di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo"
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

 

 

Libri Convincenti, scrittori convincenti e traduttori convincenti.

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Uno degli obiettivi dei Diari è scegliere consapevolmente di presentare e proporre in libreria, possibilmente, solo libri capaci di sorprendere per l’immaginazione letteraria, per l’incredibile creatività, ma anche per la serietà dei temi trattati. E al di là dei singoli temi trattati e del genere a cui appartiene un libro, noi ci siamo imposti in primo luogo,come librai, di trattare quelli che siano assolutamente convincenti per il lettore. In questo lavoro siamo parecchio aiutati da amici che lavorano nel mondo dei libri.
Così è accaduto che Martedì 11 febbraio abbiamo presentato un libro che solo apparentemente sfugge alle abituali narrazioni che trattiamo in libreria. In questo caso si tratta del libro “Dalla parte di Jekyll: Manifesto per una buona destra” di Filippo Rossi edito da Marsilio. A proporci la presentazione un’amica traduttrice dal tedesco, Claudia Crivellaro, che ha diretto l’evento facendo dialogare con l’autore Anna Maria Corazza Bildt, imprenditrice e politica, già Parlamentare Europea per il PPE, e Marco Maria Freddi, Radicale militante dell’Associazione Luca Coscioni e di Più Europa, Consigliere Comunale di “Effetto Parma per Pizzarotti Sindaco”.

Filippo Rossi è direttore artistico del festival Caffeina di Viterbo e direttore del sito di informazione Business.it. In passato è stato caporedattore de L’Italia settimanale e ha diretto il periodico online del think tank FareFuturo e Il Futurista. Assieme a Luciano Lanna ha scritto un dizionario sull’immaginario della destra italiana, Fascisti Immaginari.

Davvero una storia e un sistema di valori composito come quelli della destra possono essere ricondotti esclusivamente al discorso di Matteo Salvini, al suo perenne urlare contro gli ultimi, i reietti, i diversi? Filippo Rossi rende giustizia ai contenuti e alla lingua di una destra «altra» che rivendica la sua diversità.Esiste ancora una destra che non vuole arrendersi a Salvini? Laica, realista, autorevole ma non autoritaria, capace di dare risposte concrete senza semplificare la realtà alle sfide della modernità? Secondo Filippo Rossi non solo esiste, ma è in grande fermento. Le sue contraddizioni si possono raccontare facendo ricorso allo strano caso del Dottor Jekyll e di Mister Hyde che, a ben vedere, non è poi così strano. Come all’interno di una stessa individualità ci possono essere il buono e il cattivo, e i medesimi impulsi possono sfociare in comportamenti diversi e contrapposti, ciò vale ancor di più per le identità collettive. Così all’alter ego capace di ogni nefandezza che vediamo oggi e che esprime l’istinto spaventato e arrabbiato, il subconscio bestiale, si oppone una destra sana che deve reagire per riprendersi il suo posto nella storia, e non finire come il protagonista del romanzo, uccisa dalla sua stessa ombra. Rossi propone un viaggio alla ricerca di una possibile via, che accetta la sfida del nuovo, il cambiamento come stile di vita. Un potente appello a tutti coloro che si sentono viandanti culturali, migranti politici, e che rifiutano la retorica delle radici e la tirannia degli album di famiglia.

Sabato 15 febbraio abbiamo ospitato in una bellissima atmosfera, da vera comunità di lettori, un autore che è anche traduttore, Stefano Zangrando con il suo ultimo libro “Fratello minore”, seconda pubblicazione della collana di narrativa Senza rotta, curata da Marino Magliani e Luigi Preziosi per Arkadia. L’autore ha voluto omaggiare con questo libro lo scrittore berlinese maledetto Peter Brasch. Ci racconta della sua famiglia conservatrice e conformista, dalle origini ebree. Stefano Zangrando nel 2008 ha ottenuto una borsa di scrittura dell’Accademia delle Arti di Berlino, nel 2009 il riconoscimento Nuove leve del Premio italo-tedesco per la traduzione letteraria. È membro fondatore del Seminario Internazionale sul Romanzo presso l’Università di Trento e co-presidente dell’Unione Autrici e Autori del Sudtirolo. Ha collaborato o collabora con varie testate, riviste e blog, fra cui Alias, il manifesto, L’indice dei libri, Doppiozero, Nazione indiana e Zibaldoni. Ha tradotto, fra gli altri, testi di Ingo Schulze, Katja Lange-Müller, Peter Kurzeck, Michael Krüger, Lutz Seiler, Kurt Lanthaler. Tra le sue pubblicazioni narrative “Amateurs” (romanzo, 2016) e appunto “Fratello minore” nel 2018 che sarà pubblicato nel mese di marzo per il mercato tedesco dalla berlinese Eulenspiegel Verlagsgruppe con il titolo di “Kleiner Bruder”.

