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Per festeggiare i venticinque anni di attività, la casa editrice Spartaco ha pensato per i suoi lettori, e per i lettori in generale, a un regalo prezioso: la ripubblicazione in edizione pregiata di L’anima dei fiori di Matilde Serao, che vide la luce in un unico volume di oltre 400 pagine più di un secolo fa, nel 1903, quando Serao aveva 47 anni, e poi dimenticato.

Sono già in libreria i primi due volumi, a cura di Donatella Trotta, ai quali si sta affiancando il terzo L’anima dei fiori. Le violette. Per-amarvi-o-fiori-cover-solo-avantiIl primo, L’anima dei fiori. Per amarvi, o fiori! si apre elegantemente con una lettera da Donatella Trotta indirizzata ai lettori che funge da prefazione, empatica e di maggiore immediatezza. Come già nel primo volume così anche nel secondo libro, L’anima dei fiori. Le rose, il testo della Serao è anticipato da un saggio sempre a firma di Donatella Trotta, che non solo illumina la personalità di Matilde Serao, approfondisce le tematiche più caratteristiche dei suoi interessi e della sua scrittura, ma crea anche le connessioni e i legami tra le opere “maggiori” e questa “minore”, se mai una definizione basata sui comparativi abbia senso e valore letterario. Lo sguardo di Donatella Trotta sulla scrittrice, donna e letterata è così totalizzante che si rimane affascinati da entrambe: da Matilde, e attraverso di lei dalle donne, colte e appassionate, con cui amava intessere amicizia, a partire dalla dedicataria de L’anima dei fiori, la signorina Letizia Castaldo; e dalla studiosa Donatella Trotta che con così grande entusiasmo riesce a restituirci nei saggi il valore umano e intellettuale di donna Matilde.

Perché è un bene  – ho il piacere di chiedere alla raffinata e generosa studiosa – che questa opera ritorni tra le mani dei lettori? 

RISPOSTA: A mio avviso, per una serie di ragioni tra loro intrecciate. Da un lato, c’è l’encomiabile e operosa lungimiranza di un editore indipendente come Spartaco, che in terra di Lavoro ha ripescato un piccolo gioiello editoriale legato, nella sua ispirazione, alla terra natale del padre di Matilde Serao che così rende un implicito omaggio alle proprie radici familiari attraverso la dedica ad una giovane amica, e non solo. Sotto questo profilo, la scelta di “vestire” la nuova edizione di un testo praticamente inedito per la contemporaneità, ma reso fruibile anche attraverso la sua suddivisione in un agile e articolato progetto editoriale in più volumi, con una grafica raffinata, quasi da collezione, affidata ad un artista e acquarellista di talento come Angelo Maisto non valorizza soltanto un recupero che rilancia gli studi seraiani consentendo di rileggere anche sue opere in apparenza più marginali; ma restituisce pure, con gusto attuale, lo spirito di quel genere dei “Flower Books” molto in voga nel XIX secolo in àmbito europeo, entro il quale il testo “di confine” L’anima dei fiori può in parte e legittimamente inscriversi, collocandosi nel solco oggi forse misconosciuto ai più di una tradizione antica e significativa che nel suo evolversi intreccia, come in una ghirlanda, elementi d’arte e di storia, poesia e spiritualità, costume e botanica.

