Questa volta con Giovanni Barone ci imbarchiamo oltre oceano per approdare, felicemente, in una delle terre letterarie più feconde: l’Argentina. Ma la sorpresa vera è la scoperta di un nuovo scrittore argentino, che i racconti della raccolta La metà del doppio (edizioni Spartaco) presentano ai lettori italiani in un libro estremamente curato dalla competenza e passionalità di Giovanni Barone. Indispensabile la postfazione con cui Barone inquadra libro e autore con fascinosa acribia nel contesto storico, letterario ed esistenziale.

Barone Bermudez

Nella postfazione di La metà del doppio pubblicato da edizioni Spartaco, il curatore e traduttore Giovanni Barone ricostruisce il caso Fernando Bermùdez: una sola grande opera prima, la raccolta di racconti che finalmente possiamo leggere anche in Italia con lo stesso titolo dell’originale, La mitad del doble che alla pubblicazione in Argentina per Editorial Sudamericana nel 1993 gli valse il Premio Julio Cortàzar nel 1994 e nel 1997 il Premio Juan Rulfo, poi il silenzio narrativo, nonostante la dichiarazione di Bermùdez di lavorare a un romanzo.

È una fatica maggiore o un privilegio con pochi precedenti tradurre non la prima opera di uno scrittore talentuoso come Bermùdez, ma la sua unica opera, quella in cui come hai scritto nella postfazione: ha già detto tutto, né una parola in meno né una parola in più di quanto voleva e doveva?

Sia durante la prima lettura dei racconti di Bermúdez che durante la traduzione, la percezione è stata quella di star lavorando non ad un’opera prima, con tutti i “segnali” che il testo di uno scrittore esordiente di solito può lasciar trasparire, ma a un libro definitivo, iperletterario e conclusivo. Una sorta di lascito simbolico. Da subito ho colto una scrittura meditata e matura e un’architettura dei racconti, compreso anche il loro ordine di presentazione, che intendeva rappresentare una “summa” delle conoscenze letterarie dell’autore e un ventaglio di possibilità cui poteva giungere la sua scrittura, spinta alle più ardite espansioni. L’impressione era insomma quella di avere a che fare con un autore talentuoso, un vero maestro di scrittura. A dirla tutta, tanto mi appariva definitivo nel suo unicum quel paradigma di scrittura che mai avrei osato sperare che Bermúdez potesse veramente scrivere il romanzo promesso, come invece sembra che farà dopo ben 25 anni di silenzio. Tradurre i 7 racconti è stato un vero piacere -linguistico, intellettuale e letterario- non certo una fatica.

 

 

Prendo ancora spunto dalla postfazione, indispensabile per il lettore per entrare nel mondo letterario in cui la raccolta di Bermùdez si inserisce, e fondamentale per penetrare con acribia nell’immaginario dello scrittore, che già dal titolo evidenzia una caratteristica fondante e costitutiva dei racconti, e per l’unicità che essi rappresentano anche della voce di Bermùdez: la scrittura che scrive se stessa mentre si guarda scrivere. È questa la nota dominante dei sette racconti che compongono la raccolta.

Quanto è complicato per un traduttore rivestire con la propria voce l’autoritratto della scrittura che si guarda scrivere?

La domanda è centrale e posso rispondere dicendo che senza una conoscenza previa dei maestri del fantastico argentino (Macedonio Fernández, Borges, Cortázar, Saer, Piglia e altri) l’impresa sarebbe stata certamente complicata. La scrittura di Bermúdez è iperletteraria perché ricca di omaggi ai suoi maestri e perché usa espedienti narrativi linguisticamente evoluti e con una matrice concettuale forte. Tradurre i racconti è stato come far risuonare le parole dell’autore con la mia propria voce, cercando di restituirne tutte le stratificazioni e i codici. E soprattutto rispettando quello sdoppiamento e quella distanza tra voce narrante e storia narrata. Comunque il fascino di questi racconti, a parer mio, è che risultano pienamente godibili anche se non si dovesse percepirne tutta la concettualità. Questa è la bellezza e la forza della scrittura di Bermúdez.

 

 

Di nuovo nella postfazione, a sottolineare ulteriormente quanto sia stato gratificante per me come lettrice muovermi guidata dalla tua competenza nei meandri della narrativa di Bermùdez, spieghi la diversa composizione della raccolta italiana, rispetto a quella argentina con lo stesso titolo: dieci racconti in quella originale; sette in quella italiana, di cui cinque sono presenti già in La mitad del doble, ma due (e tra questi il mio preferito in assoluto) sono degli inediti: Mappa mundi e Circostanziale di tempo.