Berlino, zona est, un autunno degli anni Novanta, prima dell’alba. Un uomo scende in strada, è uno scrittore semisconosciuto e un ex-bevitore. Ha quarant’anni e la sua vita è sospesa. È un fallimento quello che ha alle spalle? E i pochi anni di vita che ancora lo aspettano possono dirsi all’altezza delle sue aspirazioni? C’è poco di romantico nell’essere davvero uno scrittore maledetto. Vent’anni dopo, un autore italiano che a Berlino ci va spesso s’imbatte nei ricordi che quell’uomo ha lasciato in chi lo ha conosciuto. Si mette sulle sue tracce, ne scopre i testi, decide di ricostruirne la figura. Immagina, interroga, si rivolge a lui. Ne rievoca il passato famigliare, con i genitori ebrei prima fuggiti dal nazismo e poi approdati nella Germania comunista, con i fratelli anch’essi artisti, ugualmente ribelli contro lo status quo incarnato dal padre funzionario e tutti condannati a una fine precoce. Fa parlare su un palcoscenico immaginario le donne che lo hanno amato. Visita la sua tomba e ne commenta gli ultimi anni, il tentativo di riscattare un’esistenza di rabbie e sconfitte. Fino a salvarne, grazie alla poesia, la purezza ferita.

Abbiamo raccontato dello scrittore tedesco Peter Brasch (Cottbus, 1955 – Berlion, 2001), autore e drammaturgo che visse per gran parte della sua vita nella ex DDR, assistendo anche al crollo del Muro di Berlino e al cambiamento repentino che ne seguì.

Della ex DDR parla anche il bellissimo romanzo “La stasi dietro il lavello” di Claudia Rusch pubblicato da Keller nella collana Passi. Un romanzo tragico e grottesco allo stesso tempo, appassionante e leggero, duro ed elegante. La stasi dietro il lavello è un’opera autobiografica, diventata nel 2003 un best seller in Germania. In una serie di capitoli che possono vivere come racconti a sé, l’autrice racconta la sua infanzia e adolescenza all’ombra del Muro. Vita di normale follia nella Ddr, prima dello smantellamento del Muro.

Claudia è ancora una bambina, eppure già sa cosa significhi vivere nella Germania dell’est. E ha soltanto dieci anni quando comincia a desiderare di scappare lontano. Il suo primo sogno di evasione è in Svezia che dista solo un braccio di mare dall’estrema punta nord-occidentale di Rugen, dove vive con la madre e i nonni. Per lei la Svezia è un paese incantato e gioioso, pieno di gente dai capelli biondi. Ma è soprattutto l’irraggiungibile paese della libertà. L’omonimia tra la protagonista del romanzo (nonché voce narrante) e l’autrice non è un caso. Cresciuta in una famiglia di attivisti per i diritti civili, a stretto contatto con noti intellettuali perseguitati dal regime, Claudia Rusch vuole rivelare al mondo occidentale le assurde vessazioni e le molte difficoltà di quel mondo chiuso e soffocante. Ma non c’è ombra di tristezza nelle sue pagine. Il racconto di quegli anni scorre veloce e la sua penna brillante e ironica, lontana da qualsiasi retorica, sa divertire anche quando denuncia le mille assurde persecuzioni della dittatura comunista. Ma, pur nella sua leggerezza, la scrittrice tedesca non risparmia le accuse al regime comunista che perseguita chi non accetta di essere omologato: racconta come si vive quando la possibilità di essere rinchiusi in un carcere incombe sulla vita di chiunque; quando gli studenti non possono scegliere liberamente il corso dei propri studi universitari perché devono essere in linea con le esigenza economiche della Ddr; quando persino la possibilità di accedere all’esame di maturità dipende dalla benevolenza del regime.

