di Andrea Cabassi

Andrea Cabassi

 

 

 

 

 

 I LIBRI UNISCONO LE SPONDE

Recensione al libro di Kaouther Adimi

“La Libreria della Rue Charras” (L’orma)

La Libreria della Rue Charras

 

“L’aereo stava adesso  scendendo verso Algeri. Jacques  pensava al piccolo cimitero di Saint-Brieuc, dove le tombe dei soldati erano tenute meglio di quelle di Mondovi (Algeri). Il Mediterraneo separava in me due universi, in uno dei quali nomi e ricordi venivano separati in spazi limitati, mentre nell’altro il vento di sabbia cancellava le tracce degli uomini su vasti spazi. Lui aveva cercato di sfuggire all’anonimato, alla vita povera, ignorante, testarda, non se l’era sentita di vivere al livello di quella pazienza cieca, senza parole, senza altro progetto che l’immediato. Aveva girato il mondo, costruito, creato, bruciato persone, le sue giornate erano state piene. Eppure, adesso sapeva nel profondo del cuore che Saint- Brieuc e ciò che esso rappresentava per lui non erano mai stati nulla, e pensava alle tombe consunte e coperte di verde che aveva appena lasciato, accettando con una sorta di strana gioia che la morte lo riconducesse nella sua vera patria e ricoprisse a sua volta con il suo immenso oblio il ricordo dell’uomo mostruoso e (banale) che era cresciuto e si era formato senza aiuti né sostegni, nella povertà, su una riva felice e sotto la luce delle prime mattine del mondo, per affrontare poi da solo, senza ricordi e senza fede, il mondo degli uomini del suo tempo e la propria storia orrenda ed esaltante”.

Questa è una straordinaria e sofferta pagina  de “Il primo uomo”  di Camus (Bompiani. 2013. Pag. 202), il cui manoscritto, pieno di cancellazioni e varianti, fu rinvenuto tra i rottami dell’auto su cui lo scrittore trovò la morte, insieme al suo editore Michel Gallimard, il 4 agosto 1960. Un libro davvero molto sofferto dove al centro sta la lacerazione tra le due sponde del Mediterraneo e il desiderio di unirle. Di gettare un ponte anche se Camus si considerava algerino. Ma chi può farlo di gettare un ponte?  Quali sono le condizioni storiche che lo permettono?  Forse sono gli uomini che ai libri hanno dedicato la loro vita perché i libri, soprattutto i grandi libri, non rivendicano nessun tipo di sovranismo, non sono divisivi neppure quando parlano di lacerazioni e divisioni. Ne è un esempio “La libreria di rue Charras” di Kaouther Adimi pubblicato dalla casa editrice “L’orma”  nella sua sezione francofona.

Kaouther AdimiKaouther Adimi è una giovane scrittrice nata ad Orano, che ha vissuto a Grenoble e che, ora, si è stabilita a Parigi. Adimi, prima di questo, ha pubblicato due romanzi. Il primo è “L’envers des autres” (Actes du Sud. 2011) che ha vinto il Prix littéraire de Vocation, che è stato pubblicato in Algeria con il titolo Des Ballerines de Papicha e che è stato pubblicato in italiano con il medesimo titolo “Le ballerine di Papicha” dalla casa editrice Il Sirente (Il Sirente. 2017). Il secondo è “Des pierres dans ma poche (Seuil. 2017) . Arriviamo, infine, a questo terzo “Nos Richesses”( Seuil 2017), tradotto ottimamente in italiano da Francesca Bononi e con il titolo “La libreria di rue Charras” .

Si tratta di un libro giustamente pluripremiato: nel 2017 ha ottenuto il Prix du Style; nel 2018 il Prix Beur FM Méditerranée, la Choix Goncourt de l’Italie 2018 e sempre nel 2018 la Mention Speciale Prix littéraire Giuseppe Premoli.  

La trama in breve: Ryad studente universitario a Parigi deve recarsi ad Algeri dove ha il compito  di svuotare quello che resta della libreria Les Vrais Richesses,  (non è un caso che il titolo originale del libro sia “Nos Richesses”) una libreria che ha avuto una grande storia e che ha ospitato grandi scrittori. Nel 1936, Edmond Charlot, dopo essere stato a Parigi, rientra ad Algeri e fonda una libreria. che diventerà anche un’importante casa editrice, con l’intenzione di pubblicare autori di entrambe le sponde del Mediterraneo. Il 2 bis di rue Charras diverrà, in poco tempo, la sede delle Edizioni Charlot e sarà frequentata da Camus e altri scrittori del suo calibro.

