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– Beh, ti avrei invitata in libreria, no?

Ha ragione Giovanni Turi, responsabile della collana “Fondanti” di TerraRossa edizione, uno dei blogger più accreditati e preparati della rete con “Vita da editor” e naturalmente editor in prima persona: non ci poteva essere un invito diverso.terrarossa-edizioni-terra-rossa-collane-fondanti-sperimentali-gravina-in-puglia-logo-dark

– Se la libreria è provvista di angolo bar, ancora meglio! 

francesco-dezio-nicola-rubino-e-entrato-in-fabbrica-terrarossa-edizioni-terra-rossa-collane-fondanti-sperimentali-gravina-in-puglia-copertinaIncalza Francesco Dezio, che con “Nicola Rubino è entrato in fabbrica” inaugura la collana.

Immaginate, dunque, noi tre, nel bar annesso a una libreria (che ora va anche tanto di moda!) con dietro le spalle, uno scaffale dedicato alla neonata casa editrice e al consapevole progetto editoriale da cui è sorta.

“Nicola Rubino è entrato in fabbrica” o per meglio dire è ritornato in fabbrica, in una duplice accezione. Da una parte la pregevole iniziativa di creare la collana “Fondanti” diretta da Giovanni Turi in cui trovano spazio, cito testualmente: opere che hanno segnato un’epoca o hanno rappresentato un tassello fondamentale nel percorso narrativo di autori di talento sono oggi introvabili: questa collana le riproporrà in una nuova edizione affinché possano continuare a conversare con i lettori. Dall’altra perché come si evince dall’esaustiva prefazione di Francesco Dezio alla nuova edizione del suo romanzo, quel nuova equivale a rinnovata, rivista, rimaneggiata e dunque riattualizzata dallo stesso scrittore.

Operazione interessante sotto tanti punti di vista, sia editoriali che narrativi, e che rinvigorisce e dà spessore all’idea che i libri non hanno scadenze, quando nascono da un’urgenza e raccontano con autenticità, entrambe caratteristiche che “Nicola Rubino è entrato in fabbrica” mostra, a distanza di tempo, di possedere.

Vorrei cedervi la parola su questo punto, perché siate voi a spiegare, Giovanni Turi dal punto di vista editoriale e Francesco Dezio da quello narrativo, in che senso il romanzo è un fondante e quali sono i motivi che lo riportano nuovamente in libreria. Dove l’accento è posto sul nuovamente.

Dal 2004 al 2017: Nicola Rubino entra o ritorna in fabbrica? Sarebbe stato lo stesso se il libro fosse restato in libreria, o il ritorno aggiunge qualcosa di fondamentale a ciò che racconta?


Francesco DezioLo giudico un vero e proprio ritorno. Mi sono sbarazzato di alcuni elementi di sperimentalismo che riletti oggi mi parevano pura effettistica, un modo per barare col lettore (come Carver insegna) che nulla aggiungevano alla narrazione, con l’obiettivo (raggiunto, si spera) di inchiodare il lettore alla pagina senza dargli tregua. C’è più densità narrativa rispetto a prima e scene meglio raccordate. Ad esempio, ho potuto approfondire almeno un paio di personaggi, il medico di fabbrica e l’operaio Terminator. Qualche scena è stata completamente “rigirata” e si svolge in modo diverso sia per i dialoghi, sia nella modalità di racconto. Anche stilisticamente, in generale, credo di esser migliorato, la lingua la sento meno spigolosa, con qualche digressione in più da parte del narratore. Ho aumentato il tasso di idioletto – l’intreccio tra italiano parlato e materiale dialettale – nei dialoghi tra operai. Una delle operazioni più rischiose è stata quella di ricondurre il tutto al presente, una provocazione tesa a dimostrare come le merci potranno pure andare in obsolescenza e venir facilmente rimpiazzate ma i rapporti di forza e le dinamiche (spesso servili) che intercorrono tra operai, capi e capetti rimangono immutate, ieri come oggi. L’ho fatto anche per dimostrare che questo romanzo, detratti quegli elementi, o a prescindere da quelli, non sia invecchiato di una virgola e parli ancora ai suoi lettori e che male ha fatto, l’editore Feltrinelli, a mandarlo frettolosamente al macero.

