di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo"
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

 

Consigli di letture per l’estate

Zaino 14 luglio

Libraio per un giorno in un caldo sabato di luglio è stato un amico storico della libreria, Alessandro Raveggi, che ha appena dato alle stampe un bellissimo romanzo documentario dal titolo “Grande Karma- Vite di Carlo Coccioli”, edito da Bompiani nella Collana Narratori Italiani.
Una vera e propria festa in Libreria, con un via vai di lettori e curiosi e amici e allievi dei corsi di scrittura che Alessandro Raveggi tiene ormai dal 2017 ai Diari di Parma. Raveggi insegna letteratura alla New York University e ha fondato e diretto la rivista letteraria The FLR. Ha esordito scrivendo un romanzo dal titolo “Nella vasca dei terribili piranha”, pubblicato da Effigie nel 2012, a cui hanno fatto seguito i racconti de “Il grande regno dell’emergenza”, pubblicato da LiberAria nel 2016, libro che lo ha condotto ai Diari per la prima volta, quattro anni fa. Quattro come sono le raccolte poetiche che ha pubblicato nel corso degli anni, senza trascurare un libro su Italo Calvino americano e un saggio introduttivo a David Foster Wallace. Tra le altre cose ha curato l’antologia di racconti “Panamericana” per la La nuova frontiera nel 2016. Scrive di libri e cultura su riviste nazionali e internazionali, tra le quali Wired ed Esquire. È curatore della collana di narrativa straniera di LiberAria.
In tanti, nonostante il caldo e l’afa, sono venuti in libreria per conoscere, attraverso il romanzo di Alessandro Raveggi, le molteplici e sfuggenti vite dello scrittore Carlo Coccioli. Nato a Livorno nel 1920, al seguito del padre militare, Carlo Coccioli vive la sua infanzia nell’Africa italiana del tempo, poi a Parma e Fiume e Napoli prima di approdare a Firenze. Coccioli è stato un eroe della Resistenza italiana prima di diventare scrittore di successo a Parigi. La vita di Carlo Coccioli si è conclusa il 5 agosto 2003 a Città del Messico ed oggi è sepolto nel villaggio di Atlixco, nello stato di Puebla, ma egli ha vissuto più di mezzo secolo nella capitale messicana.

Nato a Livorno un secolo fa, vissuto in Francia e poi a lungo in Messico dove muore nel 2003, Carlo Coccioli è uno degli scrittori più irregolari e affascinanti del nostro Novecento. A rendere sfuggente la sua identità concorrono molti aspetti: Coccioli fa uso di tre lingue – italiano, francese e spagnolo – per le sue opere, tutte caratterizzate da una forte eccentricità tematica e strutturale; è partigiano, animalista, ispiratore degli Alcolisti anonimi italiani; è finalista al premio Campiello eppure alcuni suoi libri non hanno visto la luce in Italia o vi sono giunti molto tardi. È questo il caso di Fabrizio Lupo, bestseller in Francia all’inizio degli anni Cinquanta, pubblicato in Italia solo nel 1978: in questo romanzo Coccioli affronta apertamente il tema dell’omosessualità, che insieme a una spiritualità vivissima e nomade fu uno dei grandi rovelli della sua vita e della sua scrittura. “Una delle cose che colpiscono di più, nella narrativa di Coccioli, è l’autenticità disarmata con cui rifiuta l’idea di un’autonomia della letteratura dalla vita,” ha scritto Walter Siti nella sua introduzione a Fabrizio Lupo. E Alessandro Raveggi sceglie di raccontare lo scrittore proprio attraverso la vita, mettendo in scena l’avventura di un giovane studioso che ne (in)segue le orme per il mondo. Viaggiando tra il Messico, Parigi e Firenze, rimescolando parole tratte dai romanzi, dagli epistolari, dalle opere di amici di Coccioli come Malaparte e Cocteau, il narratore si lascia sedurre dal gioco degli specchi praticato per tutta la vita dallo scrittore. Tentato dalla realtà quanto dalla finzione, Raveggi affida a ciascuno il compito di proseguire il viaggio attraverso la lettura delle opere di Coccioli e insieme celebra il mistero da cui ogni arte trae alimento.

Il libro documentario di Alessandro Raveggi sarà uno di quei titoli che consiglieremo tantissimo nel corso di questa nostra estate libresca. Accanto al Grande Karma facciamo partire i consigli di letture per l’estate da affiancare da una grande scrittrice, Eudora Welty.