Kaouther Adimi fonde Storia e invenzione, ma l’invenzione ha sempre radici nella Storia. Il romanzo ha una struttura molto particolare, in tre tempi che, però, sono strettamente intrecciati tra di loro e si illuminano reciprocamente.  

C’è un primo tempo che è il tempo della Storia. E’ quello che va dal 2017 e vi torna passando attraverso i periodi cruciali della storia di Algeria e della Francia. 1930-1939, in prossimità della seconda guerra mondiale; Setif nel maggio 1954; ancora l’Algeria, sempre nel 1954; la Parigi del 1961 con il suo terribile ottobre:

“Perquisizioni nei bar. Manganellate. Proiettili alla testa. Corpi nelle fosse comuni. Proiettili in pancia. Corpi rannicchiati a terra per proteggersi. Spranghe di ferro e mazze piombate. Parigi! Interrogatori sistematici. Faccia al muro. Visi lividi. Pozze di sangue. Mani tremanti. Occhi terrorizzati. Rumore di manganellate, pugni e calci. Arabi ammazzati e buttati in acqua. Fucilati. Centinaia di uomini. In file interminabili. Con le mani alzate. Arrestati. Picchiati.” (Pag. 172-73).

Dove lo stile telegrafico, con frasi brevissime,  fatte, a volte,  di una sola o due parole, rende ancora più drammatici gli eventi. Anche perché non sono inventati. Eventi che non dovrebbero essere dimenticati e con, sullo sfondo, quello che fu il dramma di Camus, quando rifiutava gli attacchi terroristici, ma combatteva contro la repressione francese, lui in bilico tra le due sponde.

Il secondo tempo del romanzo è il tempo della storia di Ryad con i suoi incontri, con i suoi dubbi, la sua evoluzione interiore favorita dal confronto con un personaggio come Abdallah. Questa parte ricorda il Bildungsroman, il romanzo di formazione classico, ma si specchia sempre con la componente storica e la parte costituita dal diario di Charlot.

Il terzo tempo è, appunto, il tempo del diario di Edmond Charlot, la parte più avvincente, quella che prende di più. Un diario costruito così bene che, mentre si legge, ci si domanda se l’autrice lo abbia trovato veramente in qualche angolo di Algeri e lo abbia potuto consultare. Invece è un diario inventato, ma dove di inventato non vi è nulla. Ci passano davanti personaggi di grande spessore e ci emoziona vederli citati e leggerli: nell’Algeri del 1935-36 è citata la libraia Adrienne Monnier, quella Adrienne Monnier che accolse e raccolse numerosi scrittori e scrittrici nella sua libreria, la Maison Aux amis des livres e che cercò di aiutare Walter Benjamin, quando era esule a Parigi, fornendogli testi, dandogli uno spazio in cui poter studiare, un angolo in cui potersi riparare. Ma è più volte citato anche il grande Jean Grenier, professore universitario, e di cui si dovrebbero leggere due magnifici libri, disponibili anche in italiano, dedicati al Mediterraneo: “Isole” (Mesogea. 2003), “Ispirazioni mediterranee” (Mesogea. 2003). E ancora l’Algeria degli anni 37-39 in cui spiccano l’amore per i libri e le preoccupazioni per i destini dell’Algeria.  E dove compare Camus che non è ancora il Camus noto che vincerà il Nobel nel 1957. E si potrebbe continuare con l’Algeria del 1940-44 dove troviamo citato, con nostro stupore e piacevole sorpresa, Fernando Pessoa:

“Ricevo anche molte lettere di Armand Guibert che ormai vive in Portogallo. Mi parla spesso di Fernando Pessoa e insiste che bisognerebbe tradurlo e farlo conoscere anche in Francia”. (Pag.95).  

E ancora, nella stessa pagina, l’importanza attribuita ai libri e alla cultura che viaggiano da sponda a sponda:

“Grazie agli amici piloti, ora i miei testi arrivano anche in Libano, Egitto e Sudamerica. Prima di partire in missione, passano da me a prendere pacchi di volumi che poi vendono ai librai del posto. Sono un editore internazionale!” (Pag.95).

