di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

 

16736255_10212643547072257_1435781430_nVIAGGIO IN IRAN

Una libreria strapiena in ogni ordine di posti in un sabato sera sanremese per sentir parlare di Iran e letteratura. Del resto dalla fine degli anni Settanta l’Iran è periodicamente sotto gli occhi dell’Occidente, come unico Paese ad aver stabilito una teocrazia di stato dopo aver rovesciato il regime filo occidentale dello Scià, e come luogo di fermento culturale in tutte le arti creative, malgrado la repressione, per la quale gli abitanti vivono una doppia vita, tra un pubblico di adesione ad un modello che sentono sempre meno e un privato in cui si sognano altri stili di vita. Per capire l’Iran ci sono sicuramente numerosi saggi e approfondimenti, ma lo sguardo impietoso e intenso che lanciano alcuni libri di narrativa può aiutare più di molte opere accademiche e paludate.

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Un vero e proprio viaggio per immagini e parole quello che ci ha fatto fare sabato 11 febbraio alla Libreria Diari di bordo Antonello Sacchetti, giornalista e blogger, facendoci accostare a una terra difficile ma sorprendente come l’Iran. Cultura, luoghi, odori, sapori in un racconto che ci ha portato a scoprire l’Iran e la civiltà iraniana, tra deserti, siti archeologici e personaggi significativi, a partire dall’ultimo libro pubblicato dal giornalista e blogger ed edito da Infinito edizioni dal titolo “La rana e la pioggia. L’Iran e le sfide del presente e del futuro”.
Secondo una credenza popolare del nord dell’Iran, quando tre rane cantano vuol dire che sta per piovere. “La pioggia quando arriva?”, chiede Nima Yooshij alla rana in una sua celebre poesia del 1952: una metafora della rivoluzione, ma anche una premonizione. Di lì a poco, infatti, l’Iran avrebbe conosciuto il golpe anti-Mossadeq, la “rivoluzione bianca” voluta dallo scià per modernizzare il Paese, la rivoluzione del 1979 e la nascita della Repubblica islamica. Un Novecento vivace e drammatico ha portato nel terzo millennio un Iran con un’identità forte e apparentemente immutabile. E oggi, all’indomani dello storico accordo sul nucleare, la Repubblica islamica sembra in procinto di entrare definitivamente nel mercato globale. Il libro di Sacchetti si interroga su quali sfide e quali compromessi concentrarsi per salvaguardare una cultura e un popolo millenario. Insomma: “La pioggia quando arriva?”. “La rana e la pioggia” è un viaggio nell’Iran dei nostri giorni, attraverso il complesso e affascinante rapporto tra Paese e modernità.
“Sacchetti offre al lettore tanti diversi frammenti. Appassionato di cultura persiana, ne ha studiato la lingua e – come gli iraniani – intercala prosa e poesia. Il risultato è una lettura scorrevole, piacevole. Con la politica a fare da filo conduttore con i suoi protagonisti”. (Farian Sabahi).

Tra le novità più recenti che si possono trovare tra gli scaffali dei Diari, a proposito di Iran, c’è “Il Grande Iran” di Giuseppe Acconcia edito da Exòrma.
L’Iran è il paese del dispotismo e delle lotte interne, il più democratico del Medio Oriente per cultura politica e civile. Il popolo iraniano vive un momento unico, dove tutto è il contrario di tutto: la libertà è ipocrisia, la religione è politica, la carità è profitto. L’Iran è un paese ora essenziale, forse suo malgrado, per la soluzione dei principali conflitti, innescati proprio da attacchi esterni, dalla Siria all’Iraq fino all’Afghanistan. Questo libro è il frutto di dieci anni di vita, di viaggi e ritorni in questo paese di Giuseppe Acconcia, uno dei più accreditati corrispondenti italiani dal Medio Oriente. Il titolo del libro è un riferimento agli intrighi russi, statunitensi e britannici, paesi che hanno manipolato la Persia sin dall’Ottocento, riportati nel classico di Peter Hopkirk “Il Grande gioco”, ma è soprattutto una riflessione critica sul progetto dell’ex presidente Usa, George W. Bush, di Grande Medio Oriente. Se la politica estera della Repubblica islamica non ha mai assunto un atteggiamento aggressivo dopo il 1979 e neppure ha perseguito forme di esportabilità del modello khomeinista, ci ha pensato la cieca politica estera Usa a creare il mito del Grande Iran.
«Tehran è una città bizzarra. Vista dall’alto sconvolge con i suoi 15 milioni di abitanti che si riversano su strade straripanti di macchine, taxi e moto. Quella di Tehran è una ricchezza degradante che si trasforma in povertà nel Sud.
A Nord si innalza una montagna alta più di seimila metri e innevata quasi per tutto l’anno, oasi di libertà e di incontri fugaci. A Sud si trova un bazar grande quanto una città con moschee, venditori, caravanserragli e vecchi hammam, grandi parchi dove famiglie e giovani restano per ore di giorno e di notte fumando un galium (narghilè). Per i ragazzi solo pochi sono i caffè aperti fino a mezzanotte dove ci si concede maggiore libertà. Le librerie su Via della Rivoluzione espongono locandine dimenticate di opere di Nietzsche e Khayyam. Buchi vendono pane in forni di pietra o espongono frutta e frullati da bere intorno a Piazza della Rivoluzione. Murales inneggiano ovunque all’Intifada palestinese, ricordano i martiri della guerra contro l’Iraq o semplicemente rappresentano un mondo che tanto confina con l’Oriente da subire le intromissioni più esasperate dell’Occidente».

