Nel nuovo libro di Michela Monferrini per Ponte alle Grazie, la scrittura e lo spazio che una donna riserva alla scrittura, il valore e l’attenzione alla vocazione di scrittrice sono cardinali, incistati nella vita di una grande scrittrice del Novecento: Alba de Céspedes.

Prima di addentrarci nella vita favolosa della scrittrice di origine cubana, mi vorrei fermare nello spazio (che mi piace più di stanza, come è invece di consueto tradotto il termine room del celebre, e imprescindibile, saggio di Virginia Woolf) di Michela Monferrini.

Come sei arrivata alla scrittura? e quale spazio occupa nella tua vita?

RISPOSTA: Sono arrivata alla scrittura dall’amore per la lettura. Sono stata, e sono, anzitutto una lettrice. Ma da bambina il passaggio dalla lettura alla scrittura (di storie, di temi, di quel che capitava o facevo capitare) è stata semplice, spontanea e naturale. Direi anche piuttosto precoce, per cui mi è impossibile dire qual è stato il momento in cui ho iniziato a scrivere. So però che alcuni libri dell’infanzia mi hanno fatto pensare: io vorrei poter fare questa cosa qui, mettere in fila le parole in questo modo sino ad arrivare a comporre una storia che altri, altre, non vedono letteralmente l’ora di leggere, magari facendo tardi a letto come facevo io, con una lucetta clandestina… Ecco, forse un primo libro che mi ha fatto provare questa sensazione è stato Ascolta il mio cuore di Bianca Pitzorno, e da lì tanti altri che mi sarebbe impossibile elencare. 

Dopo aver pubblicato, e sino a oggi, un oggi che vede tante cose cambiate nella mia vita e soprattutto il fatto di essere diventata madre, lo spazio della scrittura è ancora questo: vive grandi periodi di latenza, poi scatta quando sento che le parole si stanno mettendo in fila nel modo giusto, e che quella determinata storia la voglio, la devo proprio raccontare. Allora diventa urgenza, necessità. Si scontra sempre un po’ con le tante tessere di cui ogni giornata si compone, ma è uno spazio che difendo bene. Magari lo abito in modo disordinato, ma allo stesso tempo anche tenace. 

Il bellissimo titolo del tuo romanzo, Dalla parte di Alba, riecheggia e gioca con uno dei titoli della scrittrice di cui tracci la biografia romanzata: Dalla parte di lei, pubblicato per la prima volta nel 1949.

È anche il titolo con il quale hai incontrato la scrittrice novecentesca? O il gioco allusivo scelto per il tuo titolo si riferisce ad altri elementi fondamentali che volevi sottolineare e che ti hanno guidata nell’approccio alla vita e alla poetica di Alba de Céspedes?

RISPOSTA: Alba de Céspedes era presente nella libreria di mia madre con due opere: Dalla parte di lei e Quaderno proibito. Dunque posso dire che ho conosciuto la scrittrice attraverso questo romanzo. De Céspedes non mancava di sottolineare che dalla parte di lei non significava stare dalla parte morale della protagonista, ma soprattutto sottolineare un aspetto formale del libro: la storia è infatti narrata dal personaggio di Alessandra in prima persona, il lettore si trova letteralmente ad osservare gli eventi stando accanto alla protagonista.

Nel mio libro si incontrano diversi personaggi che hanno fatto parte della vita di de Céspedes, familiari, amici, donne e uomini di lettere. Il titolo Dalla parte di Alba naturalmente allude al romanzo del 1949, ma vuole essere anche un invito a considerare il fatto che spesso, nella sua vita, Alba ha sentito di avere bisogno di qualcuno che stesse dalla “sua parte”, e il più delle volte – persino quando la sponda avrebbe potuto e dovuto essere sua madre – questo appoggio le è mancato.

Hai scelto di raccontare la vita di Alba de Céspedes con uno slittamento temporale: tra un presente narrativo che racconta una lunga e reiterata intervista fatta di appuntamenti successivi tra una giovane studentessa di Lettere di Paris IV, Léna, con la scrittrice ottantenne, a partire dall’inverno del 1990; e il racconto della vita della scrittrice sull’onda dei ricordi e delle suggestioni che questi incontri suscitano in lei, riaffioranti come fantasmi.

Questo gioco temporale è motivo di grande fascino nelle pagine e crea una forte empatia nella lettura per la scrittrice. È come se la rendesse più viva e autentica nell’offrirsi all’ammirazione della studentessa e al desiderio di scavare nella sua vita e nella sua poetica. Mi è sembrata di essere testimone e partecipe della relazione che si crea tra le due donne e gli accenni che affiorano delle loro vite nel loro svolgersi nel presente del racconto.

Ci presenti Léna con le caratteristiche che hai voluto regalarle e con le intenzioni dalle quali è nata? Le hai regalato qualcosa di te, oltre immagino al desiderio di incontrare Alba de Céspedes?

RISPOSTA: Léna è l’unico personaggio davvero di finzione del libro. Studia Lettere, ma vuole anche scrivere, il che emerge a un certo punto dagli incontri tra le due. 