E questo è a mio avviso un ulteriore motivo di interesse di questa pubblicazione, per andare “oltre” l’autrice e quanto ha sorprendentemente prodotto, in una incessante attività di poligrafa infaticabile: l’attualità, da un lato, di una civiltà della cortesia, della conversazione, della gentilezza che passa attraverso l’amore per i fiori, per il loro sempreverde (è il caso di dire…) linguaggio simbolico che da sempre, e in ogni civiltà, accompagna l’educazione sentimentale e l’arte del convivere. Dall’altro lato, il rilancio di una necessaria attenzione alla natura, e all’ambiente, nutriti di un rispetto che può essere declinato, per usare uno slogan efficace, in “cultura della cura e cura della cultura”. Il movimento globale lanciato dalla giovanissima attivista Greta Thunberg per responsabilizzare i governi sulle politiche ambientali, prima dell’esplodere dell’inedita pandemia globalizzata da Sars-CoV2, lo possono testimoniare, nel presente, su scala planetaria. Non si può spezzare impunemente un equilibrio planetario senza conseguenze. In tale ottica, nell’apparentemente anacronistica operina dell’accorta Serao i fiori diventano allora metafora non soltanto delle stagioni e della caducità della vita Le violette(come commento, ad esempio, nel saggio introduttivo al terzo volume del progetto editoriale, dedicato a Le violette, in uscita il 26 novembre), ma anche di emozioni e ricordi, affetti e celebrazioni rituali, laiche e religiose, necessari alla tenuta della coesione sociale e di una sana trasmissione generazionale. Può sembrare mero formalismo, ma è invece sostanza: i linguaggi della bellezza, se coltivati come le specie del regno vegetale, rinviano infatti alla necessità di un’armonia e di un equilibrio (tra creature, creato e creatore) senza il quale l’umanità è destinata a una pericolosa deriva, sotto gli occhi di tutti. E in questa nostra era biomediatica di disintermediazione digitale, “passioni tristi”, disincanto e nichilismo soft Dio sa quanto bisogno c’è di narrazioni che non abbiano timore di essere edificanti nel senso etimologico, ovvero costruttivo del termine, né temano di propagare un convinto elogio della mitezza di cui si sente la mancanza, nel proliferare aggressivo sui social di hate speech tesi a fomentare la logica violenta del nemico a tutti i costi. 

 

Donatella Trotta, giornalista, docente, traduttrice e curatrice di libri, ha scritto numerosi contributi sulla scrittrice, giornalista e fine intellettuale Matilde Serao. Come nasce il suo rapporto privilegiato con l’opera di Matilde Serao? Ci può raccontare la prima volta che l’ha “incontrata”? Un colpo di fulmine o un amore che si è sedimentato opera dopo opera?

 RISPOSTA: La metafora dell’amore è forse quella che meglio si addice a connotare la nascita del mio rapporto con Matilde Serao, “madre fondatrice” del quotidiano Il Mattino dove lavoro da ormai circa 40 anni per le sue pagine culturali. Correva l’anno 1990: in vista del primo centenario del quotidiano che la coppia Scarfoglio-Serao mandò in stampa nel marzo 1892, l’allora direttore Pasquale Nonno volle giocare d’anticipo, da giornalista di razza, e pensò a un ambizioso calendario di celebrazioni che prevedeva, tra l’altro, due convegni e una mostra documentaria e fotografica tra Roma e Napoli. Decise quindi di affidarmi la cura del volume che pubblicava gli atti dell’incontro di studi – il primo tanto ampio e articolato dall’ultima volta che la scrittrice era stata onorata, nel 1977, a mezzo secolo dalla sua morte -, poi uscito con il titolo Album Serao (Fausto Fiorentino editore 1991).

Fu quella la scintilla del mio innamoramento: fino a quel momento, come per molti ancora oggi, il nome di Serao era per me legato, a parte la fondazione del “Mattino”, soprattutto a quel capolavoro che è l’inchiesta Il ventre di Napoli e poco altro. Ristampe dei suoi libri scarseggiavano; a scuola non veniva studiata; all’università – salvo rarissime eccezioni –  nemmeno. Relegata frettolosamente, come autrice, in un coté verista o tutt’al più mondano, sminuita da una valutazione critica che ha a lungo insistito su una sedicente duplicità – anziché sul concreto e fecondo continuum – tra giornalismo e letteratura, pur candidata più volte al premio Nobel per la letteratura Serao non è mai di fatto entrata nel cosiddetto “canone alto”, che a stento le ha dedicato qualche rigo.