Nata a Jackson, nel Mississippi,il 13 aprile 1909 e morta nel luglio del 2001, è stata una scrittrice e fotografa statunitense. A ventidue anni comincia a lavorare in una radio cittadina e a scrivere di cronaca locale per alcune testate regionali, per poi ottenere un impiego alla Works Progress Administration: trascorre il suo tempo in costante movimento, intervistando e fotografando gli abitanti del Mississippi e scoprendo nei loro volti e nelle loro voci gli effetti devastanti della Grande Depressione. Quella per la fotografia è una passione che si porta dietro dall’adolescenza: è bravissima a scegliere i soggetti da immortalare e a farli sentire a proprio agio; si considera un’osservatrice che registra la realtà che la circonda. Vorrebbe perfezionarsi seguendo le lezioni della fotografa Berenice Abbott, ma la sua domanda di ammissione alla New School for Social Research viene respinta. Il 1936 è un anno di svolta: espone i suoi scatti per due settimane in una galleria di New York. Sembra che la carriera di fotografa stia finalmente per decollare, ma qualche mese dopo una piccola rivista decide di pubblicare due suoi racconti e allora cambia tutto: mette da parte la macchina fotografica e si dedica completamente alla scrittura. Insieme a Flannery O’Connor e Carson McCullers, è una delle scrittrici americane più note, specialmente quando si tratta di raccontare gli Stati Uniti del sud e la condizione femminile. È stata insignita con la Medaglia presidenziale della libertà, e con The Optimist’s Daughter nel 1973 ha vinto il Premio Pulitzer. La sua casa natale è considerata d’interesse nazionale e oggi è un museo. Tra le sue opere, oltre a “La figlia dell’ottimista”, ricordiamo i romanzi “Nozze sul Delta” (da pochi giorni pubblicato per minimum fax) e “Lo sposo brigante”, e le raccolte di racconti “Un sipario di verde” e “Mele d’oro”. Dicevamo, appunto, che di Eudora Welty nella traduzione di Simona Fefè da pochi giorni è uscito per minimum fax “Nozze sul Delta”.

È il settembre del 1923 quando la piccola Laura, da poco orfana di madre, sale a bordo del treno che da Jackson la porterà a Shellmound, la grande piantagione sul Delta del Mississippi dove vive gran parte della famiglia materna e dove sono in corso i preparativi per le nozze della secondogenita diciassettenne dei Fairchild, Dabney, che – per amore o per capriccio – sta per sposare il soprintendente della piantagione, un uomo rude, con il doppio dei suoi anni e per giunta di classe inferiore. Laura non può che osservare incantata la grande casa traboccante di vita e di affetto, di innumerevoli zii, zie e cugini, di servitori anonimi ma onnipresenti, in cui riecheggiano le storie di famiglia e le voci dei fantasmi degli antenati mai tornati dalla guerra. In questo mondo fatto di rituali antichi e piccole e grandi gelosie, dove le donne sono tiranne amorevoli e gli uomini sono creature quasi mitologiche, condannati a essere venerati e scrutati come divinità, la violenza irrompe come un lampo fugace ed è dimenticata un attimo dopo, gli eventi accaduti hanno la stessa rilevanza di quelli scampati o soltanto sognati, e la storia non è che un’eco distante, la scenografia su cui si dipana l’universo privato dei Fairchild.
Con una prosa limpida, fuori dal tempo, Eudora Welty ci racconta la fine di un’epoca, costruendo un mosaico di storie che hanno il profumo e il ritmo pigro del più profondo e autentico Sud, un mondo che appare al tempo stesso immutabile e dolorosamente transitorio.

Tra le novità di grande rilievo ricordiamo che è uscito giovedì 2 luglio, in anteprima mondiale per SEM , “Il decoro” di David Leavitt nella traduzione di Fabio Cremonesi e Alessandra Osti.

David Leavitt, nato a Pittsburgh nel 1961 e cresciuto in California, dopo la laurea a Yale si afferma, poco più che ventenne, con i racconti di “Ballo di famiglia”. Tutti i suoi romanzi sono in corso di pubblicazione per SEM. Autore tra i più stimati della scena contemporanea, in questo suo nuovo e atteso lavoro David Leavitt rinnova i fasti della letteratura americana più elegante e raffinata. Il decoro riporta all’attenzione della critica e dei lettori un vero, grande scrittore.