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Di cambiamenti del nuovo Iran di fine millennio e di come è l’altra faccia delle donne iraniane si parla nel romanzo di Louise Soraya Black,”Il cielo color melograno” edito dalla casa editrice 66thand2nd. Un Iran fatto di passione e coraggio quello privato e intimo della femminista Layla, protagonista ventiquattrenne del libro. Layla sogna di andare a vivere a Londra dalla cugina, proprietaria di una pasticceria specializzata in prelibatezze persiane. La sua Teheran è schiacciata dal pugno di ferro degli ayatollah: poche sono le opportunità concesse alle donne, costrette a indossare il velo nei luoghi pubblici e a obbedire alla famiglia nella vita privata. Ma Layla, indipendente e istruita, rifiuta di sottomettersi alla morale dominante come alle continue proposte di matrimoni combinati organizzati dalla madre. E un giorno conosce Keyvan, pittore misterioso, con il quale intreccia una relazione clandestina che viola tutte le regole della loro società. Ma alla morte improvvisa dello zio, un giornalista dissidente, antichi segreti e nuove, sconcertanti rivelazioni fanno vacillare in Layla, donna laica e libera, le certezze più radicate e per non perdere sé stessa è costretta a scegliere la solitudine al posto della menzogna. Con una struttura narrativa a flashback, l’esordiente Louise Soraya Black ripercorre trent’anni di storia dell’Iran, offrendo un ritratto garbato dei legami familiari e delle tensioni sociali di un paese pieno di ricchezza e contraddizioni.

Contraddizioni e drammi che vengono da molto lontano come si evince dal bellissimo romanzo “Concerto per mio padre” scritto da Yasmine Ghata e pubblicato da Del Vecchio Editore nella collana Formelunghe. Un romanzo breve e delicato e secondo molti critici ancora più intenso del celebrato “La bambina che imparò a non parlare”. Un romanzo accompagnato dal suono del Tar, lo strumento orientale che ha dentro la storia dei popoli. Alla morte di Barbe Blanche, Hossein riceve in eredità il Tar che si trasmette nella famiglia, di generazione in generazione, al figlio maggiore. Ma lo strumento non accetta il nuovo padrone. Sembra quasi che voglia ribellarsi. Sembra solo un pezzo di legno. Impossibile trarne i meravigliosi accordi della grande tradizione iraniana. Unica possibile scelta per Hossein, bruciare le corde e, accompagnato da Nur il fratello minore, partire in cerca del più famoso liutaio della regione. Andare ad Ardabil. Ma durante il viaggio il Tar di Barbe Blanche viene rubato. All’arrivo, troveranno la prigionia, la vendetta di un passato che accusa, che imputa loro un terribile delitto, ma anche la verità, l’espiazione. Hossein dovrà soffrire e diventare cieco, anche lui come Moshem, il musicista ispirato da Allah, che con le sue note sapeva toccare il cielo. Per riparare fino in fondo al delitto commesso dal padre putativo, si dovrà accollare fino in fondo la pesante eredità del morto, nei confronti del suo popolo. Due fratelli, insomma, un tradimento, un atroce e inutile delitto. Il tutto accompagnato dalla musica, incantatrice, una melodia di un paese lontano in grado di trasformare la realtà. Lentamente, con delicatezza e con la sapienza di un cesellatore esperto, Yasmine Ghata ci racconta una storia lontana, incorniciando ogni figura di arabeschi che si intrecciano alle note di un târ. Pian piano, si forma davanti ai nostri occhi la nitida immagine di un tempo indefinito, eterno perché universale. Il tutto condito da una scrittura elegante e avvolgente .
“Alla morte di Barbe Blanche, mio padre, ricevetti in eredità il târ che si trasmette nella mia famiglia di generazione in generazione. Ma immediatamente lo strumento mi si ribellò contro, rifiutandosi di librare quegli accordi incantevoli e mistici che hanno fatto la gloria dei musicisti dell’Iran. Sotto le mie dita, e al mio carezzare le corde, sembrava solo un pezzo di legno senza vita, senza vigore. Ero forse maledetto? Che crimine dovevo espiare? O forse il târ custodiva dentro quei sinuosi fianchi di legno un segreto troppo pesante per poter vibrare come un tempo, leggero e suadente? Così ho strappato le corde, le ho bruciate e seppellite dietro casa. E sono partito alla volta di Ardabil, in cerca del più famoso liutaio della regione. Ma cambiare le corde di un târ equivale a cambiare la sua stessa anima e quella del musicista che lo possiede. E adesso che sono qui, rinchiuso con mio fratello Nur in questa cella di polvere e silenzio a scontare una condanna inclemente e sconosciuta, adesso che la vista mi sta abbandonando e che non riesco più a distinguere il giorno dalla notte, adesso che questo buio diventa sempre più mio senza voce e senza sguardi, ho paura. Ho paura di non tornare mai più.”