A chi e a cosa è dovuta questa diversa composizione? E in base a quali criteri sono stati scelti la metà dei racconti della raccolta originale? E per quali criteri sono stati inseriti i due inediti?

Sì, l’edizione pubblicata da Editorial Sudamericana comprendeva dieci racconti. Ne ho esclusi cinque perché troppo riferiti a localismi bonaerensi e a contingenze del tutto estranee per un lettore italiano. D’accordo con l’autore, che mi ha inviato i due inediti (Mappa Mundi e Circostanziale di tempo), ho voluto creare un percorso narrativo differenziato ma coerente a livello di linguaggio alto e temi universali. I due inediti li ho accolti con piacere perché Mappa Mundi -oltre ad essere straordinariamente poetico e struggente- mi consentiva di non lasciare da solo Mezzanotte passata con l’ambientazione in Svezia, e Circostanziale di tempo mi serviva per chiudere col sorriso il percorso dei sette racconti e per evidenziare nell’autore quei riferimenti a Queneau e ai suoi Esercizi di stile.

 

 

Uno sperimentalismo linguistico e strutturale è la nota predominante e forse più felice della scrittura di Fernando Bermùdez.

Quali difficoltà o quali ripensamenti una scrittura così cerebrale e sofisticata provoca nel traduttore? O invece si tratta solo di piacere puro per l’estro e la genialità che Bermùdez dimostra?

Devo dire che la traduzione non mi ha causato particolari problemi anche se -avendo iniziato per puro piacere personale e senza pressioni né urgenze di tempo, ho “covato” a lungo i testi, limando e rilimando un’infinità di volte.

 

 

Se è vero che ci sono delle forti connessioni e delle tematiche preponderanti che attraversano e annodano tutta la raccolta, è anche vero che in ogni racconto Bermùdez conduce il lettore in un mondo e in una situazione inedita e sfalsata.

Cosa è stato per te tradurre i sette racconti: ritrovarti in un mondo e in una visione immaginari unitari e coerenti, o affrontare sette diversi viaggi e quindi sette diverse prove di traduzione?

I sette racconti sono sì mondi e contesti a sé stanti ma sono uniti da un medesimo clima: una narrazione malinconica dell’esistenza, della solitudine, dell’invalidità e del male, ma anche dei giochi e delle bizzarrie del caso, spesso disorientando il lettore tra finzione e realtà. Nella postfazione ho accennato anche a una sorta di umorismo di tipo amaro, pirandelliano, soprattutto presente in Hugo Talmann e in Circostanziale di tempo. La voce che narra lo fa dal di fuori, in tutti e sette i racconti. Bermúdez ci offre le sue storie come se fosse in una cabina di regia. I suoi personaggi agiscono, chi legge è anche spettatore di una messa in scena e a volte può diventare protagonista della storia nel suo farsi. Lui lavora sul linguaggio e le sue stratificazioni, le storie si sviluppano in automatico. I sette racconti, come ho pensato di modularli, sono un percorso che va dal dolore al sorriso finale, con il gioco linguistico strutturale alla Queneau. Traducendo il libro ho certo colto le differenze -anche di linguaggio, di tempi di narrazione, di strutture- tra un racconto e l’altro, ma quei fili che uniscono le sette storie si percepiscono tutti.

 

 

Sempre nella postfazione dove conduci un’analisi di ciascun racconto, dichiari che Hugo Talmann, morto a New York può considerarsi non solo come il manifesto di ciò che l’autore intende e pratica per posmodernismo e genere fantastico, ma anche il lavoro più significato di Bermùdez.

In questa definizione il critico letterario che veste i panni del curatore della raccolta e il traduttore coincidono? O invece come traduttore hai altre preferenze tra i sette racconti?

