Studio affollato in questa visita della rubrica, perché la straordinaria raccolta di Deborah Willis, autrice molto amata da Alice Munro che di per sé mi sembra una garanzia di felice lettura, è stata tradotta con la consueta cura delle edizioni Del Vecchio da Paola Del Zoppo, Costanza Fusini e Michela Sgammini. Le ringrazio perché hanno saputo passarsi la parola e illuminare gli spazi della traduzione con grande eleganza e acribia. 

I racconti della raccolta sono bellissimi: ma il mio invito nulla può rispetto a quello di Alice Munro. Leggeteli, dunque, perché lo dice Munro!

Traduzione Deborah Willis

La traduzione di Deborah Willis, “Il buio e altre storie d’amore” (Del Vecchio) è firmata in tre: Paola Del Zoppo, Costanza Fusini e Michela Sgammini. Come funziona una traduzione a sei mani? Il fatto che il libro sia una raccolta di racconti ha facilitato l’organizzazione tra i tre traduttori?

Costanza Fusini: Non avevo mai affrontato prima una traduzione a sei mani e devo dire che la raccolta si è prestata bene: nello stesso momento ognuna di noi ha potuto affrontare racconti diversi in autonomia e il lavoro di armonizzazione finale è avvenuto in modo molto naturale grazie anche e soprattutto alla precisione di Deborah Willis nell’uso della lingua, nel ritmo e nella costruzione delle storie.

 

I singoli racconti di “Il buio e altre storie d’amore” hanno un respiro lungo e profondo, forte di suggestioni. Nella traduzione poter seguire in maniera così impeccabile la disamina dei personaggi o l’incalzare degli eventi rende il lavoro più semplice, o invece lo complica per la necessità di immergersi ogni volta completamente in nuovi personaggi e nuovi eventi?

Michela Sgammini: Il racconto fa del dettaglio la sua cifra stilistica e questi mini-romanzi non sono da meno. Quella del racconto è una forma particolare, allusiva e al contempo concisa, carica di tensione e di slancio. Da lettrice amo molto i racconti; da traduttrice penso sia una delle sfide più complesse proprio in virtù del fatto che parliamo di narrazioni dense, di concentrati narrativi: nel caso delle narrazioni brevi dove lo spazio è limitato ogni parola, ogni dettaglio, ogni cosa non detta ha un peso. Ogni racconto è un mondo a sé, riuscire a far entrare un’intera narrazione in così poco spazio richiede maturità, consapevolezza e consistenza e in questo Deborah Willis è impeccabile: la sua voce è matura, oltre alla sicurezza di sé, traspare una grande padronanza dei propri mezzi. Devo dire che questo ha semplificato molto le cose, è la sua stessa voce a guidarmi nella traduzione e a sciogliere gli inevitabili dubbi che prima o poi vengono a galla.

 

Deborah Willis ha un talento innato e particolare a mostrare la complessità e le sfaccettature del reale, in modo che il lettore venga costantemente trasportato da un paesaggio emotivo o esistenziale conosciuto verso qualcosa di totalmente inatteso e “alieno”, come la figura degli insiemi di prismi, proposta nelle “istruzioni” alla fine del volume, un aiuto raffinato per smontare il libro, mostrandone la sua essenza.

Ci sono stati “problemi” da risolvere per fare in modo che anche in italiano il montaggio del racconto conservasse la figura originaria?

Paola Del Zoppo: La tecnica di Willis è quasi cinematografica, a tratti, anzi, se vogliamo paragonare questo testo a un lavoro di arte visiva mi vengono in mente quelle splendide serie antologiche che vanno di nuovo di moda ora. Gli stacchi di regia, le inquadrature, sono così nitide, che ci si trova davanti alla struttura senza sforzo. La questione più delicata è l’ironia, cioè tutto ciò che leggiamo è vero perché è anche la parodia di se stesso. Il surreale del padre che si lega al corvo e che vagheggia un riavvicinamento con la figlia, è vero ed è anche sbagliato, perché rispondere a priorità prestabilite senza riconoscere i sentimenti man mano che si modellano rende – come in quel caso – sleale la lealtà. È questa la profondissima ironia dei testi, che fa apparire il contorno dell’“alieno”. Tutto è alieno, e tutto è familiare. È come leggere Lovecraft, Bellow e Munro insieme. Allora quello che è complicato è cercare di smontare il meno possibile, e rispettare più che si può le pause e le riprese. E magari avere il coraggio di iniziare il paragrafo con una frase spezzata, o di scindere in pezzi le frasi – titolo di L’ultimo ad andarsene. E sicuramente non cedere mai alla normalizzazione, in nessun punto del testo.