Qualche giorno dopo l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, in una lussuosa villa del Connecticut, alcuni amici newyorkesi dell’alta borghesia intellettuale si ritrovano per riprendersi da quella che considerano la più grande catastrofe politica della loro vita. Si rifugiano in campagna nella speranza di ristabilire la “bolla” in cui sono abituati a vivere. Eva Lindquist, la padrona di casa, propone una sfida. Chi di loro sarebbe disposto a chiedere a Siri come assassinare Trump? Nessuno, a eccezione di un cinico editore, raccoglie la provocazione. Gli amici progressisti di Eva e del marito Bruce con la loro pavida reazione introducono uno dei temi portanti del romanzo: la paura di fronte a un nuovo clima politico. Delusa dal suo paese, dove non si sente più “a casa” e al sicuro, Eva decide di partire per Venezia, città che ha conosciuto e amato in gioventù. Lì, quasi per caso, visita un affascinante appartamento e decide di acquistarlo. Il soggiorno in quella città la aiuta a cercare un nuovo modo di immaginare il mondo. Intorno a quello di Eva si intrecciano i destini degli altri personaggi, che prendono forma attraverso dialoghi incalzanti e ironici, nei quali si configurano possibili soluzioni a esistenze segnate dall’inquietudine. Ecco allora i tradimenti, le fughe e la menzogna a coprire tutto. Il decoro affronta gli imprevedibili appetiti d’amore, di potere e di libertà che plasmano la vita pubblica e privata delle classi privilegiate. Un romanzo che parla del bisogno di sicurezza e dell’istinto di scoperta, del rapporto tra altruismo e autoconservazione e della natura effimera di un certo tipo di ricercatezza.

Per Keller è uscito in questo caldo luglio anche “Sedici parole” di Nava Ebrhaimi nella traduzione dal tedesco di Angela Lorenzini. Un bellissimo romanzo sulle origini e la famiglia: per i lettori di Jhumpa Lahiri, Alina Bronsky e per i fan del famoso romanzo grafico «Persepolis». Un libro poetico e intelligente su una ragazza sospesa tra due mondi. Ci sono parole che non conosciamo, ma di cui possiamo indovinare il significato come se fossero sempre state presenti. Come se avessero sempre vissuto in noi. E a volte vogliono finalmente essere pronunciate…

Dopo la morte della nonna, Mona decide di tornare in Iran per un ultimo saluto a quella donna testarda, orgogliosa, con la battuta sempre pronta – e spesso inappropriata – sulle labbra.
Il Paese che trova è una terra ormai inafferrabile, in parte sconosciuta, da lasciare in fretta per tornare alla solita vita di Colonia con il lavoro da ghostwriter e le serate nei club musicali. Ma l’incontro con un vecchio amore e un viaggio a Bam – l’antica città che dopo un disastroso terremoto è solo il fantasma di ciò che era un tempo – cambia ogni cosa. Quella visita si trasforma in un confronto inatteso con le proprie origini e la storia di famiglia, con segreti di cui è sempre stata all’oscuro. Attraverso sedici parole, una per ogni capitolo del romanzo, Nava Ebrahimi ci conduce in un viaggio magico e poetico nel cuore di un Paese pieno di silenzi ed enigmi. Si muove tra infanzia ed età adulta, racconta un mondo di donne forti, misericordiose e talvolta crudeli, di uomini e sogni, di sconfitte e dignità, di fughe e amori nascosti. Sedici parole è stato premiato come Migliore debutto dell’anno in Austria e ci regala una voce nuova, sensibile e acuta della letteratura che si muove tra culture diverse.

Bella novità da Sur in questo luglio è “Distanza di sicurezza ” di Samanta Schweblin nella traduzione di Roberta Bovaia. L’autrice ci regala un romanzo breve, che si legge in un soffio, ma capace di lasciarci col cuore in gola, ansiosi di capire, ma con la strana voglia di rimanere un passo indietro. Una storia di fantasmi per il nostro tempo, per chi ama Shirley Jackson, Stephen King, il cinema di Lynch , e al tempo stesso una storia che più reale non si può: dentro ci sono madri e figli, una campagna sconfinata e una scrittura che è ritmo puro.
Samanta Schweblin è una scrittrice argentina di fama internazionale. Nel 2010 è stata selezionata dalla rivista Granta come una dei 22 migliori scrittori in lingua spagnola sotto i 35 anni, riconoscimento in seguito confermato da numerosi premi letterari. Tra le sue opere: “La pesante valigia di Benavides” (Fazi, 2010). Dopo “Kentuki” dello scorso anno, Sur ha appena pubblicato “Distanza di sicurezza” e pubblicherà due sue raccolte di racconti, “Siete casas vacías”, che le ha valso il prestigioso Premio Ribera del Duero nel 2015, e “Pájaros en la boca”, la cui traduzione in inglese è stata candidata al Man Booker International Prize.