16779950_10212643540272087_1697059140_nNel provare ad accostarci a questa terra complicata come l’Iran, attraverso i libri, non possiamo trascurare un libro non recentissimo pubblicato da Nottetempo nel 2011 da un giornalista nato a Teheran, che dal 1960 vive in Italia, Bijan Zarmandili. Esperto di politica del Medioriente con “I demoni del deserto” ci porta al 26 dicembre del 2003 quando un terremoto cancella la città di Bam. Dal deserto che circonda la città di Bam si alza un Bad-e-margh, un vento di morte, e in pochi secondi il terremoto annulla il paesaggio. Dell’intera famiglia, Agha Soltani e sua nipote Hakimè sono i soli sopravvissuti. Dopo la catastrofe, al tramonto, comincia il loro viaggio a piedi verso il mare, in direzione del Golfo, nel tentativo di ricostruire dalle macerie una nuova vita. Agha Soltani è sempre stato un maestro, ma nulla capisce di Hakimè, bambina silenziosa e ossessionata dal sangue, presenza perturbante per chiunque la incontri, con il suo incarnato scuro su cui spiccano due occhi verdi a cui si offrono visioni di un mondo che non esiste. I loro passi saranno scanditi dalle risate dei jinn, i demoni del deserto che fanno sperdere le carovane e impazzire i fanciulli, e forse la stessa Hakimè, ma che si incarnano pure nei trafficanti di uomini, nei ladri di bambini e nella banda di Amir Khan che attenta all’esile unione tra nonno e nipote. Zarmandili descrive un’odissea contemporanea, un moderno racconto epico attraverso un mondo antico, in cui le leggende e le magie e le fascinazioni s’intrecciano alla cronaca dei nostri tempi di guerra.