 

La prosa di Deborah Willis scorre nel suo flusso di essenzialità e antiretorica. Nessun orpello, ma ogni parola e ogni giro di frase coglie nel segno, anche del non detto. Come si fa a ripristinare quello stesso fluire in una lingua diversa, in questo caso in italiano? Aiuta la prosa originaria o lo studio e la pazienza del traduttore?

Paola Del Zoppo: La scrittura di Deborah è intensa nella sua capacità di ritrarre senza arzigogoli le sensazioni della contemporaneità, anche declinate, come in questo volume, nella rielaborazione del luogo comune a livello quasi parodico, talvolta persino con sarcasmo. Ma più spesso l’ironia di Deborah Willis è un’ironia partecipata, commossa, eppure pervasiva. Ovviamente questa tensione e questo tono non sono sempre facili da rendere, ma le costruzioni e le scelte terminologiche di Deborah sono così esatte che l’opera di traduzione, di “traghettare il senso” ha un saldo timoniere già nella voce dell’autrice.

Al di là di questo, e rispondo personalmente, il mio studio sulle traduzioni che faccio è quasi tutto a monte. Nel caso di un’autrice contemporanea come Deborah Willis studio tantissimo il contesto, la letteratura da cui trae ispirazione, studio continuamente la storia e la critica della letteratura delle lingue da cui leggo e traduco. Ovviamente leggo anche più libri affini a ciò che sto per tradurre quando mi appresto a un lavoro di traduzione. Nel caso di Deborah Willis ho dalla mia anche aver letto un po’ di letteratura canadese per mio gusto e interesse durante gli studi e dopo, sia in originale che in traduzione. Poi però possibilmente mi accosto alla traduzione con lo sguardo pulito, “leggendo” il testo la prima volta per farlo risuonare per quel “ascolto” diciamo così, con gli occhi e usare gli strumenti esegetici che ho costruito in anticipo nel rendere il più immediatamente possibile la versione rielaborata, cioè non faccio mai la famosa prima brutta versione. Com’è ovvio ci sono dei problemi specifici, termini culturo-specifici o scelte di traduzione di giochi di parole, per esempio, su cui svolgo ricerche mentre li sto traducendo, e solitamente ricerche approfondite che riguardino sia la resa che la possibile simbologia, per esempio, facendo molta attenzione a non “ipertradurre” come si dice, ma a restare attenta all’interpretazione e alla lettura critica. Ad esempio nel caso di questo testo, come sempre l’intertestualità e i riferimenti ad altre opere sono una delle questioni più spinose e “falsate” perché la tecnica che si ritiene la più adatta, quella di cercare per ogni riferimento intertestuale la traduzione autorevole, è una tecnica di mascherata assimilazione: ci sono riferimenti presenti e facilmente riconoscibili nella “nostra” cultura, altri meno, e scegliere per alcuni una resa “ufficiale” vuol dire necessariamente anche conferire alle altre uno status di “letterariamente minoritario”, per usare una terminologia che, partendo dalle riflessioni di Deleuze, dovrebbe essere cara a tutti i traduttori. Così invece io ogni volta ritraduco tutto e mi sforzo di rendere tutti i riferimenti intertestuali sullo stesso piano. E nel caso di Willis sono tutti ben intessuti. Nella traduzione di La mia ragazza su Marte i riferimenti alla cultura pop, per esempio, mi erano tutti già noti ed è stato facile immaginarli in un contesto linguistico “mio”, meno vicine le terminologie urbane dell’uso di droghe leggere, ad esempio. Mentre il tono ironico di quel racconto, o quello elegiaco di L’ultimo ad andarsene, quello viene dall’ascolto della voce così chiara di Deborah Willis: le parole sono così ineludibili che mi si formavano in mente le frasi in italiano mentre leggevo.

 

C’è una stanza che avete dedicato alla traduzione di “Il buio e altre storie d’amore” o una stanza in cui avreste voluto essere mentre traducevate?

Costanza Fusini: Per quanto mi riguarda ho tradotto i racconti prevalentemente in una biblioteca di Lisbona, il mio tavolo preferito era di fronte alla finestra che dava su un grande parco. In sottofondo sentivo parlare portoghese, leggevo il testo in inglese e riflettevo nella mia testa in italiano, è stato un posto perfetto per estraniarsi e immergersi nelle realtà descritte da Deborah, così distanti e diverse dalla mia quotidianità e da quella della città in cui mi trovavo.