Léna fa l’esperienza che ogni aspirante scrittore tenta di fare o dovrebbe tentare di fare: avvicinare i maestri, conoscerli per cercare di carpirne il segreto o anche soltanto per mettere un piede nella loro “officina” (quella reale e quella ideale). Rappresenta il vecchio topos, l’incontro tra il vecchio e il giovane, tra il maestro e l’allievo, tra il passato e il futuro. Le ho affidato questo ruolo perché fosse per me il pretesto per parlare, nel libro, di scrittura, di scelte narrative, di forme della narrazione. E poi le ho prestato certamente qualcosa di mio, anche se non ho mai pensato che mi sarebbe piaciuto conoscere Alba de Céspedes. Mi spiego meglio: chiaramente è così, ma quando finisci il lavoro su una biografia hai quasi la sensazione di averla conosciuta davvero, la persona che hai raccontato, e pur nella consapevolezza di aver dato la tua interpretazione, la tua lettura, non puoi pensare di aver lasciato “fuori” troppo di vero. No, di mio, Lèna ha qualcos’altro: la curiosità per quell’officina di cui ho detto, l’ambizione di scrivere, certi momenti di imbarazzo, il timore di non fare o dire le cose nel modo giusto… e persino una figlia piccola! Mentre scrivevo Dalla parte di Alba mia figlia, di pochi mesi, si è introdotta così tra le pagine di quello che stavo facendo.

La scrittrice del presente narrativo di Dalla parte di Alba è un’ottantenne che vive a Parigi, chiusa nel suo appartamento, circondata dai libri minacciati dai tagliaforbici. Ma il romanzo si apre immerso nel ricordo della scrittrice, che si vede bambina, negli anni dieci del Novecento, nella casa romana dove è accudita dalla zia, “abbandonata” dai genitori: il padre era un diplomatico e la madre lo seguiva nelle sue missioni. Una bambina che ama avere la febbre perché in quei momenti le è concesso di leggere nella sua stanza senza essere disturbata.

A collegare i due momenti la solitudine, un certo senso di abbandono e di incomprensione che forse hanno segnato l’esistenza di Alba, anche nei momenti più fulgidi.

Cosa ti premeva sottolineare della scrittrice e della donna scegliendo di mostrarci la sua intimità quotidiana sei anni prima della morte? E cosa introducono il ricordo, la riesumazione del passato, l’assecondare i fantasmi della vita, nel racconto biografico che la scrittrice fa di sé nelle pagine del romanzo?

RISPOSTA: Descrivere una Alba ottantenne, non più giovane, non più benestante, non più soprattutto amata, letta, tradotta come un tempo, mi permetteva di mostrare l’intero itinerario della sua vita, una parabola che ha attraversato un secolo e che l’ha vista cambiare continenti, status sociale, situazione economica; che l’ha vista raggiungere il più alto punto della sua carriera per poi essere quasi dimenticata, come succede a molti scrittori, come è successo a moltissime scrittrici del secolo scorso. Quella che apre la porta all’inizio del libro è una donna anziana che si emoziona quasi per la visita di una giovane, che si sente di nuovo considerata, apprezzata. Io credo che questa componente di desiderio di essere ancora presenti sulla scena ci sia sempre, nell’incontro tra i maestri e gli allievi. Voglio dire che credo che non soltanto il maestro dà all’allievo, ma riceve anche molto in termini proprio sentimentali, umani.

E poi, a proposito della tua ultima domanda, metterla in scena in quel momento della vita significava avere il pretesto per far raccontare la sua esistenza direttamente da lei, sebbene il racconto sia in terza persona.

Ed è stata la terza persona che cambia registro tra i capitoli in cui rappresenta Alba ottantenne e quella più introspettiva e partecipe che racconta il passato a conquistarmi e credo rappresenti la voce più pura e la riuscita più pregnante del romanzo. Un’immersione profonda, ottenuta attraverso la scelta della terza persona, tra distanza critica dal personaggio e immersione totale nella sua anima, oltre che nella sua vita.

Per concludere questa nostra piacevole e illuminante chiacchierata, ritorno al titolo: che cosa vuol dire oggi essere dalla parte di Alba?

RISPOSTA: È un titolo nato redazionalmente. Io avevo pensato a Torneremo col vento dell’uragano, che è una frase legata a una leggenda cubana che torna nel libro, ma infine è stato giusto questo suggerimento della mia editor, Cristina Palomba, anche perché riprendere direttamente il titolo dell’opera più nota di Alba de Céspedes significa dare un’indicazione chiara al lettore.

Riguardo a Dalla parte di lei, Alba teneva a specificare che quel titolo evidenziava una scelta formale del suo romanzo: la storia è infatti narrata in prima persona dalla protagonista Alessandra, dunque è tutto visto dalla parte di lei. Potrei dire lo stesso, dato che come abbiamo già detto l’esistenza di de Céspedes è narrata indirettamente dalla stessa Alba. Ma stare dalla parte di Alba significa anche stare in una posizione che poche persone hanno davvero occupato mentre lei era in vita. Credo sia stata spesso lasciata sola, e questo le è capitato tanto in famiglia quanto nelle sue storie d’amore e – soprattutto – nel mondo editoriale e letterario. 

Stare dalla sua parte significa anche stare dalla parte di quelle scrittrici del Novecento che sono state rimosse, che sono sommerse, introvabili, illeggibili. In questo senso, è anche una necessaria indicazione politica.

Chiacchierando con Michela Monferrini