 

Libri nel BorgoFrancesco Dezio è stato tra i primi scrittori degli Anni Zero (insieme a Giorgio Falco e a Michela Murgia) a ricondurre la narrativa su temi importanti come la precarietà lavorativa e la dissoluzione dello spirito corporativo all’interno delle classi sociali più deboli. Ecco perché “Nicola Rubino è entrato in fabbrica” è un “fondante”: i problemi che affronta non sono stati risolti, anzi. Ritengo poi che il venir ripubblicato in una nuova edizione gli abbia giovato: l’autore ci ha rimesso mano dopo aver affrontato nuove letture e rinunciato ad alcune forme di sperimentalismo fini a se stesse. Insomma credo che Dezio non sia più un talentuoso e sregolato scrittore, come al suo esordio, ma abbia raggiunto la piena maturità artistica (e lo dimostrerà con il prossimo romanzo, La gente per bene).

 

 

Inoltre, come Francesco Dezio ha ben evidenziato nella prefazione, “Nicola Rubino è entrato in fabbrica” ha segnato anche gli inizi di una letteratura che ha poi avuto un fertile filone, di cui Dezio traccia un interessante excursus, a cui mi permetto di aggiungere il recente “La piena” di Cisi per Minimum fax. Quindi ancora più grave il macero.

Una letteratura di fabbrica, o nel caso del romanzo di Dezio “in” fabbrica, perché il lettore non entra semplicemente in fabbrica con Rubino ma ci rimane prigioniero, in una narrazione di interni che si svolge integralmente nella fabbrica. Scelta felice, a mio avviso, per ottenere l’obiettivo di incastrare e inchiodare il lettore alla pagina (obiettivo perfettamente raggiunto per me) e farlo sentire partecipe delle dinamiche di potere e forza che vi si giocano.

Sarà questa “chiusura” che ha preservato l’attualità del romanzo?

Francesco DezioPuò darsi. Come giustamente diceva Giovanni, è un libro che, nel 2004, aveva colmato un vuoto: è dagli anni del boom economico che in narrativa il tema delle fabbriche e degli operai era sparito completamente (Volponi, Parise, Balestrini, Ottieri e più tardi Di Ciaula): da lì in poi, come si è visto, la grande editoria volle puntare qualche spicciolo, ponendo l’accento sugli aspetti più sociali ed eclatanti del fenomeno per ingabbiarlo in una moda (la narrativa sul precariato), esautorandolo della carica eversiva, mettendo in secondo piano gli aspetti letterari, che per me sono un tutt’uno: c’è il tema e poi il modo in cui uno lo articola. Che non si trattasse semplicemente di una moda lo dimostra il fatto che nell’ultimo periodo sono usciti un paio di testi importanti per la nostra narrativa, “Effetto Domino” di Romolo Bugaro (2015) e “Works” di Vitaliano Trevisan (2016), tutti di Einaudi, e come facevi notare, continuano a uscirne. 

 

Per allargare la domanda a Giovanni Turi, ci sarà un’attenzione della collana “Fondanti” alla letteratura in fabbrica, o gli orizzonti della stessa rimangono aperti a ogni tematica?

Libri nel BorgoIn realtà Fondanti avrà un orizzonte molto ampio, perché l’idea di base è il recupero di opere importanti ormai fuori catalogo; più lineare sarà invece la direzione della collana di inediti. In ogni caso, oltre che al mondo del lavoro, i romanzi di Sperimentali saranno attenti alla contemporaneità in ogni suo aspetto, proveranno a sondare e a dare espressione ai mutamenti, alle criticità che affrontiamo. Ma si tratta appunto di narrativa, per cui, al di là delle tematiche, è lo stile che conta.

 

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E allora veniamo allo stile di “Nicola Rubino è entrato in fabbrica”.

Dialoghi incalzanti, descrizioni fulminanti, essenzialità della narrazione, con un’attenzione alla lingua, come Dezio ha già evidenziato, che è, a mio avviso, uno degli elementi più forti dello stile del romanzo. Roberto Saviano definiva “Nicola Rubino è entrato in fabbrica” un romanzo vero. A mio avviso, parte della verità del romanzo è anche nella prosa di Dezio e nella sua aderenza al reale. Reale e ironia, per lo più sferzante, che si incrociano e si amalgamano per darci un quadro autentico della vita di fabbrica, ma anche della psicologia dei personaggi, a partire da Nicola.

C’era nei tuoi intenti, Francesco, la ricerca di uno stile del vero? o invece sono stati il tema e la materia trattata a costringerti a un determinato stile?

