di Ludovica Bianchi

Ludovica Bianchi
Ludovica tra gli scaffali della biblioteca del Trinity College

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Immaginate di camminare tranquillamente lungo una spiaggia mentre un brulicare di voci, suoni e colori vi accarezza le orecchie. Immaginate di essere lì, ad un festival della poesia come tanti altri, forse per quelli un po’ “controcorrente”, coloro che, in fondo, più spesso dalla corrente si lasciano trasportare. La musica, le risate, le parole del Poeta… uno sparo. Quel boato significa una sola cosa: sotto la telecamera di Ornella, “una giornalista in gamba”, (e sotto lo sguardo curioso del lettore) sono destinate a scorrere, vividi fotogrammi, le immagini di un decennio cruciale della storia italiana del Novecento, quello compreso tra il 1969 e il 1979, acceso di rosso sangue e scoppi di bombe. Il brigatistaQuesto l’esordio del romanzo di Antonio Iovane, “Il brigatista” (minimum fax), che ho particolarmente apprezzato, perché capace di instaurare un legame con me e la mia generazione. Credo, infatti, sia oggi difficile parlare di passato a noi figli del nuovo millennio, cresciuti su un’unica certezza: l’instabilità di ogni punto di riferimento e la morbidezza della realtà, più volte capovolgibile e capovolta.

La bravura dell’autore di questo libro si nota nella sua capacità di raccontare un intero decennio della storia italiana, riguardo il quale sono stati scritti fiumi di parole, non presentandone un unico volto, ma narrandolo ascoltando le voci dei suoi protagonisti. Riesce, infatti, ad affrontare un argomento tanto delicato senza far trasparire eccessivamente il suo punto di vista, facendo in modo che il giudizio prenda forma nella mente del lettore. Sulla base delle parole e dei discorsi “apologetici”, degli attacchi verso lo Stato dei personaggi, penetrando le motivazioni del loro agire, chi legge può, tramite una propria analisi critica, assumere una sua posizione, affezionarsi ad un particolare “schieramento”, sostenere e biasimare. Questa operazione è, però, più facile per chi quegli anni di stragi e terrore li ha vissuti, o ha creduto di riviverli tramite i racconti di amici più grandi.

Ma per noi, “teenagers” del XXI secolo? No. Siamo nati nell’epoca in cui ci sono poche “idee”, o per dir meglio, “ideologie”, poiché, oggi, le idee sono numerosissime, ma generalmente non tanto forti da poter divenire “credo” di un gruppo esteso, motivo di una battaglia da portare avanti. Tendiamo, invece -parlo per molti, ma non per tutti- ad isolarci, ad evitare un confronto con il mondo, a non credere a nulla ; il termine “schierarsi” non ha più un significato ben preciso. In questo nuovo ellenistico relativismo dei valori, un libro che riesca a portare avanti i punti di vista di tutte le forze che hanno preso parte a questa colossale battaglia tra Stato ed estremismi, presentandoli tramite gli occhi dei suoi sostenitori e degli oppositori, può, più facilmente, parlare a noi giovani, che conosciamo poco la storia di quegli anni. Noi, eredi di un’epoca in cui un libro può scriversi a dieci mani, apprezziamo ancor più un libro che, diretto da una sola mano, canta a più voci. Del resto, quando si scrive un “romanzo storico”, e di una storia tanto vicina e viva nella memoria di molti, l’errore in cui spesso si ricade, di solito volutamente, è la parzialità, la rilettura dei fatti tramite un’angolazione privilegiata.

Antonio IovaneIovane, invece, non parla di Fatti, ma di Vite, di storie e di persone che quei fatti li sentono sulla loro pelle; e scrive un thriller, un romanzo che ti costringe a voltare sempre pagina, anche alle 3 di notte, perché non ne sei ancora sazio. Nel suo libro grandi stragi e cortei pubblici si intrecciano con storie di amori persi, vite gettate in pasta alla droga, sceneggiatori privi di idee, giornalisti ambiziosi e coraggiosi carabinieri. Ed i nomi di grandi, veri protagonisti di quegli anni, riemergono dando una forma, una personalità a questi, per noi ragazzi di oggi, conosciuti grazie a canzoni, o a manuali di storia, poco consultati. Spiccano grandi uomini di stato, giornalisti, come Dalla Chiesa, Moro, Calabresi, Bocca, Montarini. Accanto a loro, poi, altre figure le cui storie sono ispirate alle biografie, molto ben studiate, come lo scrittore afferma, di persone realmente esistite. Il lettore è, poi, catapultato nelle piazze fumanti e deserte, distrutte da bombe e attentati, assiste “in diretta” ai rapimenti di importanti dirigenti, ad arresti e condanne dei membri delle brigate rosse! Ma, tra tutte queste lotte, odi e rancori, vi è un sentimento importante che risplende su tutti gli altri, e nemici e amici accomuna e rende uguali: l’amore! L’amore, quasi sempre travolgente, quello di un nonno verso un nipote, di mogli affrante e fedeli, ma soprattutto di quello tradito, punto cruciale alla base dello scioglimento di tutto il romanzo. Il libro si chiude, infatti, con un finale che colpisce profondamente il lettore, sulle note di una storia d’amore che nasce e finisce con la rivoluzione. Amore e rivoluzione… entrambi simboleggiati dal colore rosso: alla base di un cambiamento non può che esserci la passione di chi ci crede. E la passione, nelle sue sfaccettature, è ciò che muove la storia. Passione e amore verso il mondo, che molti di noi oggi sembrano aver perso.

“E così, attraverso il rifiuto, i giovani si trovarono fermi nella storia” (P. P. Pasolini).

Così si apre il libro e così si chiude questa mia riflessione.

Ludovica è una giovane lettrice, neodiplomata al Liceo Classico “Orazio Flacco” di Potenza con il massimo dei voti cum laude, la nostra meglio gioventù a cui affidarci per guardare più lontano. La ringrazio di cuore per aver accettato il mio suggerimento di lettura e per questo riscontro a cui tenevo moltissimo, con la speranza che sia il primo di una lunga serie da condividere sul blog.

Ludovica consiglia: Il brigatista