Ci parla di Iran da un’altra prospettiva, quella della letteratura dei migranti, il bel libricino della casa editrice Keller dal titolo “Cielo di sabbia”, raccolta di racconti della scrittrice d’origini iraniane Sudabeh Mohafez.
Nessuno sguardo è tranquillo e in pace come può sembrare, nessun silenzio è uguale. Ci vogliono molta fortuna e molto coraggio per trovare un proprio posto nel mondo. Sembra volerci dire questo Sudabeh Mohafez, scrittrice iraniana trasferitasi in Germania a sedici anni, in questo libro delicato e duro, poetico e realista allo stesso tempo.
Una manciata di storie ci trasporta in un Iran e in un’Europa che come non mai ci appaiono vicini e famigliari, tra le vite di donne, bambini e figli tutti coinvolti in situazioni che sembrano senza via d’uscita e senza speranza. Ma ogni volta la vita riesce a regalare l’occasione della scelta giusta.
Il coraggio di donne silenziose, la paura dei bambini di fronte a genitori assenti o addirittura prepotenti e violenti, la nostalgia degli emigrati, si perdono nella polvere della Teheran degli anni Settanta o nei rumori di una qualsiasi metropoli europea dei giorni nostri. Questo libro propone in modo molto originale un mondo sempre diviso tra due punti di vista: quello dei luoghi che lasciamo e quello dei luoghi che abitiamo. A riempire lo spazio tra i due: un mare, miraggi di montagne lontane migliaia di chilometri e storie. In “Sedimento”, il secondo racconto, il Monte Damavand si presenta nei cortili di Berlino o sullo sfondo della Sprea ad interrogare col suo massiccio silenzio l’intimità della narratrice. Quasi fosse la montagna che va da Maometto. Solida ed evanescente ad un tempo, l’immagine del Damavand è il correlativo oggettivo del passato della scrittrice che torna prepotentemente ad occupare il suo orizzonte di pensieri, che torna a ricordarle il suo “esilio”, le sue radici: concrete e ombrose come il profilo di una montagna lontana. In “Luoghi”, il quarto racconto, l’astrattezza e il fiabesco caratteristici della letteratura classica orientale, mentre alleggeriscono le cose, sfumano i contorni e trasportano i fatti in una sfera quasi immateriale, si contaminano con la quotidianità fisica e legata alla corporalità delle cose della vita occidentale, suggerendo quasi la definizione di fiabesco-postmoderno. In “Davanti al trono di Allah”, forse il racconto migliore, o quantomeno quello con un respiro più ampio, si gioca a parti invertite. Stavolta siamo in Iran ed è la vita occidentale a giocare il ruolo della straniera spaesata. La colf Nâhiz, dopo essere stata licenziata dalla famiglia tedesca per la quale faceva le pulizie di casa, percorrendo con fatica le strade di Teheran sotto il suo chador si sforzerà inutilmente di rivelare un fatto scabroso, di regalare a quel rapporto con lo ‘straniero’ almeno un grano di verità. Verità non accettata e anzi “velata” dalla famiglia tedesca.

Un classico ormai sull’Iran è “Leggere Lolita a Teheran” scritto da Azar Nafisi, professoressa di letteratura inglese presso l’università Allameh Tabatabei di Teheran ed ora insegnante alla prestigiosa SAIS della Johns Hopkins University di Washington. Il libro è stato scritto in inglese negli Stati Uniti dove l’autrice si è trasferita nel 1997. “Leggere Lolita a Teheran” ci offre uno spaccato di storia dell’Iran raccontato da chi quella storia l’ha vissuta in prima persona ma è anche e forse soprattutto l’appassionante racconto di un seminario semiclandestino in cui per due anni sette giovani donne e la loro insegnante si concedono il lusso “nello spazio magico del suo salotto” di togliersi veli e chador che non per libera scelta ma per imposizione indossano e, tra caffè e pasticcini, storie private e critica letteraria, discutendo di Nabokov, Fitzgerald, Jane Austen ed Henry James, mettono a confronto finzione e realtà, fiaba e storia, sogno e concretezza del quotidiano.
La professoressa Nafisi decide di interrompere il suo insegnamento all’università Allameh Tabatabei, a causa delle continue pressioni della Repubblica islamica dell’Iran sui contenuti delle lezioni ed in generale sulla sua vita di donna. Tuttavia non lascia totalmente l’insegnamento, e decide di indire un seminario da tenersi ogni giovedì mattina presso la sua abitazione. Partecipano al seminario le sette studentesse migliori dell’autrice: Manna, Nassrin, Mahshid, Yassi, Azin, Mitra e Sanaz. Al seminario si discute di letteratura, in particolare di grandi romanzi come Lolita, Il grande Gatsby, Orgoglio e pregiudizio, Cime tempestose, Daisy Miller e Piazza Washington di Henry James, ma anche Invito a una decapitazione, Le Mille e una Notte e altri. Tutti vengono analizzati alla luce delle esperienze che le ragazze e la professoressa vivono nella repubblica islamica dell’Iran. Vengono fatti continui riferimenti al passato delle ragazze, a come e perché sono entrate in contatto con la professoressa Nafisi. Con il passare del tempo, durante il seminario, le ragazze fraternizzano e cominciano a raccontare i loro fatti privati. Si scoprono così i dettagli delle loro vite. Manna è una poetessa sposata per amore con un ragazzo anch’esso appassionato di letteratura di nome Nima. Azin, una ragazza molto bella, è sposata con un uomo molto ricco che la picchia. Sanaz è fidanzata con un ragazzo che vive in Inghilterra, che ha visto pochissimo. Yassi è l’allegra del gruppo. Nassrin è una contraddizione in termini e ha passato cinque anni in prigione. Ognuna di esse, a modo suo, espone le difficoltà di essere donna nella repubblica islamica dell’Iran, a partire dall’imposizione di un certo tipo di abbigliamento e dalle difficoltà della vita quotidiana. Nel romanzo compaiono anche altri personaggi come Bijan marito dell’autrice, il “mago”, i figli della Nafisi, vari professori e persone collegate al mondo universitario. Vengono fatti anche riferimenti a personaggi pubblici iraniani, a partire dall’ayatollah.

