di Andrea Cabassi

IL FLANEUR DEI BINARI

Recensione al libro di Marino Magliani

Il bambino e le isole (un sogno di Calvino) (66thand2nd)

Ci sono libri di cui è difficile parlare perché non si trovano le parole per dirli, perché non si trovano le parole giuste per raccontarli. Sono libri di rara bellezza, libri che descrivono spesso i luoghi dell’anima del lettore/recensore, che gli evocano epoche della vita ormai passati, l’adolescenza, la giovinezza. Ma la bellezza di questi libri  non sta solo nella loro potenza evocativa. Sta nello stile di scrittura, sta nella struttura narrativa. Sta nella compenetrazione di tutti questi aspetti.

Uno di questi libri è “Il bambino e le isole (un sogno di Calvino) (66thand2nd, 2023) di Marino Magliani che mi proverò a recensire malgrado tutte le difficoltà descritte qui sopra. 

Per chi non avesse letto le mie precedenti recensioni ai libri di Marino Magliani riporto una breve nota bio-bibliografica sull’autore.

Marino Magliani è uno dei più importanti scrittori italiani, traduttore dallo spagnolo, con Paolo Ciampi e Luigi Preziosi cura la collana di narrativa “Senza rotta” per Arkadia editore; sempre con Paolo Ciampi dirige la collana “Appenninica” per Tarka editore

Nei suoi testi, da “Prima che te lo dicano gli altri” (Chiarelettere. 2018), a “Il collezionista del tempo” (Sironi 2007),  a “Carlos Paz e altre mitologie private” (Amos edizioni. 2016), passando per “L’esilio dei moscerini danzanti giapponesi” (Exòrma. 2017) e“ Il cannocchiale del tenente Dumont”, (L’Orma 2021),  inserito fra i dodici testi candidati al Premio Strega 2022, ha sempre affrontato il tema delle origini, delle radici, il senso dell’espatriare e dell’esilio, lui che è nato nell’estrema propaggine occidentale della Liguria, ha vissuto in Argentina e oggi vive tra la Liguria  e la costa olandese.

La sua ultima opera, prima de “Il bambino e le isole (Un sogno di Calvino), è stato “Peninsulario” (Italo Svevo 2022), una raccolta di racconti ambientati nell’entroterra ligure.

Di cosa parla “Il bambine e le isole” (un sogno d Calvino)”? Un cenno alla trama.

Nel crepuscolo della sua esistenza giunge a Sanremo Walter Benjamin. Ha con sé pochi bagagli e una valigia di libri illustrati e un grande interesse per la lucertola ocellata, una lucertola rara ma che esiste veramente in Liguria e nei Pirenei. Qui incontra un ragazzino curioso che si chiama Italo Calvino. I due si incontrano tre o quattro volte e parlano, soprattutto, di quello che Benjamin vorrebbe far scrivere a Calvino: la storia di un bambino che rincorre il suo pallone tra i vicoli, un pallone che oltrepassa i binari della ferrovia e sembra irrecuperabile. Il bambino non vuole perdere il pallone ma non può disubbidire alla madre che gli ha ingiunto di non attraversare i binari. Che fare? Arrivare fino alla fine dei binari per recuperare il pallone?

Dopo quegli incontri Benjamin e Calvino non si vedranno più e non sapranno che il bambino evocato dalla fantasia è diventato un bambino reale e che si è trasformato in un vero e proprio flaneur dei binari alla ricerca di un pallone che diventa simbolo del peregrinare, che diventa simbolo del sogno, dove la cosa fondamentale non è la realizzazione del sogno, ma avercelo dentro.

La flanerie del bambino, che diventerà adulto, lo porterà dalla Riviera di Ponente a quella di Levante e ritorno dove farà incontri importanti tra cui quello con Carlo Levi.

Tante sono le tematiche che emergono in questo straordinario e originale romanzo.