Claudia Rusch è cresciuta sotto l’occhio onnipresente degli agenti della Stasi e solo dopo la riunificazione ha appreso la verità sulla fine del nonno, morto nel gennaio del 1967 nella cella umida e senza finestre di un carcere giudiziario. Il Muro cade proprio quando Claudia compie diciotto anni. Nel momento in cui diventa ufficialmente adulta, il sogno di espatriare, coltivato da molti anni ma nascosto persino ai genitori, diventa realizzabile e lei può volare a Parigi. Inaspettatamente, il mondo si apre con tutte le sue mille possibilità. E il grigio regime di oppressione crolla per sempre insieme al Muro: nella nuova fase di allegria e ottimismo, “la nuova autodeterminazione aveva l’effetto di un nullaosta per qualsiasi cosa”.

A proposito di DDR imperdibile un romanzo di rara intelligenza dal titolo “Piano D” di Simon Urban, edito da Keller, che fa sconfinare il catalogo K nei territori del giallo di qualità letteraria. Dopo la lettura di questo bellissimo romanzo potrete guardare e pensare a Berlino e alla DDR e alla vostra quieta e “libera” quotidianità in modo diverso. Il geniale romanzo di Simon Urban, “Piano D” è tradotto dal tedesco dalla nostra amica traduttrice Roberta Gado. Questo romanzo d’esordio di Simon Urban nel 2011 è stato finora tradotto in dodici lingue; la traduzione inglese e entrata nella longlist dell’IMPAC Award mentre in Germania il romanzo ha raggiunto la Top Ten Best Crime Novels of the Year della Zeit e si è aggiudicato lo Stuttgart Crime Award come miglior debutto dell’anno.

Simon Urban nato nel 1975 vive e lavora tra Amburgo e il Mar Baltico e nel 2014 ha scritto il suo secondo romanzo Gondwana.

Il thriller di Urban trasporta il lettore in un mondo che indaga con invenzioni sorprendenti i sistemi politici del passato e del presente, e lo tiene inchiodato a una trama brillante con una lingua poderosa, vivace e precisa. Tradotto in dodici lingue, Piano D ha conquistato lettori e critici ? si è guadagnato un posto nella classifica dei dieci migliori crime novels dell’anno stilata da «Die Zeit» ? trovando l’equilibrio perfetto tra il genere poliziesco, la qualità letteraria e la satira dei migliori romanzi distopici o, come in questo caso, ucronici.
Piano D è un libro divertente, che si legge tutto d’un fiato. Ma è anche un libro sulla natura delle dittature. Mostra come siano possibili, come funzionano e cosa fanno alle persone. Tu inizi a leggere un giallo ambientato in una fittizia Germania dell’Est del 2011 e alla fine ti ritrovi a una resa dei conti con le grandi ideologie distruttive del XX secolo – non è un saggio storico ma uno sguardo lucido dall’interno.

Stefano Zangrando, dicevamo, è autore e traduttore. Tra gli autori tradotti anche uno scrittore mlto amato ai Diari per “Kruso, “Lutz Seiler, presente nei nostri scaffali anche con “La Domenica pensavo a Dio” a cura della nostra cara amica Paola Del Zoppo. Le edizioni Del Vecchio riservano spesso delle belle sorprese. Lutz Seiler è un autore tedesco , poeta e saggista parecchio rinomato in patria.

Lutz Seiler è nato nel 1963 a Gera, un paesino della Germania Est ormai scomparso. Poeta attento e innovativo, è uno dei maggiori scrittori della Germania contemporanea, autore di eccezionali essays, intense raccolte poetiche come questa antologia tradotta e pubblicata in Italia da Del Vecchio Editore, con il titolo La domenica pensavo a Dio, e di un volume di racconti, anch’esso uscito in Italia per Del Vecchio Editore con il titolo Il peso del tempo, premiato dalla critica tedesca con il PREMIO FONTANE e il DEUTSCHER ERZAHLERPREIS, il premio per i narratori tedeschi. Insignito di numerosi riconoscimenti per le sue opere sia narrative che poetiche, con Kruso ha ottenuto il PREMIO UWE JOHNSON e il BUCHPREIS.