“L’Iran svelato delle donne” un reportage di viaggio tra le donne iraniane scritto da Vittoria Sangiorgio per La Caravella editrice. Un percorso dettagliato di due viaggi in Iran tra deserti, cime innevate, città e siti archeologici, ma soprattutto tra le emozioni delle donne e dei giovani incontrati al mercato, per strada, al parco o viaggiando su mezzi utilizzati dalla gente comune. Persone che si sono aperte rivelando il loro mondo e le loro aspettative in momenti indimenticabili. Come essere lì! Presenti e consapevoli di immergersi in un’altra civiltà in questo percorso dettagliato tra deserti, cime innevate, campagne e siti archeologici in cui non mancano le emozioni derivanti dall’interazione con i personaggi locali che ci fanno vivere momenti indimenticabili.

“Mettermi in gioco, esplorare il mondo per conoscerlo senza intermediari e poi scriverne: questo il senso che ancora una volta ho affidato al viaggio. Un viaggio nei luoghi meno accessibili dell’Iran, vissuto come intenso e costruttivo valore culturale per raccontare una realtà lontana, ma che può diventare più vicina di quanto ci aspetteremmo.”

“Tehran Echoes” è un libro fotografico di Pietro Masturzo e Carlo Maddalena edito da Postcart edizioni, che ha vinto numerosi premi tra cui il PREMIO World Press Photo 2009, il PREMIO Picture Of The Year 2009 e il PREMIO People in the News 2009.
È il giugno 2009 quando in Iran scoppia la rivolta. Una rivolta innescata da elezioni farsa e che in pochi giorni attraverserà Teheran come un fiume in piena, nutrendosi della città stessa e dei suoi sogni, ingrossandosi e rimescolandosi in istanze diverse, non amalgamate, ma unite in un fermo desiderio di riappropriazione del presente. Pietro Masturzo e Carlo Maddalena, freelancers presenti in Iran in quei giorni, sono stati testimoni e al tempo stesso protagonisti di quella lotta, sfidando il divieto imposto ai giornalisti stranieri e rimanendo al fianco degli studenti che si riprendevano strade e tetti della città, in una battaglia carica di simbolismi e rimandi. Poche settimane dopo, nel luglio 2009, tre giovani attivisti statunitensi, Shane Bauer (giornalista), Sarah Shourd (insegnante) e Josh Fattal (media-attivista), vengono arrestati al confine tra Iraq e Ira e detenuti per molto tempo nelle carceri iraniane. Tehran Echoes è il racconto di 30 giorni passati a Teheran da questi due Freelances italiani che sono stati testimoni e al tempo stesso protagonisti di quella lotta e rivolta consumata sui tetti di Tehran. La pubblicazione “Tehran Echoes”, tra immagini e parole, è il racconto di quei giorni: dalle colorate e vivaci manifestazioni pre elettorali, al giorno delle elezioni, fino alla protesta e alla brutale repressione che si è abbattuta sui cittadini della capitale provocando decine di morti e centinaia di feriti. In questo lungo mese, gli attivisti dell’ “onda verde” hanno cercato di trasferire un ingombrante passato dentro il sogno di un futuro diverso, rimanendo sospesi in un presente in cui deflagrano echi e prefigurazioni.
«Chi governa ha paura delle voci, perché raccontano di una rivoluzione tradita e di un popolo calpestato – e il governo teme la verità e i fantasmi. I basij, pochi metri più sotto, perlustrano la strada con le teste alzate, ma non è facile vedere nella notte della capitale. Le voci sono snervanti e impalpabili, nemici che non si possono colpire. I fantasmi sono dappertutto. Le loro grida si inseguono, si fanno coro, si sovrappongono. A volte scorgi nel buio un movimento fugace, sul tetto di fronte o su quell’altro vicino, ma non potresti giurare di averlo visto davvero. Sembra che trent’anni di storia collassino qui, sotto questo cielo carico di voci disperate e piene di speranza».

