può niente contro quello, che è effimero, ma la sua anima, che vive, da qualche parte. Gli si testimonia in questo modo il nostro rispetto e il nostro amore.

I bambini hanno un ruolo predominante in Tracce, che si apre con un prologo che ci porta in un luogo sconosciuto che sarà svelato solo nel corso della vicenda, sulle orme di Sveva e Nissim e della loro rocambolesca, quanto tragica fuga, che porterà l’uno in salvo e l’altra in rovina, e prosegue con un balzo temporale presentandoci il piccolo Milo, di dieci anni, che non parla. Non è muto, solo incapace di parlare. Nessuno e niente spiega il motivo di questa incapacità. Che ruolo gioca l’infanzia in Tracce

RISPOSTA: L’infanzia è l’avvenire del mondo. Sempre. L’infanzia è quel che porta tutto nel mondo di domani. L’infanzia è anche la purezza dei sentimenti, il cuore senza calcolo, gli slanci spontanei, la verità, la gioia semplice. L’infanzia è questa ingenuità magnifica, e questa idea secondo la quale il male è male e il bene è bene. Non ci sono ideologie, politica, propaganda. L’infanzia dovrebbe farci da bussola quando da adulti ci perdiamo, indicarci verso dove dovremmo andare. La gioia, la bontà spontanea, la verità semplice, e anche, ma qui sto uscendo dal mondo del libro, la capacità naturale di meravigliarsi. Credo che il solo modo per avere una vita adulta riuscita sia di conservare dentro di sé questa parte dell’infanzia, anche se talvolta ci rende profondamente infelici. Noi siamo anche il bambino che è dentro di noi, e forse dovremmo ascoltarlo più spesso, questo bambino.

Tracce è un romanzo che scorre su due binari: quello tragico della Storia e quello leggero della commedia, imperniata sull’amicizia tra due donne, Valentine, la madre di Milo, separata dal marito, illustratrice, che sollecitata da strani e inspiegabili atteggiamenti del figlio si metterà alla ricerca delle proprie radici familiari, e Jen, anche lei single ma per scelta, legata a Valentine da un profondo affetto. La vita, proprio quando meno se lo aspettano, regalerà loro una grande sorpresa. Ci presenta queste due donne e cosa le lega?

RISPOSTA: Quello che lega le due donne è un’amicizia semplice, quotidiana, Jen è l’amica con cui Valentine può confidarsi, sapendo che non ci sarà mai un giudizio ma soltanto del sostegno, della tenerezza, dell’incoraggiamento. Una vera amica è qualcuno che comprende le nostre parole e i nostri silenzi, senza chiederci di più, che ci vuole bene qualunque sia la situazione in cui ci troviamo. Jen è quest’amica fantastica, e così piena di energia. E inoltre, credo che non ci sia amore senza prova d’amore e amicizia senza prova di amicizia. Jen dà questa prova a Valentine scegliendo di accompagnarla a Salonicco. Nonostante tutto. L’amicizia è così preziosa. E volevo mostrare un’amicizia semplice, forte, sincera, attraverso i fatti.

Da Parigi a Salonicco. Un viaggio percorso sui ritmi lenti delle rotaie, come poteva essere stato affrontato nel Novecento da una figura emblematica e sfuggente, che sembra ossessionare Valentine: la prima moglie del bisnonno, greca ed ebrea. Valentine, Milo e Jen vivranno giorni indimenticabili nella città greca, in cui la spensieratezza della vacanza, la bellezza dei paesaggi e la squisitezza dei cibi si intrecciano con la tragicità della Storia che ha segnato la città e la comunità ebraica che ne era parte integrante. Come è arrivata a Salonicco, invece, Caroline Bongrand?

RISPOSTA: Nel 2004 ho pubblicato un romanzo di 500 pagine su Istanbul nel XVIImo secolo, e soprattutto sulla comunità ebrea locale, di origine prevalentemente spagnola. Quando facevo le mie ricerche per questo libro ho incontrato delle persone le cui origini risalivano all’impero ottomano. Alcuni mi hanno parlato di Salonicco. Questo nome, Salonicco, mi sembrava misterioso, come una città sommersa. Ma non mi sono veramente interessata a questo se non qualche anno fa. Con mia grande sorpresa, nel 2018 mia madre, prima di morire, mi ha comunicato che aveva una bisnonna che veniva da Salonicco. Da parte di mia madre vengo da una famiglia ebrea italiana che si era stabilita in Tunisia verso il 1700. Il mio test del DNA dichiara che sono al 30% italiana! E quindi, come un’imboscata, c’era un po’ di Salonicco. Tutto questo ha fatto la sua strada e alla fine ho scritto questo libro. Che, non vi dico tutto, ma è legato alla mia storia personale. Niente va perduto. Le nostre intuizioni non sbagliano mai. Dobbiamo saperlo.

