Dieci Buoni Motivi

di Leonardo G. Luccone

per non leggere “La casa mangia le parole

1444119_La casa mangia le parole_Esec@01.indd

 

1.È troppo lungo. Chi ha più tempo di leggere un romanzo di oltre cinquecento pagine dove tutto appare così incasinato.

2. Non si capisce dove vuole andare a parare l’autore. La casa mangia le parole è stato definito «un affollato baule da cui escono alla rinfusa ricordi più o meno dolorosi, fatti di cronaca antica e recente». Ogni volta che ti affezioni a una storia ne parte un’altra, poi un’altra e alla fine non ci si raccapezza più.

3. È troppo frammentario e poco lineare. Il tempo fa avanti e indietro (dal 2001 al 2013): non si capisce quale sia il filo. Dentro ci si trovano appunti, diari, blog, WhatsApp, pezzi di altri libri. Un frastuono di voci.

4. Troppi personaggi: non c’è un solo protagonista ma almeno due (De Stefano e Moses Sabatini); ci sono ben quattordici personaggi nel solo capitolo dedicato alla Bioambiente (la società di ingegneria dove lavorano De Stefano e Sabatini). Non si distinguono. Chi è Alborghetti, chi è Pomarici? Che ruolo hanno nella storia? Chi è Alessandra? Cosa ci interessa della sorella di Matilde? Sarebbe bastato il solo Emanuele e la sua dislessia.

5. Troppe digressioni, troppi temi. È un libro fatto di inessenziale vestito con la tragicità del necessario. A chi interessa l’infanzia di Moses Sabatini a Boston? A chi interessano i suoi trascorsi da hacker? A chi interessa il suo giardino d’inverno nello scantinato?

6. Intreccia con troppa nonchalance finzione e realtà. Il disastro della melassa a Boston, il crollo di un palazzo sul lungotevere a Roma, la crisi ambientale, il declino di Roma. Com’è possibile che nel libro si parli fin nel dettaglio di un saggio realmente esistente e che questo libro sia stato scritto da un personaggio del libro, che è pure una persona in carne e ossa?

7. Troppo mentale. Alla fine contano solo le storie e non le elucubrazioni di un narratore tutt’altro che affidabile (viene il dubbio che sia lo stesso Moses Sabatini a raccontare tutto).

8. Troppo letterario. Non ci si preoccupa del lettore, lasciato alla mercé dell’allusione e del non detto.

9. Terminata la lettura si approda a ben poco: si vive per giorni, settimane con un libro così, e alla fine si rimane a bocca asciutta, perché tirate le somme, il lettore vorrebbe sapere chi scoperà con chi, dove andrà a finire Moses e dove De Stefano, e se Fauci si riprenderà la guida della Bioambiente. Perché quel finale? Non si poteva lasciare tutto com’era? Perché si devono tormentare così tanto i personaggi?

10. È il libro di un editor, traduttore, una persona che lavora nel mondo dell’editoria da tanti anni. Piace solo a un paio di critici tromboni. È tutto costruito a tavolino, cerebrale, non c’è sentimento né talento. D’altronde cosa ci si può aspettare da un libro che è stato stroncato perfino nella sua prima presentazione pubblica?

Dieci Buoni Motivi per non leggere “La casa mangia le parole”