di Mara Mundi

Ho sempre una matita in mano quando nell’altra ho un libro: scrivo le iniziali della persona cui voglio leggere frasi e versi che mi emozionano. È nata così la passione di leggere ad alta voce. Quando viaggio in camper, però, niente libri e niente matite. Troppo concentrata a guardarmi intorno. Quella di scrivere, invece, è una passione antica, dalle liste della spesa alle recensioni, dagli articoli ai saggi. Laureata in Scienze pedagogiche e della progettazione educativa, giornalista pubblicista, bibliotecaria felice. Non ho il pollice verde, ma adoro i fiori. Da ragazzina mi chiamavano Olivia, quella di Braccio di ferro. Che resta il mio mito.
Laureata in Scienze pedagogiche e della progettazione educativa, giornalista pubblicista, bibliotecaria felice.

 

 

 

 

 

 

 

 

“Fratture a legno verde” di Antonio Ferrara, Interno Poesia 2017

Foto di Mara Mundi
Foto di Mara Mundi

 

Parlo di un libro, ma ne consiglio tre.
Tre raccolte di poesie di tre poeti diversissimi tra loro, per stile e contenuto.
C’è qualcosa, però, che li unisce, secondo me: parlano tutti e tre la lingua del quotidiano.
Usano parole familiari per descrivere sentimenti ed emozioni, che altrimenti non sapremmo nominare.
Antonio Ferrara“Fratture a legno verde”, Interno Poesia 2017, è la prima raccolta di versi di Antonio Ferrara, noto autore e illustratore per bambini e ragazzi, vincitore di due Andersen, che ha scritto romanzi indimenticabili e coraggiosi come “Batti il muro. Quando i libri salvano la vita” ed “Ero cattivo”, solo per citarne due tra i tanti.
C’è qualcosa di più familiare, necessario e quotidiano del pane?

“Di’ sempre la tua
e se ridono
canta,
opponi tristezza
ostinata dolcezza
di fragole
di margherita
di pane”.

È solo un esempio quello del pane, che però ritorna più volte in queste poesie di Ferrara.

“Gli lancio l’offerta
della mia mano
aperta tutta molliche
e briciole di pane”.

La tavola, dunque, che è anche quella del dolore, in queste poesie non manca.
Ma si può resistere al dolore, con un balsamo che lenisce, oppure con

“i verbi di salvezza: amare, credere, fidarsi”.

Il poeta Aldo Ferraris, scomparso nel 2018, firma la prefazione di questo libro: tre pagine dense che vale la pena di leggere prima e dopo l’immersione nelle poesie.

“Le poesie di Ferrara narrano, ma con la voce di un cantastorie che ha voltato l’ultima carta e ancora tenta di decifrare il destino, eppure si concede, dona la sua maestria per un conforto, un sorriso o una lacrima”.

Mi soffermo su queste parole e capisco perché Ferrara mi ha richiamato alla mente gli altri due libri che vorrei consigliarvi.
Si tratta delle due antologie che raccolgono tutte le opere di Wislawa Szymborska, “La gioia di scrivere”, Adelphi 2009 e di Pierluigi Cappello, “Un prato in pendio”, BUR Rizzoli 2018.
Chi mi conosce sa che sono due immensi che porto nel cuore e che cito spessissimo.
Se il paragone vi sembra gigante, soprattutto con la signora del Nobel, lasciatevi accarezzare da questi suoi versi:

“Su un tavolo più giovane da una mano d’un
giorno più giovane
il pane di ieri era tagliato diversamente.
Le nuvole erano come non mai e la pioggia
era come non mai,
poiché dopotutto cadeva con gocce diverse”.

E poi Cappello, che se n’è andato poco meno di tre anni fa, dopo una vita sofferta che mai gli ha tolto la speranza.
C’è una poesia che amo, s’intitola I vostri nomi ed è dedicata al padre, in generale a tutti gli anziani che sono stati forti e che piano piano si spengono in una casa di riposo.

“Ieri sono passato a trovarti, papà.
La luce in questi giorni non è tagliata dall’ombra
Negli alberi senza vento c’è l’odore secco dell’aria.
Per come posso, ti ho portato il racconto dei temporali”.

Forse le poesie, le storie, fanno proprio questo: portano il racconto dei temporali a chi non può più farsi bagnare dalla pioggia.
E sono proprio la pioggia e le parole a riportarci ai versi di Ferrara.

“Dire buio che schiaccia
Il cuscino,
pioggia alla finestra,
tempesta e nevicata,
vento ai muri come
febbre ostinata che resta.
Scrivere, scrivere, scrivere.
[…]
Sedersi, scrivere
e stringere le dita,
far finta per gioco
senza tradire,
sapendo che
fingere vuol dire
capire”.

E poi il consiglio di scegliere le parole con cura, come faremmo con un chilo di pesche, perché – Carlo Levi intitolò così un suo libro – “Le parole sono pietre”.

“Scegliete al mercato
Parole mature
Tra le acerbe
Marce appuntite”.

E tutto torna, torna il pane e torna il quotidiano, che a volte cuce e altre scuce, ma sempre ci conferma che siamo, che vivere pienamente è un diritto, ma anche un dovere.

“Chiedere se hanno
pane e da bere.
Se hanno paura.
Fate con la parola
come racchiude
un abbraccio”.

Leggo con i capelli corti “Fratture a legno verde”