Valentine con perspicacia e determinazione scoprirà e disegnerà finalmente l’albero genealogico della famiglia paterna, che si innesta nelle pagine più buie e violente del Novecento. Nella scrittura si è ispirata a qualche fonte storica o famigliare determinata o ha potuto di più l’invenzione?

RISPOSTA: La storia di Valentine assomiglia molto alla storia della mia famiglia. Ufficialmente vengo da una famiglia protestante del centro della Francia. Dopo che ho compiuto i 15 e poi i 18 anni scopro tutt’altro. Ebrea italiana, appunto, e poi ci sono anche Praga e Salonicco. Sono affascinata dal modo in cui le storie famigliari spariscono, e questo succede molto più spesso di quanto immaginiamo. Capisco molto bene questo bisogno di assimilazione. Ma immaginatevi quanto sia sconcertante scoprire un antenato rabbino di Venezia, per esempio, di secoli fa. Tutte queste cose mi perseguitano da 40 anni. Chi siamo? Nessuno ha potuto evitare le migrazioni, gli esili, gli sconvolgimenti, gli strappi. Soltanto, questa storia non è stata scritta. Non sappiamo niente di niente, ma restano delle tracce, strane e inquietanti. È un filo da ripercorrere. Per quel che mi riguarda, il lavoro di una vita.

Anche Jen porta nel sangue la storia tragica di un popolo, quello armeno. Sottilmente voleva creare un legame tra questi due popoli, quello greco-ebraico di Valentine e quello armeno per Jen, attraverso l’amicizia tra le due donne?

RISPOSTA: Gli Armeni hanno vissuto dei periodi di sterminio abominevole, e dei periodi di fioritura. Hanno molto in comune con il popolo ebreo. Sono come fratelli e sorelle di destino. Ho un’amica armena, siamo sulla stessa lunghezza d’onda: sempre in allerta, sempre lucide, e desiderose di celebrare la vita senza aspettare. Chissà cosa succederà domani. Due popoli che hanno in comune l’amore per la vita, proprio perché sanno che non è mai garantita.

Le voci del passato che prendono corpo nel presente sono un elemento narrativo di forte impatto nel romanzo e rendono incisivo il tema della memoria. Da dove ha attinto questa idea?

RISPOSTA: Non saprei. Non so sempre analizzare quello che scrivo. Ma credo che il corpo sia un veicolo per le tracce. Il corpo esprime delle cose, alle volte troppo pesanti, ereditate, e non si sa nemmeno da chi o da che cosa! Forse quando si hanno 20 anni bisognerebbe fare una terapia transgenerazionale per liberarsi di quello che non ci appartiene. Siamo così fatti di quelli che ci hanno preceduto, del loro vissuto… bisognerebbe conservarne il meglio!

Il romanzo è ricco di colpi di scena, personaggi, cambi di scenari ed eventi sorprendenti. La scrittrice ha chiesto l’aiuto della sceneggiatrice cinematografica o sono due scritture che non si incontrano mai?

RISPOSTA: Sono due entità che non si incontrano MAI. E la loro relazione non è necessariamente armoniosa. I miei romanzi attingono al fondo del mio cuore, della mia anima, vorrei dire che sono la mia carne e il mio sangue. Una sceneggiatura è soprattutto un esercizio di costruzione, abbastanza razionale, in cui molto presto si è obbligati a imbrigliarsi, per tutta una serie di ragioni. Quindi mi esprimo pienamente nei miei libri, soltanto nei miei libri.

Il romanzo si conclude con un’interrogativa, una domanda che Valentine rivolge a Milo:

Non dobbiamo dimenticare, è questa la cosa più importante, capisci, tesoro mio?

Io la giro alla scrittrice: l’abbiamo capito?

RISPOSTA: Dimenticarsi da dove si viene, come individui, come famiglia, come popolo, è la fine, la fine di tutto. Noi siamo da dove veniamo. Siamo quelli che ci hanno preceduti. Se si dimentica questo, si è senza storia, senza radici… si diventa nessuno.

Qui in calce lascio la traduzione in francese per dare un tocco di internazionalità al blog!

Le titre original de vôtre roman, qui a eté traduit en italien comme “Tracce” par Francesca Bononi, est Les Présences. Qu’est que vous pensez que a eté ajouté, et qu’est que a eté perdu, dans ce passage?

Une trace peut être quelque chose qui appartient seulement au passé, alors que Les Présences évoquent quelque chose de présent, maintenant. En verité, le fond du livre se trouve entre les deux, ou composé des deux, il y a des présences, et dest races. Le titre italien me convient donc très bien!