Comincio dal rapporto tra verticalità e orizzontalità. Magliani, nei suoi altri romanzi, ci ha sempre descritto una Liguria dell’entroterra, verticale e aspra, dura e poetica. Qui ci descrive una Liguria orizzontale, una Liguria della costa. La flanerie dell’uomo che cerca la fine dei binari e non li può attraversare per l’interdetto della madre, è una flanerie lungo il litorale, anche se l’entroterra incombe alle sue spalle e le isole, la Corsica, ma anche altre, appaiono e scompaiono davanti a lui, quando guarda il mare. È un andare fino all’estremo, partendo dalla Riviera di Ponente per arrivare alla Riviera di Levante che rappresenta una vera e propria  finis Liguriae, al confine con la Toscana dove inizia un’altra terra, un vero e proprio altrove.

Altra tematica che emerge: l’uomo dei binari è un personaggio in cerca non di un autore, come accade in Pirandello, ma in cerca del suo autore che è Calvino. In realtà Calvino è solo l’autore potenziale (forse avrebbe voluto scrivere davvero un racconto che ha come protagonista un bambino alla ricerca di un pallone e che segue i binari per trovarlo, ma non lo ha mai scritto) perché lo scrittore che trasforma la potenza in atto, per usare categorie aristoteliche, è Marino Magliani. L’uomo dei binari non ha mai conosciuto il suo padre putativo, Calvino, e in alcune parti del romanzo si mette sulle sue tracce. Ne ripercorre aspetti biografici, legge le  opere che, nel corso del tempo, vengono pubblicate. L’uomo dei binari, però, non incontra mai Calvino, pare che i loro tempi non siano mai sincroni. Ma poi lo vorrebbe davvero incontrare? Un loro abbraccio non potrebbe rivelarsi fatale per l’uomo dei binari? Certo è che, mentre l’uomo è in cammino, il tempo passa.

E questa, della temporalità, è un’altra tematica fondamentale.

Ci sono momenti in cui, mentre leggiamo, possiamo dimenticarci che l’uomo dei binari è immerso nella temporalità. Intanto che si addentra in gallerie, segue i binari, si arrampica sui terrapieni per arrivare alla sua meta, la fine dei binari, il tempo passa e lui invecchia. Questo lo trasforma, a tutti gli effetti, in un personaggio tridimensionale. Da personaggio diviene persona (ma ricordo che la traduzione dal latino di persona è maschera). Uno che non è mai del posto, che non è mai a posto, che è sempre fuori luogo perché eccentrico a qualsiasi collocazione anche se le sue radici affondano nella Liguria. L’uomo dei binari non sembra più un personaggio letterario, ma un uomo reale, autonomo dalla creazione letteraria. E questa è una delle tante magie di Marino Magliani in questo romanzo.

Ciò ci porta a un’altra tematica fondamentale: la fine dei binari che è collegata alla nostalgia, a Walter Benjamin, a Port Bou.

La fine dei binari è una specie di Finistère, come quella di Port Bou, dove trovò la morte, tra cielo, mare e terra, Walter Benjamin:

“Quando lui nasceva dai sogni di Calvino, Benjamin si trovava a Sanremo. Ci avrebbe soggiornato a più riprese, prima della guerra. Egli queste cose le ignorava e sapeva solo che il viaggio di Benjamin si era interrotto a Port Bou, dove si interrompeva il sistema ferroviario. E siccome nessuno lo aveva informato, mai più avrebbe immaginato che era proprio da costui, da Benjamin che dipendeva il suo interesse per la lucertola ocellata. Era stato Calvino a parlarne a Carlo, il disegnatore di isole, e a raccontargli che da bambino  Benjamin e lui l’avevano cercata. Il racconto della lucertola blu aveva affascinato Carlo Levi e poi il vecchio” (Pag. 140-41).

Della lucertola ocellata, del disegnatore di isole Carlo Levi e delle isole, parlerò più oltre. Qui mi preme sottolineare il discorso del sistema ferroviario che si interrompe, della fine dei binari e delle riflessioni e emozioni che provoca questa interruzione, questa fine.