A questo punto vorrei segnalare alcuni dei titoli recenti di questa vivace e intraprendere casa editrice sarda con cui da tre anni collaboriamo per Il Festival Internazionale della letteratura di viaggio, Arkadia editore.
Dopo tre raccolte di racconti è uscito il primo romanzo della Collana SideKar “Come una barca sul cemento” di Roberto Saporito, in cui ci viene raccontata la storia di un professore universitario decisamente cinico e ambiguo, cacciato dal suo ruolo di insegnante per motivi che scoprirete leggendo e quasi costretto ad accettare un lavoro come guardiano notturno in una rimessa. Tutto lo smarrimento della nostra epoca in un romanzo che tratteggia le debolezze della natura umana con sguardo critico e puntuale.

Ha cinquant’anni e improvvisamente dopo la misteriosa perdita del suo precedente incarico da professore universitario, si trova a lavorare come guardiano notturno, evento che lo costringe a rielaborare completamente la sua esistenza. Un po’ per passare il tempo, un po’ perché è un’esigenza che preme, decide di cercare quelle donne che hanno costellato il suo passato: quelle con cui avrebbe potuto avere una storia, anche solo fugace. Inizia così un inseguimento vero e proprio, a caccia delle “vecchie fiamme”, scoprendo quali siano state le scelte – imposte o meno – di ognuna di loro. Diventano in questo modo l’epicentro di un corollario di sofferenze, di episodi, di destini che si incrociano e sbattono l’uno sull’altro, in un vortice che l’uomo tenta di ammaestrare con ben pochi risultati. Mille domande, sensi di colpa, se e ma a profusione, niente di certo. In queste pagine così dense, Saporito riesce a raccontare lo smarrimento della nostra epoca, tratteggiando le debolezze della natura umana con sguardo critico e puntuale.

“La vita schifa” di Rosario Palazzolo è un altro libro edito da poco dalla casa editrice Arkadia nella Collana SideKar, curata dalle gemelle Ivana e Mariela Peritore. È il secondo romanzo della Collana con in copertina una bellissima foto di Gandolfo Schimmenti. Rosario Palazzolo è drammaturgo, scrittore, regista e attore. Per il teatro ha scritto tanto ricevendo nel 2016 il Premio Nazionale della Critica Teatrale per la sua attività di drammaturgo. Per la narrativa ha scritto una novella e due romanzi tutti editi da Perdisa Pop.

Palermo, 2007. Un uomo racconta il suo ultimo anno di vita, lo racconta da morto, ci dice i perché, ci spiega i per come, ci catapulta in un luogo realissimo, contingente, eppure quasi fantasmagorico, segnato da una cultura al ribasso, che propone speranze a ogni cantone, solo per il gusto di vederle sfiorire. Ernesto è un killer. Un uomo buono. Cattivissimo. Con una sensibilità molto spiccata. Un uomo che ha vissuto un’infanzia povera di prospettive, un’adolescenza infame, una giovinezza sonnolenta e poi d’improvviso gagliarda, fino al giorno della sua morte. Parla soprattutto dell’impossibilità della redenzione, ché la parola redenzione, a volerci ragionare, è la parola più distante dalla parola redenzione, poiché propone un antidoto alla colpa, la assoggetta a una miriade di attenuanti, la sotterra, la dimentica. E invece la colpa andrebbe annoverata, sempre, ed esposta in bella mostra fra i fallimenti dell’esistenza, presa di petto, colpita ai fianchi, affinché non si abbiano sconti in qualsiasi futuro immaginiamo di dover ancora vivere.

Sempre di Arkadia vogliamo segnalare il primo volume di una trilogia che ripercorre la vita di Giuseppe Garibaldi e pubblicato nella Collana Eclypse e scritto da Pietro Picciau.