Michela Sgammini: Tendenzialmente traduco a casa, in salotto o nello studio. Ma alla fine traduco un po’ dappertutto, in treno, al bar, in terrazza, al parco, l’importante è calarmi nel testo a cui sto lavorando e ‘isolarmi’ per ritrovare la giusta sintonia con la storia e i personaggi.

Paola Del Zoppo: Ho uno studio strapieno di libri come tutti gli studiosi un po’ bibliomaniaci, conquistato dopo anni e anni di lavoro volante, dove si lavora bene, ma mi sono sempre adattata come tutti gli studenti e studiosi a scrivanie improvvisate o a tradurre in viaggio o in alberghi nelle soste. Ma quando rileggo lo stampato devo stare seduta ferma ore da qualche parte, possibilmente proprio nello studio.

 

Qual è stato il compito più faticoso o più difficile una volta terminata la stesura della traduzione? In questo essere in tre ha cambiato la situazione o non è stato di nessun aiuto?

Paola Del Zoppo: Essere in tre è stato molto bello, e a me ha emozionato in particolare. La traduzione in cui ci si revisiona a vicenda è sempre arricchente e stimolante. Il libro precedente lo avevo tradotto con Anna Baldini, e credo che sia una delle strade migliori da intraprendere sempre. Peraltro io ho adorato fare le revisioni dei testi, è la cosa che preferisco in assoluto, soprattutto se i traduttori sono bravi e si passa il tempo a guardare le loro versioni come “soluzioni” di enigmi matematici.

 

I racconti di Deborah Willis si abitano, anche per la precisione con cui la scrittrice canadese riesce a descrivere i luoghi e gli spazi in cui i personaggi si muovono e agiscono. È importante per il traduttore “trasferirsi” nei luoghi e negli spazi narrati? E con quali mezzi lo si fa?

Costanza Fusini: Dal momento che è impossibile andare fisicamente nel luogo o avere una conoscenza enciclopedica del mondo precostruita in noi, è indispensabile leggere con attenzione, riflettere sul testo originale e poi fare ricerche il più approfondite possibile, cosa che grazie a internet è molto agevolata ma non sempre sufficiente. Mi viene in mente Valuta di scambio e la descrizione degli edifici sovietici dove gli appartamenti venivano condivisi da più famiglie, cosa che ignoravo e che è stato un elemento culturale fondamentale per superare l’ostacolo che avevo incontrato;  oppure, allontanandoci dal discorso spaziale, penso alle ricerche sugli uccelli e sulla falconeria per L’uccello di passo e Todd, dove conoscere la differenza tra falchi, falconi, barbagianni, corvi e cornacchie, le loro caratteristiche e le credenze popolari connesse è stata fondamentale per poter rendere al meglio il testo.

Michela Sgammini: Beh sì, assolutamente. Trasferirsi nei luoghi narrati è fondamentale, il traduttore deve essere in grado di immergersi in un mondo che può anche non essere il proprio e, in più, deve far sì che ciò accada anche ai lettori. L’ideale ovviamente sarebbe visitarli in prima persona, ma non sempre è possibile e in questo Google mi aiuta parecchio; vedere con i miei occhi i luoghi descritti su carta mi aiuta a comprendere meglio sia l’autore che le dinamiche delle storie stesse.

 

Dopo aver tradotto Willis, quale altra scrittura vi sentite pronte ad affrontare? O quale desiderereste?

Costanza Fusini: Sono molto affascinata dalle narrazioni che riescono a far riflettere sulle imposizioni socio-culturali e le loro conseguenze, senza dubbio i miei studi postcoloniali hanno lasciato il segno. So che possono sembrare tematiche trite e ritrite, superate, eppure c’è ancora chi si sente migliore di altri perché ha la pelle di un certo colore o per il solo fatto di essere uomo. Forse qualche domanda ce la dobbiamo fare.

Michela Sgammini: Io sono una grande appassionata di distopia e fantascienza, quindi mi auguro di cimentarmi presto con la traduzione di questi generi che secondo me hanno molto da offrire non solo a livello contenutistico ma anche della lingua. Diciamo che prediligo gli autori che non si risparmiano, che non solo affrontano temi interessanti in modi inconsueti ma che giocano con la lingua, la stravolgono, la decostruiscono, la inventano, spingendosi sempre oltre.
Mi augurerei volentieri una scrittura come quella di Joanna Russ, Helen Oyeyemi o Amelia Grey.

 

Se c’è una cosa che la traduzione di “Il buio e altre storie d’amore” di Deborah Willis vi ha insegnato è che…

Costanza Fusini: … la vita ha infinite sfaccettature, e la quotidianità nella quale viviamo non sempre ci permette di vederle: non esiste solo l’amore romantico e il concetto di normalità, che ci è stato imposto culturalmente perché nelle fasi di crescita abbiamo bisogno di punti fermi, deve essere rivisto con spirito critico.

