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Un posto? Sarebbe stato bello se ci fossimo incontrate a chiacchierare davanti al mare, con uno Spritz, naturalmente… Venezia alle Zattere o all’Arsenale per esempio, o scegli un posto che piaccia anche a te!

Eh sì, sarebbe stato bello incontrare davvero Marina Mander, che ho invitato a chiacchierare di “L’età straniera” (Marsilio), nella dozzina del Premio Strega. Ma la chiacchierata che potrete leggere di seguito è così piena che conferma la percezione che ho avuto leggendo il libro: Marina Mander è una personalità con uno sguardo potente e ficcante.

l-età-straniera“L’età straniera” è un libro che cavalca onde stratificate di sensi e sentimenti, che mescolandosi diventando schiuma effervescente e moltiplicante.

Difficile seguire un sentiero di temi e riflessioni, perché il lettore come in un mare agitato è sommerso di vita, in cui il dolore e la rassegnazione, la lotta e la sconfitta, i sentimenti e i pregiudizi, l’adolescenza e la maturità, la consapevolezza e l’incertezza formano una corrente che attrae e afferra nel proprio gorgo roboante.

Qual è “L’età straniera” e cosa la caratterizza?

Marina ManderIl titolo del romanzo “L’età straniera” ha una doppia valenza: l’età straniera è l’adolescenza, quel complicato passaggio della vita in cui ci si trova gettati in esilio da noi stessi perché per la prima volta il corpo, il sesso e anche l’idea della morte irrompono con tutta la loro urgenza, agitando il mare del pensare e del sentire.

Ma l’età straniera è anche quella che stiamo vivendo, un momento storico in cui si impone la necessità di confrontarsi con l’Altro da sé, con persone spesso gettate in esilio dalla tragica mancanza di alternative.

Un’estraneità che pone domande in carne e ossa alle quali possiamo rispondere solo attraverso un percorso di consapevolezza, magari accidentato, ma che sappia superare l’onda dell’emotività per farsi pensiero, più forte e deciso, su cosa significhi “essere umani” capaci di difendere la dignità di altri “esseri umani”.

 

Non è semplicemente una voce narrante in prima persona quella a cui hai affidato “L’età straniera”. È anche una voce che sale e scende dalle e nelle profondità del proprio essere e della propria psiche; che è partecipe e a tratti straniante; matura e consapevole ma anche infantile e fragile.
All’interno della voce narrante e della sua “stranezza” viva e palpitante, è come se i molteplici sensi del romanzo prendessero vita in una prospettiva nuova ed inedita. Mi  sembra che il romanzo non sarebbe stato lo stesso se non fosse stato narrato in quel modo e con quella voce, ed è lì che tu hai cercato la chiave per mostrare la visione dell’immaginario del libro.

Marina ManderNoi tutti siamo romanzi polifonici, se proviamo ad ascoltarci difficilmente sentiremo un’unica voce, perfettamente accordata e accordante.

La voce del protagonista, anzi, le voci che lo abitano, che lo interrogano e lo incalzano, sono l’espressione di un conflitto interiore, di una dialettica anche spietata a volte ma necessaria a prendere posizione, a individuarsi in un processo di maturazione che non può non tener conto di istanze anche contraddittorie.

E poi è dall’individuazione come persona, che Leo cerca di perseguire tra mille dubbi, fragilità, ardori e tremori, che nascerà un Leo più adulto, finalmente capace di aprirsi.

Un ragazzo quasi visionario che mette a fuoco, a poco a poco, una visione del suo essere-nel-mondo. 

Uno sporco lavoro che tutti abbiamo dovuto fare, una semplice voce narrante, coerente e lineare, non avrebbe potuto trasmettere al lettore la tridimensionalità delle nostre stranezze.

 

Accanto a Leo e al turbinio delle sue parole e dei suoi pensieri, espressi in modi diversi dai dialoghi con la madre, ai tentativi di comunicare con Florin, alle pause riflessive che tu fai affiorare nelle pagine fino ai sogni e all’immaginazione con cui entrare ancora più profondamente nelle incertezze e complessità del ragazzo, c’è lui: Florin.
Una storia dura dei nostri giorni rispetto alla quale spesso voltiamo la faccia da un’altra parte. Margherita, la madre di Leo, non riesce a farlo e trascina il nuovo compagno e il figlio nel tentativo di porre rimedio almeno a una di queste storie di disuguaglianza e ingiustizia.
Florin sembra un alter ego per Leo, capace di scalfire la corazza con cui Leo si è protetto nei suoi anni stranieri.
Personaggio straordinario, Florin, che tu riesci a tratteggiare senza mai cadere nel patetismo, ma lasciandogli tutta la dignità di ferito e calpestato.
Ce lo presenti?

Marina ManderFlorin è un ragazzino rumeno, gettato sul marciapiede dal padre, che si prostituisce per mantenere una famiglia disgraziata.

Florin è il contrario di Leo: è bruttino mentre Leo assomiglia a Kurt Cobain, ha avuto molte esperienze sessuali mentre Leo è vergine, non parla italiano mentre Leo vive di parole, non sappiamo cosa pensi, cosa voglia, quali siano i suoi sogni, “quelli veri, non di circostanza”.

Florin incarna l’alterità, lo straniero sconosciuto e inconoscibile che però, proprio nel suo essere indecifrabile, catalizza una serie di interrogativi, costringe a un muto confronto con l’assurdità e la complessità di un mondo dove l’infanzia e l’adolescenza possono essere tanto ferite e calpestate, dove anche il corpo diventa merce, dove sembra non esista antidoto all’ingiustizia se non la rassegnazione.

“Florin è una parola in una lingua incomprensibile, nessuno sa tradurlo. È una bestemmia. O, viceversa. Una preghiera al cuore dei sordi.”