Una giovane donna di nome Amanda giace in un letto d’ospedale. Un bambino, David, le siede accanto. Lei non è sua madre; lui non è suo figlio. Nel travolgente dialogo tra i due si dipana una storia di anime spezzate, sullo sfondo di una campagna oscura invasa da liquami tossici: la realtà che si fa sogno, o forse incubo. Perché la donna è in fin di vita? E dov’è la piccola Nina, figlia di Amanda? Quella che era iniziata come una tranquilla vacanza estiva, in mezzo alla natura e lontano dalla città, si trasforma per la protagonista in un susseguirsi di eventi dai contorni soprannaturali. Distanza di sicurezza è una storia di fantasmi per il nostro tempo, un romanzo ipnotico e visionario, che si legge tutto d’un fiato e ci immerge in un universo surreale eppure terribilmente riconoscibile.

In Libreria ai Diari si trova anche “Kentuki” di Samanta Schweblin. Un libro perfetto per la stagione estiva: una distopia ipnotica, irresistibile che sembra mostrarci il nostro futuro prossimo venturo.

Buenos Aires, interno giorno. Ma anche Zagabria, Pechino, Tel Aviv, Oaxaca: il fenomeno si diffonde in fretta, in ogni angolo del pianeta, giorno e notte. Si chiamano kentuki: tutti ne parlano, tutti desiderano avere o essere un kentuki. Topo, corvo, drago, coniglio: all’apparenza innocui e adorabili peluche che vagano per il salotto di casa, in realtà robottini con telecamere al posto degli occhi e rotelle ai piedi, collegati casualmente a un utente anonimo che potrebbe essere dovunque. Di innocuo, in effetti, hanno ben poco: scrutano, sbirciano, si muovono dentro la vita di un’altra persona.
Così, una pensionata di Lima può seguire le giornate di un’adolescente tedesca, e gioire o preoccuparsi per lei; un ragazzino di Antigua può lanciarsi in un’avventura per le lande norvegesi, e vedere per la prima volta la neve; o ancora un padre fresco di divorzio può colmare il vuoto lasciato dall’ex moglie. Le possibilità sono infinite, e non sempre limpide: oltre a curiosità e tenerezza, il nuovo dispositivo scatena infatti forme inedite di voyeurismo e ossessione.
Come i kentuki aprono una finestra sulla nostra quotidianità più intima, così Samanta Schweblin apre uno squarcio nella narrazione del reale: con un immaginario paragonato a quelli di Shirley Jackson e David Lynch, l’autrice trasporta il lettore in un’atmosfera ipnotica, regalandoci una storia sorprendente e dal ritmo vertiginoso.

Nei suggerimenti di lettura non possono mancare almeno due titoli di letteratura di viaggio ,che in estate fanno sempre piacere, soprattutto se pubblicati da Exòrma nella collana Scritti Traversi.
Il primo titolo è “Da Vinci su tre ruote. In scooter alla scoperta del genio” di Alessandro Agostinelli. La storia di un insolito viaggio sulle orme di Leonardo, attraverso la sua storia e i suoi luoghi.

Alessandro Agostinelli parte con uno scooter Piaggio e con un camper al seguito.Percorre migliaia di chilometri da Vinci ad Amboise, in Francia, cioè dalla città dove Leonardo è nato fino alla città dove è morto, per raccontare i luoghi e alcuni aspetti controversi della sua biografia.Dieci luoghi per sapere della nascita di un figlio illegittimo, per conoscere un genio che diventa “superman”; un pittore con la testa tra le nuvole; il progettista idraulico che voleva deviare il corso dell’Arno; le copiature dagli altri architetti; le invenzioni non sue. Tra una tappa e l’altra il nostro autore dialoga con personaggi noti che conoscono assai bene il gigante del Rinascimento: il poeta Tomaso Kemeny, gli storici Franco Cardini e Pascal Brioist, gli storici dell’arte Cristina Acidini e Pietro Marani, lo scrittore Bernard Vanel, l’architetto parigino Arthur Biasse e molti altri.
Il viaggio nella Toscana e nella Francia di Leonardo si trasforma presto in una lunga cavalcata sul senso della storia, della fama e della fortuna.