Avant de entrer dans le vif des évenements du roman, j’aimerais bien d’avoir vôtre commentaire sur l’exergue qui accueille les lectrices et les lecteurs du livre, pris de Gioconda par Nìkos Kokàntzis: “Les personnes meurent seulment quand on les oublie.” J’ai très bien compris ce que ça voulait dire e son valeur le long de la narration, mais pour ceux qui commencent à lire et ne savent rien de ce qui ce passera dans les pages à suivre, quel type d’attente voulez vous créer?

Je ne souhaite pas créér aucune attente, mais simplement interpeller le lecteur sur le devoir que nous avons, nous, les vivants, sur les morts, qui sont, inévitablement, une partie de nous. Je crois que tant que l’on pense à quelqu’un, étrangement, on le maintient vivant. Pas son corps, non, on ne peut rien contre cela, c’est éphémère, mais son âme, qui vit, quelque part. On lui témoigne ainsi de notre respect et de notre amour.

Les enfants ont un rôle prédominant dans Tracce. On commence par le prologue, que nous amène dans un lieu inconnu qu’on découvrira seulment au cours des évenements, sur les traces de Seva et Nissim et de leur rocambolesque et tragique enfuite, à la fin de laquelle un des deux seulment sera sauvé. Et on continue avec un saut temporel et le petit Milo, qui a dix ans et ne parle pas. Il n’est pas muet, seulment il ne parle pas. Personne ne peut expliquer cette incapacité. Quel rôle à donc l’enfance en Tracce?

L’enfance, c’est l’avenir du monde. Toujours. L’enfance, c’est ce qui porte tout dans le monde de demain. L’enfance, c’est aussi la pureté de sentiments, le coeur sans calcul, les élans spontanés, la vérité, la joie simple. L’enfance c’est cette naiveté magnifique, et cette idée selon laquelle le mal est mal et le bien est bien. Il n’y a pas d’idéologie, de politique, de propagande. L’enfance, c’est ce qui devrait nous aiguiller sur la manière dont nous autres, adultes, avons pu nous égarer, et vers quoi nous devrions tendre. La joie, la bonté spontanée, la vérité simple et aussi évidemment, mais je sors du cadre du livre, la capacité naturelle de l’émerveillement. Je crois que la seule manière d’avoir une vie d’adulte réussie, c’est d’avoir préservé en soi cette part d’enfance, même si parfois elle peut nous rendre profondément malheureux. Nous sommes aussi l’enfant en nous, et nous devrions peut-être écouter cet enfant plus souvent.

Tracce est un roman qui court sur deux voies: celle tragique de l’HIstoire et celle légère de la comedie, qui pivote sur l’amitié de deux femmes, Valentine, la mére de Milo, séparée du mari, illustratrice, qui, sollicité par des bizarres et unexplicables comportaments du fils se met à la recherche de ses racines familiales, et Jen, qui est aussi single mais par choix, liée à Valentine d’une profonde affection. La vie, quant on ne se l’attende pas, donnera leur des grandes surprises. Est que vous pouvez nous dire plus à propos de ces femmes et de ce que le lie?

Ce qui lie ces deux femmes, c’est une amitié simple, quotidienne, Jen, c’est l’amie auprès de laquelle Valentine peut se confier, elle sait qu’il n’y aura jamais de jugement, seulement du soutien, de la tendresse, des encouragements. Une véritable amie, c’est quelqu’un qui comprend nos paroles comme nos silences, sans nous en demander plus, qui nous aime, quelque soit l’état ou la situation dans lesquels nous nous trouvons. Jen est donc cette amie fabuleuse, et si pleine d’énergie. Et aussi, je crois qu’il n’y a pas d’amour sans preuves d’amour ou d’amitié sans preuve d’amitié. Jen prouve tout cela à Valentine en choisissant de l’accompagner à Salonique. Notamment. L’amitié c’est si précieux. Je voulais montrer une amitié toute simple, forte, sincère, dans les actes.

De Paris à Thessalonique. Un voyage parcours avec les rythme du XXe siècle par le personnage emblematique et insaisissable que parait obsessioner Valentine: la première femme de son arrière grand père, greque et juive. Valentine, Milo et Jen vivrons des jours inoubliables dans la ville grècque, où l’insousiance de la vacance, la beauté des paysages, la délicatesse de la cuisine s’entrelacent avec la tragicité de l’Histoire que a marquée la ville et la communauté juive qui en était partie intégrante. Comment ètes vous arrivez à Salonicco, vous Caroline Bongrand?