Leo comincerà ad ascoltare questa preghiera e così mi auguro accada al lettore, perché c’è qualcosa di sacro in Florin quanto è sacra la dignità umana, un valore di cui, nonostante tutto, Florin è portatore sano.

 

Prendiamo la 90. Quasi nessuno italiano prende la 90 dopo una certa ora. Circonvallazione esterna, circonvallazione estera. Circonvallazione sud-est o circonvallazione Africa del Nord, il percorso della circolare rappresenta il limite tra la Madonnina e il mondo, da un lato costeggia i quartieri di Barona, Baggio e Lorenteggio, luoghi dove la gente che vive in centro non va mai ad ammirare il panorama, dall’altro lambisce la zona Porto di mare, che pare un delirio toponomastico o una grandissima presa per il culo.

I luoghi attraversati dalla coppia Leo/Florin diventano emblema della loro differenza e capacità di adattamento. Luoghi pericolosi per l’uno sono habitat naturale per l’altro. Eppure parliamo della stessa città, Milano.

L’esplosione più dirompente, per me, è stata:

invece la paura si presenta in pieno centro, in pieno giorno. Si presenta di domenica quasi all’ora di pranzo, alla luce di un sole spavaldo. Florin come sempre davanti a me, venti metri più avanti, io che penso che sarebbe stato meglio rimanersene a casa, invece di andargli ancora dietro.

La paura e la città: un connubio sempre più stretto nella nostra attualità. Non è lì che abbiamo fallito del tutto la sfida dell’inclusione? Eppure è in quella paura che Leo (si) riconosce (in) Florin, o sbaglio?

Marina ManderLa sfida dell’inclusione è una sfida aperta e una sfida all’apertura. 

Abbiamo fallito? Non tutti. Per tante persone che hanno paura di uscire dalla confort zone esistono altre che lavorano nei progetti di inclusione sociale, che ci credono, non si spaventano e non scambiano il peccato originale con il peccato d’origine. Abbiamo tutti avuto paura dell’uomo nero da piccoli, poi per fortuna si cresce, si smette di essere bambini in preda all’irrazionalità.

Florin si muove nei territori a lui famigliari, Leo scopre grazie a lui l’esistenza della dark side of the city, che esiste a Milano, come ovunque. Certo, è necessario avere uno “psicopompo” per entrare nei luoghi oscuri, nessuno è così sciocco da avventurarsi da solo. Ma la paura, quella che fa 90, e che accomuna Leo e Florin si chiama violenza.  E la violenza, come le tristi cronache di questi tempi tristi ci insegnano, può manifestarsi anche alla luce del sole, anche quando e per mano di chi meno te l’aspetti.

A me capita di prendere la 90, anche di sera tardi, guardo la gente, la scena del vecchio Angelo che incontra il piccolo diavolo magrebino l’ho vista lì, è finita nel romanzo, ringrazio l’ATM per questo e il fatto che, senza essere incosciente, non ho intenzione di farmi rovinare la vita dalle paure altrui e da chi, attraverso l’istigazione alla paura, costruisce consensi.

 

In chiusura.
Abbiamo trascurato i personaggi adulti nel tuo romanzo, per i quali mi sembra che l’età si possa definire ugualmente straniera. Margherita e il nuovo compagno e la difficile relazione con Leo. Difficile non in senso negativo, ma ricca e complessa, che tu hai saputo trattare con fine ironia senza mai cadere nel sarcasmo o peggio ancora nei pregiudizi e negli stereotipi. Ma è la “presenza” della figura del padre di Leo, nella sua assenza tragica e lancinante, a rendere la percezione della relazione tra genitori e figli intensa e pregnante.
L’età straniera vuole essere anche un’indagine sulla famiglia o vuole scardinare il concetto di famiglia innestandola nelle contraddizioni e perturbazioni dei nostri tempi moderni?

Marina ManderMentre Leo e Florin si affacciano al mondo adulto con tutte le loro perplessità, gli adulti sono nel mezzo del cammino delle loro vite, con errori, gioie e dolori alle spalle.

La famiglia di Leo è una famiglia a geometria variabile come tante: la madre ha un nuovo compagno che la adora e la fa ballare, Leo non è contento, come se il tassista Tango 12 avesse usurpato il posto del tanto amato padre. Infatti, poiché il romanzo è narrato dal punto di vista di Leo, è la figura paterna, pur nella sua assenza, a dominare la scena. Un padre che ha lasciato in eredità all’unico figlio la sensibilità, l’acutezza, l’amore per le parole.

I versi di Milo De Angelis posti in esergo

“Un maestro/nuotò all’alba/delle cose, tre le sei meno venti/e la buona fortuna”

racchiudono la poesia di un uomo che, nonostante la morte, il non aver più saputo nuotare nel mare tempestoso della vita, ha saputo essere maestro, all’alba delle cose ha saputo insegnare a Leo il logos, la facoltà di ragionare.

Mi posso concedere una domanda bis a conclusione di questa chiacchierata così piena?
A quale dei personaggi del romanzo lo affideresti come rappresentante del lettore ideale che ti piacerebbe leggesse “L’età straniera”: alla parte giovane rappresentata da Leo e Florin o alla parte adulta rappresentata da Margherita?

Marina ManderCara Giuditta, non so risponderti. Credo che “L’età straniera” sia un romanzo con diversi piani di lettura, testi e sotto-testi, e che quindi i lettori possano trovare o ritrovare ciascuno la propria estraneità o vicinanza, indipendentemente dall’età. Il mio lettore ideale, se proprio devo immaginarne uno, è quello che si accorge che senza Florin questo romanzo non esisterebbe.

Chiacchierando con… Marina Mander
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