Così divenni una testimone inattendibile e una vittima perfetta.

Io sono Una

C’è una tavola di “Io sono Una”, tradotto dall’inglese da Marta Barone per Add editore, che rende a perfezione il senso profondo del graphic novel.

Due pagine nere, squarciate sulla pagina di destra dal bianco che, come un velo lugubre che si solleva, mostra Una, vittima e vestale, con le mani alzate nell’ambiguo gesto di sollevare il velo di silenzio e di tenebre che cade sulla violenza e nello stesso tempo atto di resa, come quello di una vittima che non ha gli strumenti per difendersi.

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Tre sono gli elementi che si intersecano nella narrazione: il terribile caso dello Squartatore, un serial killer armato di coltello e martello che perseguitava le donne dello Yorkshire a metà degli anni Settanta, risolto solo nel 2007 grazie alle prove del DNA che incastrarono Ronald Castree, più volte interrogato ma mai incriminato; la vicenda personale di Una, che nel 1975 incontra un uomo che dice di chiamarsi Damian, il primo a sfruttare la sua ingenuità di bambina; e infine la disamina antropologica che con straordinaria lucidità e autenticità svela tutti i meccanismi consci e inconsci che rendono le donne vittime.

Un libro duro, sferzante, annichilente, che parte da un assunto drammatico e disturbante:

La polizia, la stampa, l’opinione pubblica si concentravano nel cercare prove di “facili cosumi” nelle vite delle donne, sempre più numerose, che venivano aggredite. Dopo tutto, dovevano aver fatto qualcosa di terribile per meritare di essere aggredite in modo tanto orrendo – e qual è la cosa peggiore che una donna possa fare?

Questo vale sia per la storia più grande, come la chiama Una, dello Squartatore, che la perseguita per tutti gli anni della formazione, sia per la sua piccola storia personale, dove con la perdita della reputazione Una fa parte di una diversa categoria femminile, che la isola nella vergogna.

Clicca sulla copertina per accedere alla scheda sul sito della casa editrice Add editore.
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A Una mancano le parole per comunicare quello che ha subito e che è costretta ad affrontare, e agli altri, genitori insegnanti terapeuti medici, adulti in generale, manca la comprensione e forse anche la volontà di comprendere. Anche questa volta è al disegno che è affidato il compito di rendere il senso profondo di questo disagio esistenziale che rende la vita delle donne un inferno. Una aggrappata a un balloon vuoto; Una che trascina un balloon vuoto che è il fardello pesante del silenzio; Una sospesa a balloon riempiti di parole, le uniche armi per provare a cambiare le cose.

Potrei soffermarmi su ogni singola illustrazione, sulla grafica con cui le parole vengono dislocate nel testo, sul senso del nero e del bianco, il valore metaforico di alcuni disegni, in particolare i dettagli naturalistici come gli alberi o gli animali, la forza dirompente che immagini e testo creano non solo nell’andamento narrativo della storia, ma anche nelle parti in cui è prevalente il tono saggistico, in cui si dà spazio alla spiegazione del fenomeno, dalla misoginia al femminicidio alla differenza di genere. Ma lascio al lettore il piacere brutale della scoperta di un’opera formidabile. Per mio conto, non sono riuscita a rimanere seduta a lungo, mentre lo leggevo. Ho avuto bisogno di numerose interruzioni, di alzarmi per riprendere fiato e sgranchire i muscoli contratti durante la lettura, per poi essere di nuovo calamitata in una storia che ci riguarda tutti. Con tutti non intendo solo le donne, ma il genere umano nella sua integrità e nella molteplicità delle sue funzioni, di genitori di maestri di medici. Perché il velo che Una squarcia nel libro è quello di una storia che riguarda tutti, non solo le donne e tantomeno un certo tipo di donna, come si preferì credere durante le indagini sullo Squartatore, per affermare una libertà che sia autentica e vera.

Il finale è toccante e straziante: di nuovo le parole cedono spazio ai disegni, con i quali Una exegi(t) monumentum aere perennius.

Io sono Una
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