16736279_10212643498511043_1522294311_nMi piace a questo punto segnalare anche una graphic novel, “Nel paese dei Mullah” dell’iraniano H.R. Vassaf, edita da Eris Edizioni. L’autore in Iran è stato professore di comunicazione visiva alla facoltà d’Arte e Architettura dell’Università Azad di Teheran e autore di parecchi libri illustrati sulla comunicazione visiva e sulla libertà d’espressione, utilizzati come testi universitari e ora proibiti. Nel suo studio di design, luogo di incontro per intellettuali e scrittori, Vassaf ha collaborato come grafico e direttore artistico con numerose case editrici, riviste e giornali la cui linea non appoggiava quella dei funzionari responsabili della teocrazia in Iran. Nonostante il “fare politica” non sia mai stato il suo obbiettivo, attraverso le sue opere artistiche ha rappresentato e denunciato le mostruosità e i problemi della teocrazia iraniana, non senza incorrere in forti contrasti con il regime islamico. Nel 2005 organizza una mostra a Teheran in cui le opere esposte criticano apertamente l’utilizzo della lingua araba da parte dei politici del regime islamico, nonostante in Iran sia il persiano la lingua comunemente usata. La mostra viene immediatamente chiusa dalle forze di polizia del regime e Vassaf condotto in una caserma dove, dopo un violento e lungo interrogatorio, viene costretto a firmare un foglio in cui dichiara che non realizzerà mai più mostre di “critica” e “sovversive”. Finisce così nella lista “nera” degli artisti e le autorità gli negano ogni possibilità: gli è proibito pubblicare, esporre e insegnare. Vassaf decide quindi di spostarsi in Francia (dove si trova tutt’ora) grazie alla possibilità di iniziare un dottorato. Nel “Paese dei Mullah” l’autore racconta l’incontro e confronto su un’isola deserta tra due rappresentanti della società iraniana, un soldato e uno scrittore, il primo giunto per caso, il secondo per scelta in cerca della tranquillità. Attraverso le loro esperienze di militare fedele al regime e di intellettuale moderato e critico verso l’integralismo religioso, si ricostruisce la storia degli ultimi decenni dell’Iran, mentre i due protagonisti, pian piano vedono le loro certezze sgretolarsi di fronte ad un modello insostenibile e che soprattutto ha deluso chi ci credeva. Nelle tavole del fumetto, in un bianco e nero che colpisce con la sua essenzialità, si parla di tutti gli aspetti della vita quotidiana, come il matrimonio, le prigioni in cui finiscono criminali comuni ma anche oppositori al regime e persone contrarie alla morale come adultere e omosessuali, la politica, la libertà di stampa, i diritti delle donne e i diritti civili in generale, perché se le donne sono oppresse anche gli uomini non stanno bene, pur senza veli e altre costrizioni fisiche evidenti.
Il libro è una formidabile riflessione sulla Repubblica islamica dell’Iran e inserito all’interno della collana Kina di Eris. Un progetto che al suo interno mira alla pubblicazione di opere caratterizzate da una forte ricerca e impronta autoriale, proposte attraverso un attenta e appassionata cura editoriale.Si tratta quindi di una riflessione profonda, costruita attorno a vicende quotidiane lontane dalle grande Storia, ma capaci di svelare il vero volto della teocrazia iraniana. A riprova di ciò, dopo l’uscita del libro, il regime iraniano dato che non può intervenire direttamente su Vassaf ormai stabilitosi in Francia, proibisce tutti i suoi libri universitari di grafica destinati ai professionisti del settore, cercando di colpirlo sotto il profilo economico.
I DIMENTICATI

Gabriele-Basilico-nel-suo-studio-©Alessandro-Calabrese__450pxA proposito di Iran c’è un raffinatissimo libro di Gabriele Basilico dal titolo “Iran 1970” con testi di Luca Doninelli, Gabriele Basilico, edito dalla casa editrice Humboldt Book.

