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Essere come noi, fare parte di questa storia, è una cosa tutta particolare. Non abbiamo un colore della pelle differente, non professiamo religioni strane. La nostra diversità è sottopelle. Noi non siamo e non saremo mai come i gagi vorrebbero che fossimo per regalarci la loro comprensione. Che cosa posso farci?

Marco Truzzi in Non ci sono pesci rossi nelle pozzanghere (Instar libri, 2011) cerca di rispondere a questa domanda con leggerezza e ironia attraverso il protagonista del romanzo, Damian un ragazzo romanè di un campo nei pressi di Correggio e del suo lento, velleitario avvicinarsi al mondo “gagi” che lo porterà dolorosamente e faticosamente a riscoprire il senso delle radici, per un popolo come il suo che non ha mai fatto delle radici un valore, o almeno non nel senso comunemente accettato dagli altri popoli. Lo sguardo è quello interno al mondo romanè, mediato dalla figura del nonno Roman, che rappresenta per Damian la tradizione e la continuità, ma anche uno sguardo che prende visione dalla distanza, cercata sperata e infine in parte rinunciata.

Damian è costretto ad andare a scuola, cosa rara per i bambini del campo di Correggio, il padre comprerà una casetta prefrabbricata che rappresenta in qualche modo un superamento, più che un miglioramento, del mondo della kampina, ma non una piena integrazione nel mondo sedentario. Damian vivrà sulla propria pelle questa dicotomia, uno stare in mezzo tra due realtà senza poter rinunciare all’una né abbracciare interamente l’altra. Anche l’amore per Elisa una compagna di scuola dai tempi delle elementari avrà il sapore amaro di questa sospensione tra due mondi, senza riuscire a essere in maniera definitiva “né carne né pesce”.

Il pregio vero del libro è quello di fornire un punto di vista interno alla cultura romanè (Marco Truzzi non ne fa parte) con grande immediatezza, senza paternalismi, senza edulcorazioni. L’ironia è la chiave per riuscire ad essere credibile senza forzature, ma nello stesso tempo è presente un tono pensoso e meditato, a tratti accorato che si rivela soprattutto negli interessanti excursus sulla storia dei romanè nell’Italia delle due guerre mondiali.

Romanzo di formazione, in cui gli elementi tipici del genere sono impreziositi dalla declinazione all’interno del mondo romanè: una forte figura di riferimento rappresentata dal nonno, l’amore, l’amicizia, la comunità, il difficile percorso per raggiungere la consapevolezza del sé, le prove dolorose per accorgersi che il tempo è cambiato e anche la realtà del campo non è più la stessa non solo in una città grande come Milano, ma anche tristemente e inevitabilmente in un piccolo centro come Correggio. Ogni singolo elemento riesce a mettere in luce la differente percezione e interpretazione che degli stessi è data dal mondo e dalle tradizioni, dai punti di vista e dall’ottica romanè.

Lo stile del romanzo è volutamente semplice, mirando all’immediatezza e alla sovrapposizione con il protagonista. Una lingua che si apre anche a quella che si potrebbe definire una forma di dialetto romanè, con l’assenza delle zeta, e che colorisce la lingua di una patina folclorica carica di ironia, ma nello stesso tempo sembra abilmente e sottilmente sottolineare la differenza di gergo che demarca la differenza di tradizioni.

Marco Truzzi non sembra voler polemizzare o accusare, prendere le parti, difendere, ma si lascia prendere, trascinandoci con sé, dall’incanto della storia che ha dell’esotico e del vicino, che si arricchisce di diversi piani temporali, che fa della memoria un filo rosso importante, a testimoniare che i romanè non sono un popolo senza terra e senza identità, ma solo un popolo che ha altra attenzione per i valori propri della nostra società. Senza finzioni e infigimenti, ma con grande chiarezza Truzzi già nelle prime pagine svela che il colpo di scena, in questa storia, non arriverà. Non si racconta di una storia edificante e sdolcinata di integrazione e adesione, ma una morale c’è, esplicitata dall’autore e che è il senso vero e profondo del libro e la ragione per cui vale la pena leggerlo e farlo leggere, agli adulti e anche ai ragazzi:

La morale di questa storia è che ognuno dovrebbe essere orgoglioso di ciò che è, anche se a volte è difficile, anche se a volte è doloroso. Perché a conti fatti è meglio per tutti.

Per tutti: gagi e romanè e grazie a Marco Truzzi di ricordarci con la storia di Damian questa profonda verità e anche a farci guardare dentro a certe situazioni superando stereotipi e preconcetti, o meglio giocando con questi per mostrarci la loro illogicità.

A proposito: se qualcuno è incuriosito dal titolo del romanzo che io trovo meraviglioso, volutamente ho omesso di spiegarlo perché avrei dovuto rivelare uno dei motivi più poetici e riflessivi del libro, quindi… buona lettura!

Non ci sono pesci rossi nelle pozzanghere
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