Una grande dimenticata: con una sorta di damnatio memoriae (malgrado il notevole successo tutt’altro che meramente localistico della scrittrice ai suoi tempi) che affligge molte donne, e che aveva insomma ricoperto di polvere il ruolo cruciale di Serao nella Kulturgeschichte tra Otto e Novecento, il suo fecondo e spesso pionieristico impegno sul versante giornalistico e letterario e persino la sua avvincente parabola biografica che invece riaffiorarono potentemente in tutte le testimonianze in occasione degli appuntamenti di studio con fior fiore di specialisti, a confronto in vista del centenario del “Mattino”. Studiosi di rango, spesso amici (tra i quali il compianto Antonio Palermo, tra i miei Maestri alla “Federico II” di Napoli, e Antonia Arslan, italianista e scrittrice di valore che in quella circostanza mi incuriosì parlando di un carteggio inedito tra Neera e Serao che gettava nuova luce su quella “galassia sommersa” delle donne d’ingegno a cavallo di due secoli), che mi spinsero allora a leggere (o rileggere) più sistematicamente questa geniale autodidatta infraseculare, sorprendente self made woman che oggi definiremmo “multitasking” come il suo ruolo di poligrafa ed epistolografa infaticabile.

Da quel momento, dopo la pubblicazione dell’Album Serao è stato un crescendo di occasioni di approfondimento: a cominciare, per citare un solo esempio significativo,  dalla ricerca per un altro grande convegno («Matilde Serao – Le opere e i giorni», Napoli 1-4 dicembre 2004, i cui Atti furono pubblicati da Liguori nel 2006), promosso dall’italianista Angelo R. Pupino che mi invitò a tenere una relazione, alla quale ricordo che, a mia insaputa, presenziò nientemeno che la nipote diretta di Matilde Serao, Adriana Taglioni Gherardini, figlia della sua unica figlia femmina, che conobbi proprio in quell’occasione e che rimase entusiasta dei materiali inediti che avevo portato, poi confluiti nel volume La via della penna e dell’ago. Matilde Serao tra giornalismo e letteratura (Liguori 2008).

Il rapporto filiale e costante con Donna Adriana, oltre che con un altro nipote diretto della scrittrice, Paolo Scarfoglio, è così uno dei fili affettivi che dagli anni Novanta intesse la trama e l’ordito dei miei studi su Matilde, scaturiti da un’affezione oserei dire quasi di famiglia per il grande e materno “cuore pensante” di una donna capace ancora oggi di parlare al cuore delle persone e dell’attualità.

Dopo tanti anni, mi piace pensare che forse anche grazie al piccolo contributo del mio ruolo di confine (non ufficialmente accademico e non soltanto giornalistico), che ha in certe occasioni creato “ponti” tra realtà disciplinari diverse, la spinta ostinata ad una divulgazione più seria, a una ristampa più ampia dei suoi scritti per una rilettura approfondita della sua opera sia giornalistica che letteraria, e persino epistolare, stia iniziando insomma a dare i suoi frutti: con una rinnovata e più seria attenzione che ben oltre i convegni universitari o i ripescaggi editoriali è approdata anche in testimonianze radiofoniche (con Wikiradio) e televisive, come il breve documentario di Marco Spagnoli nella serie “Donne nel mito” di Diva universal-Sky o, più di recente, la bella e corposa puntata monografica di Rai Storia dedicata a Serao con la regia di Simona Fasulo. 

 

Per concludere questa nostra splendida e notevole chiacchierata, facciamo il punto sul progetto targato Spartaco edizioni.

Siamo giunti al terzo volume come lei anticipava nella precedente risposta. Quali sorprese ancora si riservano per i lettori? Di quanti volumi dobbiamo ancora attendere l’uscita per completare sul nostro scaffale questa mirabile e raffinata serie?

RISPOSTA: Come accennavo, il progetto che di buon grado ho accettato di curare per Spartaco edizioni mi ha convinto proprio per l’intelligenza emotiva e l’amore che lo animano, e che ho pertanto condiviso senza esitazioni. L’editore infatti non si è limitato a intercettare un testo libero da diritti da poter “spendere” sul mercato ripubblicandolo tout court, sia pure per la prima volta dalla prima edizione, ma senza alcuna coordinata utile per il lettore di oggi, come purtroppo usa fare spesso perché è molto meno faticoso e impegnativo. No: ha preferito interrogarsi sulla possibile fruizione per un pubblico più ampio, abituato nell’era digitale a letture veloci, possibilmente corredate preferibilmente di immagini, pensando a come “mediare” un testo avulso dal contesto che lo generò contestualizzandolo con una sorta di “guida” affettuosa e ragionata che l’accompagna, per chi voglia approfondire le curiosità dettate dalla lettura. Di qui l’idea di Tiziana e Ugo Di Monaco di “spacchettare” il testo originale, di oltre quattrocento pagine, ma secondo l’articolazione originaria data all’autrice centellinandone così la pubblicazione in otto pubblicazioni autonome, su carta pregiata (ciascuna con una copertina ad hoc composta appositamente dal visionario e talentuoso maestro Maisto, capace di fondere nei suoi acquerelli tradizione e innovazione, delicatezza decorativa e richiami alla Bosch) e tuttavia collegate tra loro, per chi voglia gustare per intero l’operina integrale della Serao, datata 1903, in un cofanetto che alla fine le raccoglierà tutte, dall’estate 2020, con la prima uscita, fino al febbraio-marzo 2023 con l’ultima che tratterà, con la pubblicazione della terza parte conclusiva del libro, i simboli e gli emblemi dei fiori secondo Serao.