Francesco DezioLo scrittore che da sempre mi ha influenzato è Céline: dopo averlo scoperto, ho svoltato il modo di vedere le cose e qualcosa ho capito sul modo in cui si poteva riplasmare il linguaggio (e il suo era espressionista, argotico, inclassificabile – e inqualificabile –, cinetico e iperbolico come in un fumetto) e suggerire un’idea di autenticità, ma anche di un viaggio a fondo, esasperato e dolente, dentro sé stessi. Nel frattempo – sempre in quegli anni – mi appassionai anche ai romanzi di Bret Easton Ellis, scrittore apparentemente agli antipodi (una scrittura controllata, lineare, priva di ridondanze o coloriture gergali: adoro il modo in cui scrive quei dialoghi, fondati sul nulla più assoluto per illustrare la degradazione e la decadenza del mondo occidentale), ma al pari del genio francese è feroce e satirico allo stesso modo. Questa ricerca della verità si manifesta nel voler esprimere un mondo per bocca di personaggi che sono un facsimile degli operai, la gente vera con cui sono andato a impattare e mi vedo ancora (gente che solitamente si tiene alla larga dal mondo dei libri): vivendo in provincia gli spunti non mancano.

 

E per i Fondanti, qual è la definizione di stile che conta e che racconta la collana?

Libri nel BorgoSia per Fondanti sia e ancor più per Sperimentali non c’è una linea stilistica predeterminata, proprio perché quel che conta è la ricerca da parte dei nostri autori di una scrittura personale, nuova e incisiva, che possa seguire tracciati mai percorsi o allargare quelli già battuti.

 

 

Un mondo prettamente maschile quello di “Nicola Rubino è entrato in fabbrica” anche nella caratterizzazione delle sporadiche donne presenti, che hanno tratti virili e machisti.

Un dato di fatto o un’esigenza narrativa?

Francesco DezioUna coincidenza, ma è sintomatica e dunque suscettibile di analisi in quanto congruente alla realtà, trattandosi di un romanzo in larga parte no-fiction. Il mondo della competizione (dall’arte della guerra al lavoro) è stato fondato dagli uomini, basato su categorie mentali maschili, anche quando i personaggi sono femminili, a partire dalla psicologa che si occupa della selezione nel colloquio di lavoro nei primi capitoli.

 

Ci sono voci femminili nei Fondanti? Con questa domanda non voglio entrare nello specifico di una discussione di genere all’interno del mondo editoriale, ma è mossa dalla curiosità di scoprire le scrittrici che possano aver segnato un percorso letterario come Dezio.

 

Libri nel BorgoCerto che sì! Il prossimo romanzo che ripubblicheremo in Fondanti sarà “Adesso tienimi” di Flavia Piccinni, che fu per Fazi un piccolo caso editoriale: ha per protagonista una giovane donna ed è una storia di solitudine e ribellione scritta da un’autrice allora ventenne, ma che dava già prova del suo talento.

 

 

Eccoci all’ultima domanda.

Accennavi nella prima risposta, Francesco, alla provocazione insita nel ricondurre la narrazione di “Nicola Rubino è entrato in fabbrica” al presente. Qual è stata la difficoltà maggiore in termini narrativi? E quali elementi della narrazione avresti preferito trovare datati a più di dieci anni, e invece sono ancora lì a rappresentare il nostro presente?

Francesco DezioDopo tanti anni, la “rabbia narrativa” è decantata e ho potuto guardare a questa vicenda come se non mi riguardasse affatto, freddamente, con la consapevolezza di un narratore più maturo. Non ho avuto grande difficoltà: in poche settimane di full immersion sono riuscito a epurarlo dagli elementi eccessivamente autobiografici e a sostituire le merci obsolete con le nuove. I personaggi sono isolati, tutto ciò che si svolge al di fuori dei cancelli della fabbrica non riguarda il lettore ed è stato volutamente omesso. Quel poco che accade è in periferia, negli esterni della zona industriale. Quel mondo non è cambiato. Tredici anni dopo mi sarei aspettato una realtà migliore, ma su questo non mi soffermo perché è quanto andrò a descrivere nella mia prossima opera.

L’aspetto allora con crescente curiosità.

 

Per Giovanni, a partire proprio dal romanzo di Francesco Dezio che inaugura la collana dei Fondanti e scorrendo gli altri titoli che ne fanno parte, qual è la rappresentazione del presente che si può tracciare attraverso la collana?

Libri nel BorgoIl presente che emerge dai titoli della collana è tutt’altro che rasserenante: vede genitori che per distrazione o incapacità hanno rinunciato alle proprie responsabilità, ragazzi alla deriva, privi di riferimenti, senza prospettive (Né padri, né figli e Adesso tienimi); un orizzonte lavorativo sempre più angusto, in cui è quasi impossibile realizzare le proprie ambizioni o quanto meno provare a non rinunciare alla propria identità e umanità (Nicola Rubino è entrato in fabbrica e Il cadetto). Tuttavia, nulla ancora è perduto e la forza della letteratura è anche quella di aumentare la nostra consapevolezza, generando così la possibilità di un cambiamento.

 

 

 

 

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Chiacchierando con… Francesco Dezio e Giovanni Turi