En 2004 j’ai publié un gros roman de 500 pages sur Istanbul au XVIIème siècle, et notamment la communauté juive, d’origine surtout espagnole, locale. Quand je faisais mes rechercherches sur ce livre j’ai rencontré des gens avec des origines dans l’ancien empire ottoman. Certains m’ont parlé de Salonique. Ce nom, Salonique, me semblait bien mystérieux, comme une cité engloutie. Mais je ne m’y suis vraiment intéressée qu’il y a quelques années. A ma garnd surprise, en 2018, ma mère, avant de mourir, m’a annoncé qu’elle avait une arrière grand mère qui venait de Salonique. Je viens du côté de ma mère d’une famille juive italienne installée vers 1700 en Tunisie. Mon test adn dit que j’ai 30% d’Italie! Et donc, en embuscade, il y avait un peu de Salonique. Cela a fait son chemin, et j’ai écrit ce livre. Qui, oui, je ne vous raconte pas tout, est lié avec mon histoire personnelle. Rien ne se perd. Nos intuitions ne se trompent pas. Il faut le savoir.

Valentine, avec perspicacité et détermination decouvrira et dessinera finalement l’arbre genéalogique de la famille du coté de son père, qui se greffe entre les pages les plus sombres et les plus violentes du XXe siècle. Dans cette écriture, vous vous ètes inspirée à des preciese sources historiques ou familières, ou bien y a eu beaucoup d’invention de votre partie?

Cela ressemble beaucoup à l’histoire de ma famille. Je suis censée venir d’une famille protestante du centre de la France. Depuis que j’ai 15 ans, 18 ans, je ne cesse de découvrir autre chose. Juive italienne, notamment, et il y a aussi Prague, et Salonique. Je suis fascinée par la manière dont les histoires familiales disparaissent, et cela arrive plus qu’on ne croit. Je comprends très bien le besoin d’assimilation. Mais découvrir un ancêtre ancien rabbin de Venise, par exemple, il y a des siècles, comprenez que ce soit troublant. Tous ces sujets me hantent, depuis 40 ans. Qui sommes-nous? Personne n’a échappé aux migrations, aux exils, aux bouleverseements, aux arrachements. Seulement l’histoire n’a pas été écrite. Nous ne savons rien de rien, mais il reste, justement, d’étranges et troublantes traces. C’est un fil à remonter. En ce qui me concerne, le travail d’une vie.

Jen aussi a dans son sang l’histoire tragique d’un peuple, celui des Arméniens. Peut être vous aviez l’intention de créer un lien entre ces deux peuples, le grecq-juif de Valentine et l’arménien de Jen, à travers l’amitié des deux femmes?

Les Arméniens ont vécu des périodes d’extermination abominables, et des périodes florissantes. Ils ont beaucoup en commun avec le peuple juif. Ce sont des frères et des soeurs de destin. J’ai une amie arménienne, nous sommes sur la même longueur d’ondes: toujours en alerte, toujours lucides, et voulant toujours célébrer la vie, sans attendre. Qui sait de quoi demain sera fait. Deux peuples qui ont en commun l’amour de la vie, précisément parce que celle-ci n’est jamais garantie.

Les voix du passé qui prendent du corps au présent sont un élement narratif de grand impact dans le roman et ils rendent très incisif le thème de la mémoire. D’où est que vous avez pris cette idée?

Je ne sais pas. Je ne sais pas toujours analyser ce que j’écrit. Mais je crois que le corps est un véhicule pour les traces. Le corps exprime des choses, parfois trop lourdes, héritées, et on ne sait même pas de qui, de quoi! Il faudrait peut-être vers l’âge de 20 ans faire une thérapie transgénérationnelle pour se débarrasser de ce qui ne nous appartient pas. Nous sommes tellement constitués de ceux qui nous ont précédés, de leur vécu…Il faut en garder le meilleur? Et aller bien!

Vôtre roman est plein de rebondissements, personnages, changements de scenario et èvenements surprenants. Caroline ècrivaine a-t-elle demandé l’aide de Caroline scénariste, ou bien elles sont deux entitées separées que ne se rencontrent jamais?

Ce sont deux entités qui ne se rencontrent JAMAIS. Et leur relation n’est pas forcément harmonieuse. Mes romans sont le fond de mon coeur, de mon âme, j’ai envie de dire, ma chair et mon sang. Un scénario, c’est surtout un exercice de construction, assez rationnel, dans lequel assez vite on est obligé de se brider, pour tout un tas de raisons. Donc je m’exprime, pleinement, dans mes livres, seulement dans mes livres.

Le roman se termine avec une question, que Valentine pose à Milo:

“Nous ne devon oublier, ça c’est la chose la plus importante, tu comprend, mon amour?”

Je pose la question à vous: est que nous l’avon compris?

Oublier d’où l’on vient, en tant qu’individu, en tant que famille, en tant que peuple, c’est la fin, de tout. Nous sommes d’où nous venons. Nous sommes ceux qui nous ont précédés. S’il on oublie ça, on est un être sans histoire, sans racine, rien, on devient…personne.

Chiacchierando con Caroline Bongrand