Come traduttore/lettore la mia preferenza va al primo racconto, Mezzanotte passata, in particolare perché la mia formazione letteraria è maturata, tra l’altro, con gli studi e i contributi critici di Francesco Orlando e le sue teorie freudiane della letteratura. Quel primo racconto è un perfetto esempio di lettura freudiana come sarebbe piaciuta a Lacan. C’è tutto: il ritorno del rimosso, il senso di colpa, l’autopunizione ecc. Ma ripeto, è un racconto che sarebbe ugualmente straordinario nella sua costruzione e nel suo farsi anche se non possedessimo conoscenze specifiche e specialistiche. Quanto a Hugo Talmann lo ritengo un grande omaggio ai padri. Sul tema della follia che si cerca di rimuovere attraverso un’operazione al cervello si era già misurato Ricardo Piglia e anche lui citando il grande maestro di Borges, Macedonio Fernández. Citazionismo dunque, ma anche quel divertente gioco dell’inventare trame, di inciampare nel linguaggio e nelle sue trappole che porta alla follia, che cita da lontano Don Chisciotte impazzito per il troppo leggere romanzi cavallereschi. E in questo racconto Bermúdez si supera quando alla fine porta il lettore a dubitare che tutto ciò che ha letto fino alla fine non sia altro che una delle tante innumerevoli trame nella testa dello scrittore. Quanto era profondo il primo racconto per le interpretazioni cui ho accennato e per quel gioco ossessivo dell’invalido col tempo, tanto lo è Hugo Talmann per la sua costruzione a scatole cinesi, per le citazioni e per l’impianto narrativo.

 

 

Come sempre faccio con i racconti, ma ancora di più con La metà del doppio ho sentito l’esigenza di leggerli uno alla volta ponendo una distanza temporale di almeno un giorno tra l’uno e l’altro. A volte anche di più, perché la mia mente non aveva ancora esaurito tutto il lavorio interpretativo e di suggestioni che il singolo racconto aveva suscitato. Ho sentito il piacere e la necessità che ognuno di loro si sedimentasse con i suoi labirinti psicologici e simbolici nel mio personale immaginario.

Quali sono stati i tempi della traduzione? Hai avvertito anche tu l’esigenza di tradurre centellinando i momenti?

I tempi della traduzione sono stati lunghi perché -come dicevo prima- non avevo urgenze. Ho dedicato più tempo a certi racconti rispetto ad altri, questo sì. Soprattutto Mezzanotte passata, che ho limato più e più volte, Hugo Talmann e Blomma, altro racconto che ritengo fondamentale per capire la poetica di Bermúdez.

 

 

Tra Giovanni Barone e Fernando Bermùdez che tipo di rapporti intercorrono? Ricordiamo che lo scrittore, nato nel 1962, vive dalla fine degli anni Novanta a Stoccolma dove coordina un laboratorio di scrittura creativa, Grupo Estocolmo, in cui si raccolgono poeti e scrittori latinoamericani. Vi conoscete? Ti sei rivolto a lui per risolvere dubbi e perplessità?

Con Bermúdez ci siamo scritti spessissimo già a partire dai primi anni 2000. Poi con le nuove tecnologie ci siamo parlati in videoconferenza. Devo dire che non ho mai chiesto consigli a Bermúdez né chiarimenti. Né lui avrebbe mai voluto darmene: è un personaggio molto defilato, lontano da ogni vanità e da ogni esposizione mediatica. Tanto per dirne una, non ha neanche conservato la rassegna stampa riferita alla pubblicazione del suo libro a Buenos Aires nei primi anni ’90. È come se avesse voluto mettere una pietra sopra il suo passato argentino e avesse voluto iniziare una seconda vita in Svezia come docente di Linguistica. A volte penso che con questa traduzione e con il lancio editoriale stiamo forse intervenendo in qualche modo nelle sue scelte di vita. Che dopo 25 anni abbia deciso di pubblicare il romanzo che aveva preannunciato al momento di lasciare l’Argentina lo ritengo un fatto significativo.

 

Qual è lo studio che Giovanni Barone ha dovuto affrontare per poter tradurre La metà del doppio e qual è stato lo studio dove ha tradotto i racconti?

 

Per tradurre La metà del doppio, come dicevo all’inizio, è stata necessaria -oltre alla conoscenza della lingua- la lettura approfondita dei grandi autori argentini che sono alla base della formazione culturale di Bermúdez; mi è anche servita l’esperienza di traduzione di testi letterari precedentemente accumulata: avevo già tradotto per e/o due libri, sempre dallo spagnolo. Le traduzioni le eseguo sempre in ambiente domestico, nel mio studiolo.

 

 

Perché ai lettori italiani piaceranno i racconti di La metà del doppio? Credi che ce n’è uno in particolare che potrà incontrare i favori del pubblico italiano? Perché?

Ho la sensazione che questi racconti piaceranno molto ai lettori italiani. Ho già avuto molti riscontri positivi e devo dire che tra i sette racconti ce ne sono almeno cinque molto apprezzati. Su tutti comunque, stando almeno alle voci che mi sono giunte, hanno raccolto più preferenze Mezzanotte passata, Mappa Mundi e Blomma.

Nello Studio di… Giovanni Barone, traduttore de “La metà del doppio”