La fine dei binari è un luogo estremo, il confine estremo, una sorta di Gibilterra,  luogo al di là del quale c’è l’oltre, al di là del quale c’è l’altrove. Lì, però non si incontra il futuro, come ci si potrebbe aspettare. Lì si incontra , paradossalmente – o forse no – il passato. È il luogo dove si ritrova l’origine, qualsiasi significato ad essa noi vogliamo dare. E anche una strana specie di nostalgia:

“Era giunto. Di un tempo può darsi, aveva letto che si poteva avere nostalgia anche di un tempo, e lui non era mai riuscito a sentirla, si poteva coltivare piuttosto una nostalgia dell’impossibile, di un desiderio: la fine dei binari” (Pag. 160).

E poco più oltre, in uno degli snodi fondamentali del romanzo (che non svelo per lasciare al lettore il piacere di scoprirlo) il flaneur dei binari afferma:

“Ora crede di saperlo bene cosa è la nostalgia. Non è mica la nostalgia del passato o del tempo futuro o di una regione, è solo la nostalgia di noi stessi” (Pag. 165).

Neppure la nostalgia di luoghi che non abbiamo mai visto di baudelairiana memoria, ma solo e semplicemente la nostalgia di noi stessi. E con una chiara consapevolezza legata ai binari e ai sogni:

“Del fatto che i binari gli erano morti alle spalle da una vita se n’era già fatto una ragione- Quanto ai sogni, non si dovrebbero realizzare mai, pensò, altrimenti uno li perde” (Pag. 154-155).  

Occorre soffermarsi su altre due tematiche fondamentali e alle quali ho accennato più sopra. Quella della lucertola ocellata e quella delle isole.

La lucertola ocellata è il filo che lega e collega tutto. È una lucertola rara, ma che esiste realmente. La si trova in Liguria e nei Pirenei. È un animale estremamente riservato, timido che ama nascondersi. Proprio per questo motivo è molto difficile individuarla, incontrarla. Benjamin, quando arriva a Sanremo, la cerca insieme al giovanissimo Calvino. Lo stesso Calvino ne parla all’amico scrittore e pittore Carlo Levi. E ora il flaneur dei binari ha ereditato la fascinazione per quella lucertola blu. Che ha a che fare con l’appartenenza a una terra,  con l’immaginazione e l’immaginario. Che ha a che fare con il desiderio di cercare e non necessariamente trovare, proprio come i sogni che è necessario averli, ma non realizzarli. Il desiderio di cercare e non necessariamente trovare è ciò che accomuna Walter Benjamin a Calvino, Benjamin e Calvino a Carlo Levi, Benjamin, Calvino, Levi all’uomo dei binari.    

Poi le isole. Le isole come metafora, le isole come lontananza, come luogo perfetto per l’esilio.

Prima di incontrare Carlo Levi, il disegnatore delle isole, l’uomo delle isole, il flaneur dei binari ci descrive poeticamente la madre che pare trasformarsi in isola, l’isola che pare trasformarsi in madre:

“A volte all’alba apparivano dal nulla i relitti dei barconi, scivolavano sui diamanti, erano scogli anche quei barconi colorati, e la madre, divorata dai suoi stessi sogni e dai suoi sensi di colpa, si materializzava al fondo. L’isola inarrivabile, una specie di Corsica impiccata all’orizzonte, che non sai mai se c’è, se è terra o mare, ma sai che non c’è più. L’unica voce senza più materia, un molo nel vuoto azzurro, posato sui fondali e fluttuante allo stesso tempo, la missione e l’illusione di essere ponte per nessuno. La vita allora era come se si stesse staccando a morsi dalla costa, e si soffermasse al largo dello stempo, gli mancava così tanto una madre che l’avrebbe raggiunta a nuoto, se avesse saputo nuotare…” (Pag. 43-44).