Il secondo titolo di Exòrma, pubblicato proprio in questi giorni di luglio, è “La frontiera spaesata – Un viaggio alle porte dei Balcani” di Giuseppe A. Samonà. Una frontiera che non è una linea ma uno spazio disteso, fluido, dai contorni sfumati.

Con il ritmo del giornale di bordo, Giuseppe A. Samonà ci accompagna su una frontiera che non è una linea ma uno spazio disteso, fluido, dai contorni sfumati, in cui coabitano e si mescolano genti, lingue e culture. Una frontiera spaesata appunto, nel senso di un paese che non è un paese ma molti paesi. Una frontiera insomma che non si lascia afferrare, che si sposta sempre. Si parla molto di letteratura, di Storia e storie che sono indispensabili alla comprensione dei luoghi. Un percorso esplorato insieme agli scrittori e ai poeti di queste terre e che l’autore annota e disegna su tovagliette di carta: una sorta di mappa potenziale in cui cercare pezzi di itinerari che ognuno potrebbe comporre a modo suo; preziosa per chi volesse mettersi in cammino da Trieste, verso est e verso sud-est, lungo la costa dell’Istria o penetrando l’interno della Slovenia e della Croazia, verso il cuore dei Balcani.

Chiudiamo i consigli di Lettura per l’Estate con due titoli della Collana di letteratura ceca di Miraggi di cui non abbiamo avuto occasione di parlare ancora su Giuditta Legge. Il primo titolo che vi propongo è da pochi giorni uscito per Novàvlina, la collana curata da Alessandro De Vito, giunta al suo decimo titolo in poco meno di due anni. Si tratta di “Krakatite” di Karel Capek nella traduzione dal ceco di Angela Alessandri.
Un romanzo avventuroso ed esplosivo, premonitore, divertente in cui il chimico Prokop scopre l’esplosivo (atomico! E siamo nel 1924), la Krakatite appunto, che potrebbe distruggere il mondo e che tutti vogliono. Faville ed esplosioni leggendo questo romanzo mitico, finalmente tradotto in italiano,dopo 96 anni, Karel capek, definito il più grande autore di fantascienza tra le due guerre, con la sua bomba atomica ante litteram, la sua inventiva inesauribile, il suo amore per il futuro dell’uomo. Nato nel 1890, figlio di un dottore, Capek studiò filosofia a Praga per poi divenire giornalista.

È stato un patriota, intellettuale e scrittore che è stato nominato sette volte per il premio Nobel per la letteratura, senza mai vincerlo. Con il fratello Josef elaborò i suoi primi scritti, e successivamente cominciò la sua carriera autonoma, che sfociò ben presto in attività teatrale. L’opera di esordio fu, nel 1920, “Il malandrino”, una commedia incentrata sul contrasto fra la gioventù audace e la maturità tradizionalista. Sempre nello stesso anno scrisse il suo lavoro più famoso, il dramma in tre atti R.U.R. (sigla di Rossumovi univerzální roboti, traducibile come “I robot universali di Rossum”) un dramma utopico fantascientifico in tre atti pubblicato nel 1920 e messo in scena al Teatro nazionale di Praga nel 1921. In quest’opera compare per la prima volta la parola ROBOT (dal ceco robota, “lavoro duro, lavoro forzato”), che tanto successo ha avuto in seguito. Il termine fu inventato e suggerito all’autore dal fratello Josef. Va notato che i robot di Capek non sono in realtà automi meccanici, ma esseri “costruiti” producendo artificialmente le diverse parti del corpo e assemblandole insieme. Grande sperimentatore di nuove forme e generi letterari, ha affrontato nella sua opera temi di grande attualità: l’intelligenza artificiale, l’energia atomica, la diffusione di epidemie etc. L’opera teatrale R.U.R. Rossum’s Universal Robots è stata di recente riproposta in una nuova traduzione da Marsilio. Morì a Praga di Polmonite nel 1939, suo fratello Josef nel campo di concentramento di Bergen-Belsen nel 1945 e Miraggi ha pubblicato il suo “Poesie dal campo di concentramento” nel 2019.

