di Giovanni Accardo

scrittore, docente, saggista e organizzatore di eventi culturali a Bolzano.
scrittore, docente, saggista e organizzatore di eventi culturali a Bolzano.

 

 

 

 

 

 

 

La pandemia da Coronavirus e la relativa quarantena che ne è seguita, ha spostato le vite di tanti italiani sui social-network, dove molti hanno costruito una rete di relazioni virtuali o hanno rafforzato quelle che c’erano già. Questi luoghi, spesso affollati di notizie false, di rabbie e di paure, agitate da inutili e continue polemiche, sono diventati uno spazio di iper-informazione dove in tanti hanno cercato conforto e rassicurazione, trovandovi piuttosto confusione, disorientamento e sovreccitazione. Il medium è neutro, ci hanno insegnato, sta al messaggio che veicola dargli un senso, dipende dunque dall’intelligenza o dalla fragilità emotiva di chi lo usa il suo risultato. Tra coloro che hanno cercato sui social, Facebook nel caso in questione, uno spazio di riflessione e di condivisione c’è stato Gabriele Di Luca, insegnante a Bolzano, editorialista del “Corriere dell’Alto Adige e collaboratore del giornale bilingue “Salto”. cover libro Di LucaDi Luca per trenta giorni ha postato un decalogo quotidiano molto apprezzato che ora è diventato un libro, “E quindi uscimmo a riveder la gente. Diario dalla Grande Reclusione”, pubblicato da Edizioni alpha beta Verlag (p. 200, euro 13,00). Con ogni probabilità si tratta del primo libro che racconta la pandemia e che esce proprio nel momento in cui affrontiamo la cosiddetta fase 2, ovvero un primo tentativo di ritornare alla normalità.

«Su ciò di cui non si può parlare, bisogna scrivere. O perlomeno, cominciare a scrivere», si chiude con questa frase che riadatta l’ultima proposizione del “Tractatus Logico-Philosophicus” di Wittgenstein («Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere») il prologo, rappresentando dunque una possibile chiave di lettura di quello che con tutta evidenza è un testo ibrido, una sorta di zibaldone. E Leopardi è sicuramente un autore a cui Di Luca si rifà più volte, anche indirettamente, come quando, in occasione della giornata mondiale della poesia, posta un testo fortemente leopardiano (“Balsamo, Bufera”) di Andrea Zanzotto. Dunque Wittgenstein, Leopardi e anche Kafka, più volte citato e, lo ricordiamo, autore di un intenso diario che raccoglie le sue confessioni dal 1910 al 1923. Valgano questi riferimenti a dimostrare che il libro di cui stiamo parlando non è un instant-book, cioè un libro di occasione confezionato in tutta fretta per pure ragioni commerciali, ma un libro profondamente pensato e sentito, dove la speculazione intellettuale è continuamente riscaldata, per così dire, da una ricorrente tonalità affettiva e talvolta alleggerita dall’umorismo (che però in Alto Adige, lamenta Di Luca, spesso fa cilecca, «è come un pane che non riesce a lievitare») e da una scrittura che insegue costantemente l’aforisma: «Il video è parodia, non imitazione di una presenza», oppure «Per accendere i pensieri occorre uscire, vedere le cose e le persone in piena luce».

Testo ibrido, dunque, in cui compare la curiosità del cronista che racconta quel poco che succede per le vie deserte di Bolzano, alla ricerca di ogni minima traccia di vita, fosse pure quella di Riccardo, il barbone che staziona sempre in via Bottai, oppure di Batajn, con la sua ossessione a compilare lunghe liste di libri. Ma c’è anche l’intelligenza del filosofo che analizza i fatti, consapevole che è attraverso il linguaggio che li rappresentiamo e diamo forma al mondo (ancora Wittgenstein: «Il mondo è ciò che accade»). Letto da questo punto di vista, il libro è una continua interrogazione sulla lingua dei politici e degli amministratori che governano, o vorrebbero governare, i fatti; quella dei giornalisti, che raccontano i fatti, e ora quella degli scienziati, da cui ci aspetteremmo il linguaggio più oggettivo e che invece è quello che sta generando più confusione. C’è poi la narrazione (che inizia come meta-narrazione, visto che l’autore s’interroga sul personaggio che sta per mettere in scena), ovvero un abbozzo di romanzo che ha per protagonista l’avvocato Augusto Nicotra, confinato nel suo piccolo appartamento ingombro di carte ma con i ricordi che lo portano in Calabria, dove vive A., che fa la cassiera in un supermercato, con cui ha avuto una relazione e che non sente da fine agosto. Proprio la solitudine della quarantena riaccende la relazione, o quanto meno un frequente scambio di messaggi, mentre Nicotra comincia a pensare di andarla a trovare quando finalmente ci si potrà nuovamente spostare dalle proprie città.

Ma questo “Diario dalla Grande Reclusione” è anche un libro sugli affetti e sull’amicizia, perché ci dice quanto sia innaturale e causa di sofferenze la solitudine, e quanto, invece, è dagli altri e con gli altri che trae alimento la nostra vita, fatta di scambi e condivisioni che l’arricchiscono. Lo capisce bene Nicotra che, in un certo senso, aggiorna Wittgenstein, perché se è vero che il mondo è ciò che accade, deve pur essere spinto e smosso dalla sua raggelata inerzia. «Bisogna ricucire le relazioni, recuperare gli affetti più prossimi, raggiungere di nuovo le persone alle quali teniamo davvero e da lì provare a costruire qualcosa di bello», è l’insegnamento che l’avvocato ricava dalla lunga reclusione e che Di Luca consegna al lettore.

Diario dalla Grande Reclusione