E poche pagine più avanti, ancora sulla Corsica:

“La Corsica è il posto dove all’alba bruciano i sogni, sosteneva Calvino, ma lui questo tale Calvino, da bambino o da grande non l’aveva mai conosciuto, e la Corsica di Calvino non era la sua. Forse si assomigliavano, come lo fanno le isole. La sua identificava giusto il frammento di una deriva, la nave destinata ad affondare in qualche mare invisibile (del tempo?). Perché le isole non sono mica eterne, ci sono e se ne vanno.

Certe notti, l’uomo dei binari ne parlava coi compagni di viaggio. Era lui che faceva venire il discorso, per gli altri lei era sempre una lontananza. L’isola corsara. E allora ognuno diceva la sua. La cattedrale prima del burrone. Cose così” (Pag. 49).

È nella spiaggia di Alassio che l’uomo dei binari incontra lo scrittore e pittore Carlo Levi, l’uomo che disegna le isole:

“Disegnava quelle cose lì, le levigava, le tagliava, smussava gli spigoli, così da penisole erano costrette a diventare ciò che erano, autentiche isole. Perché se a uno sperone qualsiasi ci tagli il mento, disse proprio così, l’invenzione è assicurata, e fece un gesto con le mani come se avesse gettato sulla sabbia qualcosa. Isole anche verso Genova. Tirò fuori una cartellina dalla borsa che aveva con sé sullo scoglio, e gli mostrò una cartina. Era una cartina scarabocchiata, l’intera costa ligure, affollata di nomi e capi-penisola, Capo Noli e, passata Genova, Portofino, Monterosso, l’isola del Tino e della Palmaria, fino alla costa Toscana

‘Le isole della Liguria non finiscono mai, cosa credi, dipendono dalla meteorologia, le moltiplica la luce, l’aria, le stagioni’.

‘Non disegni altro?’

‘Cose che ho visto anni fa, durante un soggiorno forzato nel sud, in un paese in cima ai calanchi’”(Pag.57).

Nell’unico viaggio in treno che  fa, dalla Riviera di Levante a quella di Ponente, l’uomo dei binari pensa:

… alle isole, che erano stelle, non di quelle che si materializzavano, ma le isole che la sera aveva nascosto e le stelle che il giorno aveva nascosto. Alle isole sulla carta, quelle dei libri nelle biblioteche. Un giorno a Sestri Levante ne aveva aperto un intero atlante. Isole remote. Il titolo era proprio Atlante delle isole remote. La prefazione, invece, si intitolava Il paradiso è un’isola. Anche l’inferno” (Pag. 117).

E poco oltre:

“Isole raggiunte con le ultime forze. Come per Tristan da Cunha, le rivoluzioni proclamate sulle navi, le utopie vissute sulle isole. Le isole, come l’esilio perfetto” (Pag. 118).

Rivoluzioni, esilio, isole come Tristan da Cunha considerata l’isola irraggiungibile, inaccessibile. Isole come lontananza, isole come fantasmatica presenza materna, c’ è anche tutto questo in “il bambino e le isole (un sogno di Calvino)” dove il sogno di Calvino è la creazione dell’uomo dei binari che, appunto, resta un sogno non realizzato.

Per concludere (ma tante altre cose si potrebbero scrivere): il romanzo di Marino Magliani è un grande omaggio alla letteratura. Compaiono come protagonisti Walter Benjamin, Italo Calvino, Carlo Levi. Ma è citato anche Camillo Sbarbaro e, sottotraccia, Francesco Biamonti. Citazioni e presenze che non sono mai un sovraccarico al testo e che sottostanno tutte alla sapiente regia di Marino Magliani. Che ha la grande capacità di cambiare registro stilistico a seconda delle circostanze: un stile a volte scabro, altre struggente e evocativo.

Un romanzo da leggere e rileggere soffermandosi su ogni pagina. Un romanzo da leggere con il passo dell’uomo dei binari.    

Lo Scaffale di Andrea: Il bambino e le isole (un sogno di Calvino)