E scorrono ancora davanti a noi le immagini di Giono, Gide, Saint Exupéry, alla cui tragica morte sono dedicate pagine toccanti:

3 agosto 1944. Le voci che circolano da qualche giorno son vere: Sanit-Exupéry è morto in volo. Uno dei ricordi più belli che ho di lui risale a un pranzo a casa di un amico comune. Quando sono arrivato c’erano già tutti, tranne Antoine. L’abbiamo aspettato a lungo, allora mi sono affacciato inquieto alla finestra per controllare: era seduto sul marciapiede, sotto un sole accecante, in mezzo a uno sciame di bambini in fibrillazione. Gli stava costruendo degli aeroplanini con la carta argentata delle barrette di cioccolata distribuite dall’esercito. Le portava sempre con sé e le regalava ai ragazzini che incontrava per strada. Gli aeroplanini volteggiavano nell’aria e i bambini li rincorrevano con la faccia sporca di cioccolata, saltavano per cercare di afferrarli… Addio, Antoine!” (Pag. 100-1).    

Pagine di diario bellissime sono quelle di Parigi 1945-49, di Algeri 1959-60 dove, ad un certo punto, il 4 gennaio 1960, si parla della morte di Camus semplicemente invocando il suo nome: 

“Camus!” (Pag. 153).

E il 5 gennaio:

“Stavo assistendo alla consegna di un premio di pittura quando ho ricevuto una telefonata. Non sono riuscito a riconoscere la donna all’altro capo del filo. Continuava a piangere e a ripetere ‘è morto, è morto’. Mi ci sono voluti almeno cinque minuti per capire di chi stesse parlando” (Pag. 153).

Poi ci sono i terribili giorni di Algeri del settembre 1961, con gli attentati dell’OAS che colpiscono la libreria:

16 settembre 1961. La libreria è completamente devastata. Non è rimasto niente, ho perso tutto: gli appunti di lettura di Camus, la corrispondenza con Gide, Amrouche e gli altri. Migliaia di libri, documenti, foto e manoscritti distrutti. I miei preziosissimi archivi sono andati in fumo!… Cos’hanno voluto distruggere? Chi hanno voluto colpire?” (Pag. 178).

Leggendo questa parte del diario non può non venire alla mente un altro libro, quello di Joseph Andras, insignito del Goncourt per la miglior opera prima e da lui rifiutato, per  “Dei nostri fratelli feriti” (Fazi. 2017). Andras narra la storia di Fernand Iveton, militante comunista algerino, condannato a morte durante la guerra d’Algeria e scava nel clima drammatico, tragico di quell’epoca. Pagine che si rimandano l’una con l’altra, pagine che ci fanno comprendere come in Francia la Guerra d’Algeria (come la Repubblica di Vichy), sia un lutto inelaborato, una memoria ingombrante, uno spettro che si aggira ad assillare l’inconscio dei francesi.  Anche se recentissimamente il presidente Macron ha riconosciuto che la Francia usò la tortura contro la popolazione civile in Algeria. Riconoscimento che potrebbe essere un passo verso l’elaborazione del lutto, un passo per integrare una memoria scissa.

Tornando ad  Edmond Charlot egli si domanda chi hanno voluto colpire. Hanno voluto colpire i libri. I libri che sono memoria, i libri che sono testimonianza, che sono denuncia, che rendono imperscrittibili i crimini commessi contro l’umanità, che uniscono le sponde, quelle sponde che anche Camus avrebbe voluto unire sia nella sua vita privata, sia nella sua vita letteraria.

Come si può constatare il diario di Edmond Charlot non ha nulla di autocelebrativo. Ci sono momenti in cui è drammatico, ci sono momenti in cui vengono confidate al lettore le amarezze, gli scontri per la gestione della casa editrice, le idiosincrasie personali di alcuni autori. E, come si diceva più sopra, la grande bellezza di queste pagine è data dal fatto che si crede di leggere un diario vero. E’ che  gli accadimenti descritti sono veri, le atmosfere sono vere, l’impresa a cui si accinse Edmond Charlot è vera.

Sia nel tempo della Storia, sia nel tempo della storia di Ryad viene utilizzato un interessante noi narrativo. Una scelta non casuale e molto efficacie. E’ un noi che indica gli algerini, è un noi  che indica gli abitanti del quartiere in cui è collocata la libreria, è un noi, dunque, che indica una collettività e una identità condivisa. Un’identità condivisa con cui affrontare le temperie della Storia. Ma, dal punto di vista della tecnica narrativa, è anche un noi che permette ad Adimi di non servirsi di un narratore onnisciente. 

Possiamo concludere che i veri protagonisti del romanzo sono i libri, sono i libri che, come questo, ci aiutano a capire, a riflettere, ci fanno venir voglia di approfondire i temi trattati. Perché i libri sono uno degli antidoti che ci restano da contrapporre alla barbarie avanzante, alla barbarie imperante.

Lo scaffale di Andrea: La Libreria della Rue Charras