A livello più personale, poi, questo libro significa che quando meno te lo aspetti possono succedere cose meravigliose.

Michela Sgammini: Di sicuro la calma. Il concedermi tempo per calarmi nella narrazione, entrare sempre più in contatto con il testo e l’autore, ascoltare con pazienza la sua voce, soprattutto per evitare di rovinare l’intera armonia per la troppa fretta. Spesso la difficoltà principale della traduzione non è tanto la comprensione quanto il restituire un’immagine o una sensazione con la stessa forza dell’originale.

 

Dopo aver tradotto un libro, si può essere lettore di quel libro o la relazione tra il traduttore e il libro tradotto sarà sempre qualcosa di diverso?

Costanza Fusini: Per quanto mi riguarda la vedo come una relazione che cresce, evolve: prima sono lettrice del libro e poi traduttrice. La prima impressione come lettrice è molto importante, mi offre una visione globale; affrontando poi il testo come traduttrice vado ad approfondire e scopro altre possibili interpretazioni diverse da quella percepita inizialmente e che devono essere rese disponibili alla sensibilità dei lettori italiani. Penso che ancora ci siamo “lasciati” da troppo poco per vedere il libro con gli occhi di una lettrice, non so se a distanza di più tempo sarà possibile, vedremo.

Michela Sgammini: Il rapporto con il testo tradotto è indubbiamente molto forte, è un legame intimo e profondo e di certo non si esaurisce con la pubblicazione. Quando si traduce un testo si è a stretto contatto con un autore, con il mondo che ha costruito; i personaggi, le parole, le immagini ce le portiamo appresso per molto tempo. Con Welcome to Paradise (il racconto di cui mi sono occupata) sento di avere un forte legame, mi sento molto legata ai personaggi, alla storia e alle sensazioni che mi ha trasmesso sin dalla prima lettura. Certo, non sempre si traducono autori con cui si sente di avere intimità, sintonia, in cui ci si riconosce insomma; devo dire che con Deborah Willis sono stata molto fortunata.

 

Deborah WillisDeborah Willis: È nata e cresciuta a Calgary, ha lavorato come libraia nella prestigiosa Munro’s book di Victoria. Pubblica racconti sulle maggiori riviste letterarie canadesi e Statunitensi e la sua prima raccolta Svanire ha raccolto un unanime consenso di pubblico e critica ed è stata tradotta in diverse lingue. Nel 2010 è stata inserita tra i 100 libri dell’anno dal Globe and Mail. Il buio e altre storie d’amore, la sua seconda raccolta, è stata nominata per il SCOTIABANK GILLER PRIZE e nel 2018 si è aggiudicata il WESTERN CANADA JEWISH BOOK AWARDS.

 

Paola fotoPaola Del Zoppo: È nata a Napoli nel 1975. Traduttrice e critica letteraria insegna Letteratura tedesca all’Università degli studi della Tuscia. È inoltre nel corpo docente del Master di II livello in Traduzione letteraria ed editing dei testi dell’Univesità degli studi di Siena e co-fondatrice e direttrice editoriale di questa casa editrice, per cui ha tradotto poesia e letteratura contemporanea dalle lingue tedesca e inglese (Max Frisch, Leonhard Frank, Lutz Seiler, Sibylle Lewitscharoff, Gwineth Lewis, Marion Poschmann e altri).

 

Costanza fotoCostanza Fusini: È nata a Orbetello nel 1989. Dopo essersi laureata in Lingue e letterature moderne euroamericane a Pisa si specializza in Traduzione di testi postcoloniali. Ha tradotto testi di saggistica e attualmente insegna Lingua inglese alla scuola primaria e secondaria.

 

 

 

 

Michela fotoMichela Sgammini: è nata a San Benedetto del Tronto nel 1992. È laureata in Lingue, civiltà e scienze del linguaggio e si è specializzata in Traduzione letteraria e saggistica All’università di Pisa presentando una traduzione del romanzo Mr Fox di Helen Oyeyemi. Traduce narrativa e saggistica dall’inglese e dal francese. Oltre alla traduzione letteraria ha una grande passione per la traduzione audiovisiva, si occupa infatti di sottotitolazione di film e serie televisive.

[Le biografie di scrittrice e traduttrici sono prese dal sito della casa editrice Del Vecchio]

Nello studio di… Paola Del Zoppo, Costanza Fusini e Michela Sgammini, traduttrici di “Il buio e altre storie d’amore”