È il 22 settembre del 1873. Una burrasca notturna fa infrangere sugli scogli dell’isola di Caprera il veliero dell’aristocratico inglese Nicholas Richardson. Il giovane, messosi in salvo, raggiunge una strana costruzione, una sorta di fazenda dipinta interamente di bianco. Sa che qui potrà incontrare un personaggio già entrato nella leggenda, che fin da bambino l’ha sempre affascinato: Giuseppe Garibaldi. Anziano, costretto a muoversi con una carrozzina, l’”Eroe dei due mondi” non ha certo perso il carattere che l’ha accompagnato in tutte le sue imprese. Sollecitato dalla curiosità e dalle domande dell’ospite, Garibaldi si lascia andare a una rievocazione che nulla tralascia e tutto racconta. Una storia che parte dagli uomini principalmente, dal loro sogno di libertà e uguaglianza, dal desiderio di disperato di porre fine, in ogni angolo del globo, al dispotismo. Giorni esaltanti e momenti tristi, lutti personali e travagli generali, ogni evento è un tassello di un grande mosaico che spiega, passo dopo passo, i primi decenni del XIX secolo, tra voglia di conservazione e istanze di rinnovamento. E lui, Garibaldi, scappato da Genova nel 1835 per sottrarsi alla morte dopo un’insurrezione fallita, è sempre al centro della narrazione, protagonista assoluto delle battaglie in Sud America, impegnato fino in fondo e al prezzo di mille pericoli a portare il suo ideale anche nei luoghi più sperduti. La sua sete di avventura e giustizia sembra non placarsi mai, neanche dopo l’incontro con Anita, che anzi diverrà lei stessa guerriera e corsara al pari del marito. Un romanzo, il primo di una trilogia incentrata sulla vita di Garibaldi, che ci fa scoprire ancora più a fondo una figura centrale della storia non solo italiana ma mondiale.

Chiudiamo i suggerimenti di libri Arkadia con il titolo di una cara persona che segue questo blog e la pagina e i suggerimenti della nostra libreria: Francesca Piovesan. Nata nel 1982, vive in provincia di Venezia, a pochi chilometri dal mare, con un marito e due gatti maschi. Dopo aver lavorato per anni nel recupero crediti ha riscoperto la scrittura e pubblicato racconti su “Cadillac” e “Ammatula”. Ha da poco pubblicato ” A pelle scoperta”, uscito sempre nella Collana SideKar.

A pelle scoperta è il racconto della pelle che le persone tendono a coprire per sentire meno. In questa raccolta di racconti invece c’è lo svelamento, l’esposizione al sole o alle intemperie di tutto quello che riceviamo attraverso la pelle e il corpo: le emozioni, le paure, la passione che nasce o viene dimenticata. I protagonisti vivono in quadri della quotidianità che si svela sotto i loro occhi attraverso situazioni comuni che diventano le porte per una sensibilità a volte al limite della sopportazione. Una sensibilità fatta di sensi di vista, di olfatto. Una sensibilità che si interroga poco sulla sua moralità se quello che fa vivere in quell’istante è un bene accettato da tutti o un male da osservare sdegnati. A pelle scoperta è un territorio di incontri di verità che spesso fatichiamo ad accettare, di liberazione da categorie prestabilite, una costante e lenta rivoluzione del corpo che si riconosce nella pelle di chi incontriamo.

Non si è ancora spenta l’eco del passaggio di Matteo Meschiari ai Diari con Antonio Vena e Luca Pantarotto e ancora si ragiona di Cosmologia, Paleolitico e Antropocene. Anche attraverso il primo poema de La Grande Estinzione. Per Nino Aragno, infatti, nella collana I domani (curata da Maria Grazia Calandrone, Andrea Cortellessa e Laura Pugno), è uscito recentemente Finisterre, poema epico di Matteo Meschiari «composto oralmente e poi trascritto».