Nell’estate 1970 Gabriele Basilico parte da Milano con una Fiat 124, ipotetica destinazione Kabul. È il viaggio iniziatico della generazione dei figli dei fiori, la strada verso l’India, e Basilico ha intenzione di realizzare una serie di foto da vendere a qualche rivista. Il progetto non giungerà a compimento, ma nell’archivio personale quegli scatti furono accuratamente custoditi e il fotografo milanese pensò qualche volta di farci un libro. Come scrive Luca Doninelli nell’introduzione è un “Basilico prima di Basilico”, il reportage tra Jugoslavia, Turchia e Iran – che sarà la meta del viaggio – nel quale si colgono i segni della nascita di una vocazione. La postfazione di Giovanna Calvenzi, compagna di Gabriele e testimone di quel viaggio, racconta questa avventura e un’epoca di grande libertà.  16780362_10212643547032256_946935807_n
Gabriele Basilico (Milano, 1944-2013) è stato considerato uno dei maestri della fotografia contemporanea, purtroppo non sufficientemente ricordato in Italia. Esordisce alla fine degli anni sessanta con fotografie di indagine sociale. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Milano, si dedica alla fotografia con continuità. Le trasformazioni del paesaggio contemporaneo, la forma e l’identità delle città e delle metropoli, sono stati gli ambiti di ricerca privilegiati di Gabriele Basilico. “Milano ritratti di fabbriche” (1978-80), è stato il suo primo lavoro ad avere come soggetto la periferia industriale e presentata nel 1983 al PAC, Padiglione d’arte contemporanea di Milano. Ha partecipato nel 1984-85 alla Mission Photographique de la DATAR, il mandato governativo affidato a un gruppo internazionale di fotografi con lo scopo di rappresentare la trasformazione del paesaggio francese. Unico italiano in questo importante progetto di documentazione delle trasformazioni del paesaggio contemporaneo voluto dal governo francese. Da questo lavoro nascono il libro e la mostra “Bord de mer”. Dopo qualche anno, nel 1990, riceve a Parigi il “Prix Mois de la Photo” per la mostra e il libro “Porti di Mare”.
Nel 1991 ha preso parte alla missione su Beirut, città devastata dalla guerra civile durata 15 anni. Basilico è stato insignito di numerosi premi e le sue opere fanno parte di prestigiose collezioni pubbliche e private, italiane e internazionali. Nell’arco della sua carriera ha pubblicato oltre sessanta libri personali. Un primo bilancio sul suo lavoro è oggetto della retrospettiva alla Fondazione Galleria Gottardo di Lugano nel 1994 e del volume “L’esperienza dei luoghi. Fotografie 1978-1993”.

Invitato alla Biennale di Venezia del 1996 con la mostra Sezioni del paesaggio italiano/Italy. Cross Sections of a Country, in collaborazione con Stefano Boeri, riceve il premio “Osella d’oro” per la fotografia di architettura contemporanea. Nel 1999 pubblica “Interrupted City e Cityscapes”, con oltre trecento immagini sulle città realizzate a partire dalla metà degli anni Ottanta, da cui seleziona una serie di fotografie per le esposizioni allo Stedelijk Museum di Amsterdam, al CPF (Centro Portugues de Fotografia) di Porto, al MART (Museo d’Arte Moderna di Trento e Rovereto) di Trento, e al MAMBA (Museo de Arte Moderno) di Buenos Aires. Nel 2000 svolge un lavoro sull’area metropolitana di Berlino su invito del DAAD (Deutscher Akademischer Austausch Dienst) ed espone Milano, Berlin, Valencia all’ IVAM (Istituto Valenciano de Arte Moderno) di Valencia. Riceve inoltre il premio “I.N.U.” (Istituto Nazionale di Urbanistica) per il suo contributo alla documentazione dello spazio urbano contemporaneo.

Nel 2002 la GAM, Galleria civica d’arte moderna e contemporanea di Torino gli dedica una retrospettiva, e nell’ambito di Photo España con il volume “Berlin” vince il premio per il miglior libro fotografico dell’anno. Nel 2003 partecipa alla V Biennale di Architettura e di Design di Sao Paulo con una mostra in collaborazione con Alvaro Siza, successivamente esposta alla Triennale di Milano e al PAN di Napoli.

Nel 2005 pubblica il libro “Scattered City”, raccolta di centosessanta immagini inedite di città d’Europa. Nel 2006 espone alla Fundação Calouste Gulbenkian di Lisboa e riceve un incarico di lavoro dal Nouveau Musée National de Monaco. In collaborazione con Amos Gitai realizza inoltre una video proiezione sulla città di Beirut. Nel 2006 pubblica il volume “Photo Books 1978-2005”, che raccoglie e illustra tutti i suoi libri personali e molti dei più importanti libri collettivi a cui ha preso parte. Lo stesso anno, in occasione di una grande retrospettiva alla Maison Européenne de la Photographie di Parigi pubblica la monografia Appunti di un Viaggio/Carnet de travail 1969/2006. Nel 2007 espone al Palazzo della Ragione di Mantova, all’Ara Pacis di Roma, alla Fondazione Ragghianti di Lucca, alla Pinacoteca Provinciale di Bari.

