Quella sera dorata

di Maria

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d18c1f201ff71575c6c0e75688f2f110_w240_h_mw_mh_cs_cx_cy“Quella sera dorata” (traduzione di Alberto Rossatti, Adelphi) è un libro sornione e delizioso, che conquista piano piano il lettore ingannandolo con dialoghi lenti e stringati dei (pochi) protagonisti, ma trascinandolo fino alla fine senza cedimenti in una storia delicata e avvincente. Che non può non piacere. E ci regala pure un lieto fine.

Lo stile di Peter Cameron ricorda il minimalismo di Carver e della Tyler, senza però la disperazione del primo né l’inguaribile tristezza della seconda.

Infatti, nelle belle storie dello scrittore americano (“Un giorno questo dolore ti sarà utile”, “Il weekend“, “Andorra” ed il recente “Coral Glynn“, tutti tradotti da Giuseppina Oneto e pubblicati da Adelphi) i personaggi – magistralmente descritti attraverso una sottile introspezione psicologica fatta di brevi battute, silenzi e piccoli gesti quotidiani – non rinunciano mai ad inseguire il proprio sogno chiedendosi l’un l’altro se sono felici, ma rimanendo comunque in costante attesa della risposta.

In questo romanzo un aspirante ricercatore universitario si reca per motivi di studio in Uruguay al fine di raccogliere dati sul defunto scrittore Jules Gund e chiedere l’autorizzazione ai suoi eredi per scriverne la biografia, così scoprendo insospettati lati del proprio animo e singolari personaggi, che lo conducono a scelte totalmente diverse da quelle originarie.

La figura più riuscita, anche se resta sempre sullo sfondo, è quella di Adam, fratello del morto, attempato arguto e riflessivo, dallo stile di dandy antiquato, che dice di Caroline (la vedova di Jules Gund): “Cosa faceva qui? Niente. Che cosa fanno tutti dovunque? Niente.”.

E’ questa la riflessione a cui ci conduce il romanzo di Cameron, nella rasserenante percezione di un salvifico inaspettato poichè non tutto può essere previsto.

Godetevi la lettura.

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