Se qualche filologo troppo ortodosso potrebbe storcere il naso di fronte a questa scelta editoriale, a me invece è piaciuta l’idea di poter consentire ai lettori di oggi di non fare indigestione degli ingredienti mescolati nella cucina letteraria della Serao, assaporando liberamente un gusto per volta, nell’ordine preferito, sino a comporre l’intero menu dell’opera; ma anche con la possibilità dal sapore d’antan di “dirlo con i fiori”, ovvero di tornare alla vecchia usanza di regalare a persone care (non necessariamente fidanzati, compagne, mogli o mariti ma anche mamme, anziane zie, amiche, cugini, amici eccetera) un piccolo dono che in forma di libro rende omaggio anche al fiore preferito dal destinatario/a… Una strategia editoriale che va pure incontro a una diffusa e mai tramontata voglia di “serializzazione” (si pensi al successo di tante serie tv, per fare un esempio) che in fondo prosegue la tradizione delle pubblicazioni di novelle e racconti a puntate sui giornali d’epoca (i noti feuilleton, o romanzi d’appendice) in una forma nuova e diversa.

Ma c’è un altro elemento che mi ha colpito di questa operazione editoriale che disvela un impegno civile e una motivazione profonda e in apparenza inattuale, da parte dell’editore che si è trovato in piena sintonia con il mio approccio alla figura e all’opera seraiane: il recupero (e il rispetto) delle memorie come qualcosa che, come dice il premio Nobel Octavio Paz, non è ciò che ricordiamo, ma ciò che ci ricorda. Penso sia un dovere etico e un gesto a mio avviso non trascurabile in tempi di smemoratezza mondiale, negazionismi e revisionismi di diverso segno e appiattimento sterile su un presente che – piaccia o non piaccia – si nutre di passato, e di là proviene se vuole davvero costruire futuro. Sostenibile. Il poeta indiano Rabindranath Tagore non a caso diceva: regala ai bambini radici profonde, da grandi avranno le ali. Un’opera delicata e caleidoscopica come questa, sottratta all’oblio e alla polvere del silenzio, mi sembra appunto sospesa – lievemente – tra radici e ali che stimolano la fantasia e la curiosità di ogni lettore.

 

E infine, come domanda conclusiva:

A chi la studiosa appassionata Donatella Trotta regalerebbe ciascuno dei volumi o tutti insieme e perché? E a chi, chiedo a lei che la conosce così bene, li regalerebbe Matilde Serao?

RISPOSTA: Posso rispondere agevolmente per me pensando a mia madre: donna e artista di grande sensibilità, senso estetico e formidabile pollice verde, che io chiamo il mio “servizio rianimazione piante” per il suo grande amore (e competenza) per i fiori, onnipresenti in ogni sua casa, terrazzo o giardino da lei allestiti con cura in tutte le residenze, italiane ed estere, che ha allestito con mio padre giramondo. La prima destinataria di tutti i volumetti non può che essere lei…

Quanto a Serao, azzardo un po’: sono convinta, per quel che la conosco e posso intuire, che sicuramente la sua prima destinataria di un libro del genere sarebbe stata l’amatissima figlia Eleonora. Da lei educata (mi ricorda sempre la nipote di Serao, donna Adriana Taglioni Gherardini), «come una principessa rinascimentale». 

Chiacchierando con… Donatella Trotta
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