È anche invitato alla Cinquantaduesima Esposizione d’Arte della Biennale di Venezia dove presenta fotografie della serie Beirut 1991. Sempre nel 2007 realizza una grande campagna fotografica sulla Silicon Valley su incarico del SFMoMA (San Francisco Museum of Modern Art) di San Francisco, dove espone nel 2008, pubblicando il volume “Gabriele Basilico-Silicon Valley”. Inoltre riceve dalla Fondazione Astroc di Madrid il “Premio Internazionale per la Fotografia di Architettura” ed espone in quella sede. La mostra è accompagnata dal volume “Intercity”. Nel 2008 realizza una ricerca sulla città di Roma, presentata al Palazzo delle Esposizioni con il libro “Roma 2007”. Lo stesso anno presenta una ricerca sulla trasformazione della città di Mosca vista dalle sette “Torri staliniane”, svolta in collaborazione con Umberto Zanetti, alla Cité de l’Architecture/Palais de Chaillot di Parigi. Il volume che raccoglie il lavoro si intitola “Mosca verticale”.

La sua ricerca va sempre più allargandosi alle grandi metropoli del mondo e nel 2010-2011 lavora su Istanbul, Shanghai, Rio de Janeiro, pubblicando nel 2010 “Istanbul 05.10”, nel 2011 “Da Istanbul a Shanghai”, sempre nel 2011 “Basilico. Rio de Janeiro 2011”. Nel 2012 partecipa alla XIII Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia con il progetto Common Pavilions, ideato da Adele Re Rebaudengo e realizzato in collaborazione con Diener & Diener Architekten, Basilea. Il libro “Common Pavilions” viene pubblicato nel 2013.

Basilico ha sempre intrecciato il suo instancabile lavoro fotografico sulla morfologia e le trasformazioni della città e del paesaggio contemporaneo con attività seminariali, lezioni, conferenze, riflessioni condotte anche attraverso la parola scritta. Il suo pensiero è stato raccolto e sintetizzato nel 2007 nel volume “Gabriele Basilico. Architettura, città, visioni”, a cura di Andrea Lissoni, mentre nel 2012 ha pubblicato “Leggere le fotografie in dodici lezioni”.
Nello zaino, dunque, questa settimana :

“La rana e la pioggia. L’Iran e le sfide del presente e del futuro” di Antonello Sacchetti, Infinito Edizioni.
“La rana e la pioggia. L’Iran e le sfide del presente e del futuro” di Antonello Sacchetti, Infinito Edizioni.
"Il cielo color melograno" di Louise Soraya Black,66thand2ndi edizioni.
“Il cielo color melograno” di Louise Soraya Black,66thand2ndi edizioni.
"Concerto per mio padre" di Yasmine Ghata,Del Vecchio Editore.
“Concerto per mio padre” di Yasmine Ghata,Del Vecchio Editore.
"I demoni del deserto" di Bijan Zarmandili, nottetempo.
“I demoni del deserto” di Bijan Zarmandili, nottetempo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

"Cielo di sabbia" di Sudabeh Mohafez, Keller editore.
“Cielo di sabbia” di Sudabeh Mohafez, Keller editore.
"Leggere Lolita a Teheran" di Azar Nafisi, Adelphi.
“Leggere Lolita a Teheran” di Azar Nafisi, Adelphi.
"L'Iran svelato delle donne" di Vittoria Sangiorgio, La Caravella editrice.
“L’Iran svelato delle donne” di Vittoria Sangiorgio, La Caravella editrice.
"Tehran Echoes" di Pietro Masturzo e Carlo Maddalena,Postcart.
“Tehran Echoes” di Pietro Masturzo e Carlo Maddalena,Postcart.
“Nel paese dei Mullah” di Hamid Reza Vassaf, Eris Edizioni.
“Nel paese dei Mullah” di Hamid Reza Vassaf, Eris Edizioni.

 

"Iran 1970" di Gabriele Basilico, Giovanna Calvenzi, Humboldt Book.
“Iran 1970” di Gabriele Basilico, Giovanna Calvenzi, Humboldt Book.
Nello Zaino di Antonello: Viaggio in Iran