Allo stupefacente successo mondiale di R.U.R. Rossum’s Universal Robots (1920), hanno infatti fatto seguito nella prima metà degli anni Venti due importanti testi teatrali, V?c Makropolus (L’affare Makropulos, 1922) e Ze života hmyzu (La vita degli insetti, scritto assieme al fratello Josef, 1922) e due innovativi “ romanzi ”, Továrna na absolutno (La fabbrica dell’assoluto, 1922) e Krakatit (Krakatite, 1924), tutti testi che rielaboravano i temi utopistici più attuali dell’epoca.
Fissione nucleare, particelle, raggi e gas hanno impresso un marchio profondo all’immaginario del primo dopoguerra e, riattualizzando stereotipi culturali che affondano le proprie radici nel mito della creatura artificiale, sono stati ripetutamente utilizzati da scrittori e registi. Da questo punto di vista Krakatite, mai tradotto prima in italiano, rappresenta una “ distopia mancata”: il geniale chimico Prokop mette a punto una mirabolante invenzione, la Krakatite appunto, un devastante esplosivo che potrebbe radere al suolo paesi interi. La letale polverina bianca però si trasforma ben presto in una sorta di specchio di ciò che accade nella coscienza del protagonista e si fa metafora di un mondo in cui tutto è in movimento, dinamico, incontrollabile. Anche l’amore.La capacità di decifrare le vibrazioni degli atomi e controllarli finisce infatti per suscitare una passione esplosiva in tutte le donne che il protagonista incontrerà nel corso della sua lunga odissea, rendendo questo romanzo, che sarebbe riduttivo considerare puramente fantascientifico, « la più raffinata poesia sessuale della letteratura ceca »

Il secondo titolo che voglio consigliare è poi il settimo della Collana Novavlina dal titolo “Con Bata nella giungla” di Markéta Pilátová. Avete presente Bata, quello delle scarpe? Lo sapevate che la famiglia Bata è cecoslovacca, e da lì si sono espansi in tutto il mondo? Un docu-romanzo appassionante, raccontato attraverso le voci dei protagonisti, la storia di un successo planetario ottenuto lottando contro le difficoltà di un secolo non facile, l’esilio dopo la fuga da nazisti e comunisti e poi la rinascita a partire dal Brasile, dove i Bata impiantarono il loro illuminato modello industriale: le fabbriche, e un sistema che comprendeva case, scuole, servizi per i lavoratori: hanno fondato diverse città, che naturalmente portano il loro nome.

Quella dei Bata è la storia di un successo mondiale, decenni prima della globalizzazione. Si trattava di un capitalismo a tratti ingenuo, seppure moderno. Illuminato, nel suo paternalismo: era attento alla qualità del lavoro e della vita dei dipendenti, fino a immaginare un vero e proprio “sistema Bata”, efficiente ed etico, comprensivo di buone paghe, istruzione, case, dettami morali.Il romanzo ci dà l’occasione di rovistare nei cassetti e nelle scatole di latta di questa straordinaria famiglia di “calzolai che hanno conquistato il mondo”. Scatole e cassetti colmi di documenti, foto, diari.
Seguiremo Jan Antonín Bata, uno dei più grandi uomini d’impresa di ogni tempo e luogo, visionario, caparbio e con un’incrollabile fiducia nel futuro, insieme modernissimo e d’altri tempi. Ci accompagneranno le sue figlie e nipoti, i cognati, con il loro racconto gustoso e dolente, sempre combattivo, tra i ricordi di mille peripezie affrontate procedendo a zig zag tra i dossi e le buche del Novecento. La fuga dai nazisti prima e dai comunisti poi, che lo condannarono ingiustamente per collaborazionismo, il boicottaggio da parte di inglesi e americani, le beghe ereditarie, l’esilio e la nostalgia, con la lingua madre a fare da sottile e orgoglioso legame con le proprie origini.
E la giungla? Dei cechi, dei calzolai, nella giungla? Nulla di strano per uno che aveva immaginato di “trasferire” il popolo cecoslovacco in Patagonia per colonizzarla. È in Brasile, infatti, che Jan Bata si stabilisce una volta lasciata l’Europa, lì insedia fabbriche e fonda città, strappandole alla foresta. Dimostrando che con la volontà e la capacità, oltre che con il duro lavoro, si può ottenere molto, se non tutto.E magari riuscire a far « venire a galla la verità come l’olio sull’acqua », come scrisse in punto di morte.

Nello Zaino di Antonello: Consigli di letture per l’estate