Stelle, starlet e adorabili frattaglie

I titoli di coda impreziosiscono il film, denunciano la cura del regista per la sua opera, sottolineano l’attenzione per il dettaglio e il particolare. Quante volte mi sono entusiasmata per un lettering, un vezzo, una trovata fantasiosa che suggellava la visione e la rendeva indimenticabile. Svolge il compito dei titoli di coda più riusciti l’appendice con cui Gaetano Cappelli conclude Stelle, Starlet e adorabili frattaglie (Mondadori, 2014), che rivela in parte la genesi del romanzo e l’amore che lo scrittore riserva alla sua terra, che è anche la mia.

Nelle pagine di Cappelli ritrovo il mondo che mi circonda più da vicino, trasfigurato dalla verve dello scrittore, che riesce a trasformare anche la più spiacevole grettezza in nota di colore, folclorica ma non folcloristica, capace di strappare una risata, di divertire con estro, facendomi dimenticare che quegli stessi atteggiamenti vissuti dal vivo hanno la capacità di irritarmi e innervosirmi. Sarà perché Cappelli non guarda con distacco ai suoi personaggi, ne prende le distanze con l’ironia che maschera l’affetto e la tenerezza. Non c’è giudizio, perché Cappelli ha la straordinaria dote di mescolarsi a loro, di perdersi nei loro tic, di esaltarne l’umanità e la genuinità, tanto da renderli tutti cari al lettore, anche quelli dai tratti più marcati e dalla rozzezza più evidente.

E qui tocca evidenziare una particolarità: pur essendo i soprannomi diffusi un po’ in ogni ambiente, solo nei paesi del Meridione accade che anche quelli più grossier, e quasi sempre lo sono, vengano rassegnatamente accolti dagli interessati fino a diventare sostitutivi dei veri e propri cognomi.

Quello che conquista in Stelle, starlet e adorabili frattaglie è, però, la lingua con i suoi lazzi e frizzi. Una lingua effervescente, teatrale, in cui il dialetto diventa macchietta, pennellata carica per dare spessore e concretezza ai personaggi e alle situazioni.

Ecca puozza jettà lu sang!, si sentì nella sala.

Un’esclamazione questa che, similmente a quanto accade nelle più sofisticate lingue “tonali” dell’Estremo Oriente, muta significato a seconda di come la si pronuncia; e quindi recitata in tono basso-grave-discendente equivale alla minaccia: “Che tu possa sgorgar sangue, perchè sei una brutta persona!”; modulata invece in tono medio-alto-ascendente, corrisponde a un più forbito sospiro di sollievo, ovvero: “Che tu possa sgorgar sangue per l’inutile paura che ci hai fatto prendere, o adorabile burlone!”. Essendo questa la tonalità prescelta dal simposio, tutti sorrisero e i fogli stessi poterono planare sui tavoli, finalmente rassicurati.

Nello scarto tra il detto e il pensato lo scrittore gioca i suoi assi. I dialoghi macchiati da un lessico improbabile che affonda nel dialetto, nell’intento di riprodurne il suono e il tono, sono esilaranti e brillanti, “irresistibili” per usare un aggettivo caro allo scrittore.

Questo uso scherzoso e ludico della lingua ha esiti briosi e frizzanti. Puro divertimento. Si riflette sulla trama, ricca di colpi di scena, dandole lucentezza e splendore.

Ci si diletta con Stelle, starlet e adorabili frattaglie e seguendo la bonomia dell’Orazio satirico (che non dimentichiamo era di Venosa, a pochi chilometri da Potenza!) Cappelli fa satira di costume, mette alla berlina comportamenti e pratiche, senza ira e polemica, senza mai perdere il sorriso e la leggerezza.

Ebbravo! E basta che io paarl con le persone giusde nel partito, e tu dritto dritto in parlamendo mi finisci … ci penzi?”

Senato’, ma tu veramende dici? Mo’ m vuò fa murì, m vuò fa’, che endrà in quel prestiggioso palazzo sarebbe il sogno mio… te ne sarei grato immensamende, e per sembre!”

Ecci voglio credere! Ma della riconoscenza, in astratto, uno chesse ne fa? Invece adesso tu mi sblocchi la ligenza su quel mio terreno … in contrada Biscotto Verderame, ricordi no, il progetto di quelle villette? Finammò nun de voleev rompe ma co queel che succede’ adeeess, co Gordon Lee Foster in paese… vedrai comm i prezzi salgono alle stelle e tu, tu A’glieta, tu sali in parlamendo, Agliè!”

[…]

Si poteva forse desiderare qualcosa di meglio che diventare deputato nella seconda decade del nuovo millennio, e in un’Italia sull’orlo del baratro?

Cosa mai era successo nello sperduto paesino lucano del sindaco, aspirante parlamentare, Adolfo Aliotta? Un grande attore americano, fascinoso e molto famoso, Gordon Lee Foster, dopo essere sparito dalla circolazione in seguito al flop del suo ultimo film, ricompare all’improvviso:

Gordon, infatti, per la sua rentrèe aveva preferito questa volta il Sud, ma non quello più conosciuto, chessò, Capri, la Costiera amalfitana, Taormina. No, da eroe inquieto qual era, s’era scelto uno di quei paesi del Sud Estremo, fuori da ogni mappa turistica e, perfino, da quelle satellitari; col risultato che, a qualche giorno dalla sua apparizione, il suddetto paese estremo figurava, tanto per iniziare, sui satellitari, mentre già il mattino successivo alla diffusione del video di Chiara – poche confuse sequenze girate con un telefonino, dove insieme a Foster appariva una non ben identificabile bionda – il borgo s’era riempito d’una folla di curiosi della zona e, qualche ora dopo, delle troupe di tre o quattro tivvù che avevano montato le loro postazioni proprio dove c’era stato l’avvistamento, ovvero davanti alla Taverna Acquaviva che, da quel momento, tutti presero a chiamare la “Taverna di Gordon” e che la sera stessa, come mai era accaduto prima, aveva fittato tutt’e sette le sue sette camere.

Su questa semplice trama, come nella migliore tradizione della commedia degli equivoci, Cappelli innesta tutta una serie di azioni e reazioni e una sfilata colorata e variegata di personaggi che si scambiano i ruoli, si cercano e rincorrono, si nascondono e ritornano, si ingannano con false promesse e promettono falsamente. Fino al coup de théâtre finale recitato sul palcoscenico della Taverna Acquaviva da cui tutto era partito.

Stelle, starlet e adorabili frattaglie