Composto oralmente e poi trascritto, Finisterre è un poema epico di oltre 2000 versi che racconta la storia del pianeta, dai gas interstellari alla fine dell’umanità. Ispirato al pensiero naturale dei Presocratici e di Lucrezio, all’epica babilonese, celtica e germanica, al poema narrativo contemporaneo (Queneau, Walcott, White, Gaspar, Liscano, Heaney), propone una versione laica di genesi, esodo e apocalisse. Scritto in prima persona, mette in scena le memorie di un osservatore disincarnato, un io sapienziale che attraversa i luoghi e le epoche, un gruppo nomade nei paesaggi del pleistocene, una ragazza sopravvissuta che raccoglie racconti. Per anni parti del poema hanno circolato in forma esclusivamente orale, ad esempio nelle interpretazioni di Sista Bramini e Lorenza Zambon, e in alcuni contesti di poesia come il Festival della Poesia di Paesaggio di Pisogne. È pensato per essere letto a voce alta(Matteo Meschiari)
Annota Laura Pugno nell’introduzione al volume: Un soggetto senza nome e senza corpo, «cieco. Ma con le dita della mente nei recessi d’erba» assiste a ogni origine sulla Terra, uno che è tutti: prende così avvio Finisterre di Matteo Meschiari. Poemetto che affonda radici in una oralità della composizione ma subito si fa scrittura con una sua impronta, mirando apertamente a rovesciare «la geologia in atmosfera l’atmosfera / in forme primitive di terra e la terra in idee/che potevano essere o non essere – ma erano l’adesso». Scrittura composita, che si mimetizza in più voci ed identità, attraversando, tra antropologia, «artico nero» e distopia, tutte le ossessioni dell’autore, legate insieme da una volontà civile. Ed è proprio sull’adesso e l’urgenza del riscaldamento globale, della (possibile) fine della specie umana – di cui ormai siamo a scrivere in modi anche solo pochi anni fa inimmaginabili – che sosta e si chiude un progetto proprio rispetto alla poesia italiana che si fa oggi. Ragionare, finché dura, sull’Antropocene è il compito che Meschiari si è prefisso in opera, e che pratica anche qui, un «pensare attraverso la terra», con l’augurio «che il terreno sia complessità della mente», e che davvero si possa «dire il non detto di ghiaccio», dove il ghiaccio è rovescio del fuoco del clima, ustione mortale. (E certo, la prossima volta il fuoco). Ma intanto, e finché sarà possibile, l’invito di questa poesia è all’incessante movimento, mutamento: «camminare la scogliera/di ciò che accade piuttosto che la scacchiera di ciò che è». Con un corollario, forse involontario: che il bellissimo pianeta mondo viene visto, come direbbe Oliver Sacks, da un animale senziente, e forse ancora più che visto percepito, come nella propriocezione, come se fossimo uno-con: «La manta – la prima la sola – era ciò che si cerca / la sua idea era l’ombra sui coralli / il lato in ombra dei coralli il mio sapere la manta / la manta me stesso – quando immergo pensieri nel mare / e percorro le forme nel corpo dei fondali».

In libreria tra le novità segnaliamo l’arrivo di questo libro dalla copertina pazzesca e dal titolo “La parte migliore degli uomini” di Tristan Garcia nella traduzione di Marcella Uberti-Bona. Con “La Parte Migliore Degli Uomini” si conclude la pubblicazione di una sorta di “trilogia ideale” che la casa editrice milanese NN Editore ha fatto partire con “Faber” per poi proseguire con la raccolta di racconti “7” e ci ha accompagnato tra passato, presente e futuro, utopia e distopia, politica e controcultura, illusione e disincanto.

Nel 1989, William arriva a Parigi dalla provincia, e deve ancora trovare un posto nel mondo. Presto però incontra Dominique, attivista per i diritti degli omosessuali, che lo guida nella vita culturale e notturna cittadina e diventa il suo compagno. La loro storia si intreccia con quella di Jean-Michel, filosofo e professore, amico di Dominique e amante della giornalista Elizabeth. È lei a raccontare le loro storie, storie segnate da una nuova malattia, l’aids, che trasforma Dominique in un paladino della prevenzione, e William nel suo nemico: per lui prevenire significa vietare il piacere. Jean-Michel, che nel frattempo imbocca la carriera politica, in un suo saggio definisce William l’emblema del vuoto contemporaneo, e William la ritiene una consacrazione del suo personaggio mediatico.
Nel suo romanzo d’esordio, Tristan Garcia racconta di quattro personaggi dalle vite esagerate in lotta perpetua tra ideali e realtà, di svolte intellettuali imprevedibili e controverse ma anche di maturità conquistata e pace ritrovata, e dimostra che la parte migliore degli uomini è un luogo del cuore che solo l’amore conosce e solo la scrittura conserva.

Nello Zaino di Antonello: Libri Convincenti, scrittori convincenti e traduttori convincenti