di Giovanni Accardo

scrittore, docente, saggista e organizzatore di eventi culturali a Bolzano.
scrittore, docente, saggista e organizzatore di eventi culturali a Bolzano.

 

 

 

 

 

 

 

Quando ho letto “La cattiva scuola” (Tlon 2017), il libro scritto a quattro mani da Stefania Auci e Francesca Maccani, avevo trovato molto interessante il racconto di cosa significhi insegnare in certi quartieri di Palermo, dove povertà e criminalità s’intrecciano col degrado umano e urbanistico; al contempo, però, mi ero rammaricato che le due autrici non vi avessero dedicato maggiore spazio. Fiori senza destinoA distanza di due anni, Francesca Maccani si è accorta che questo universo meritava di essere raccontato e l’ha fatto con “Fiori senza destino”, un romanzo polifonico pubblicato due mesi fa da SEM. Ne è protagonista Sara, un’insegnante arrivata dal Trentino, che per seguire il marito chiede trasferimento a Palermo e si trova catapultata all’inferno: una scuola media del CEP (Centro di edilizia popolare), un quartiere di periferia nella zona nord-ovest della città nato negli anni Settanta.

«Nel nostro cortile c’è uno schifo. Materassi vecchi e lavatrici arrugginite, mobili spaccati, cespugli di filo di ferro e pezzi di mattoni. Però immondizia non ne butta nessuno sotto casa, che poi la puzza ce la dobbiamo respirare tutti. I sacchi li portiamo fino ai cassonetti, dove vivono tutti quei gatti spelacchiati e dove ci vanno le ragazzine a vendersi. Ci va pure Cettina, ma mica solo lei. Fanno un pompino a dieci euro così ci si ricaricano il telefono.»

Così lo descrive una delle giovani protagoniste. Il romanzo, infatti, alterna il racconto in terza persona di Sara alle voci in prima persona dei ragazzi e delle ragazze che narrano la propria storia. C’è Rosy, una ragazzina di undici anni con un deficit cognitivo che la fa sembrare una bambina di sette, e c’è Cettina, che quando torna da scuola prepara un povero pranzo mentre la madre nell’altra stanza si prostituisce, come la madre di Gaetano: «Mia madre fa la vita, ormai io sono grande e lo so, infatti giro al largo tutto il giorno.» Gaetano ha il padre in galera e lui va a scuola solo perché in questo modo i servizi sociali passano un sussidio alla famiglia. C’è poi Sciaron, il cui nome si scrive proprio come si pronuncia, che forse ha subito degli abusi da un vicino, e Rosalia, la cui madre era incinta già a quattordici anni e a trentasei è nonna di due nipoti.

«Come la Santuzza mi hanno chiamata, perché sono nata a luglio, nei giorni del festino. Santa Rosalia è la patrona di Palermo, ogni tanto a settembre un’acchianata a Monte Pellegrino ce la facciamo tutti insieme, di solito quando papà non è arrestato. Lui vuole salire per ringraziare la Santuzza che gli sbirri non lo hanno beccato.»

E c’è Luigi, che la mattina a scuola dorme perché di notte fa il fantino nelle corse clandestine di cavalli, e c’è Giada, che ha tre sorelle, figlie della stessa madre ma di padri diversi.

Tutti desiderano andar via dal quartiere in cui vivono e tutti dimostrano più anni di quel che hanno, costretti a crescere in fretta e a difendersi, quando ci riescono, da tutte le insidie che quotidianamente le minacciano: gli abusi e la povertà, le violenze e la disperazione. Sogni di fughe che quando vanno bene significano l’ingresso nella criminalità per i ragazzi o la “fuitina” per le ragazze, ovvero farsi mettere incinte e andare a vivere in casa dei suoceri; basti pensare che molti di loro non sono mai andati nel centro della città o al mare, prigionieri in un mondo altro, vittime innocenti e predestinate.

A Sara la vita in quella città e in quella scuola sembra una guerra, una battaglia quotidiana alla quale non vuole soccombere. Anche se poi comincia ad innamorarsi di una città fatta di eccessi e di contraddizioni, dove accanto a un’umanità ferita si può trovare un calore inaspettato. Tuttavia, se la vita è un mare in tempesta, bisogna trovare il modo di non annegare, specie quando le onde sono pronte a sommergerti e il naufragio appare prossimo. E allora ecco che Sara, pur tra mille paure, comincia a prendere lezioni di nuoto e finalmente impara a nuotare.

«Aver finalmente imparato a nuotare per ora serve più sulla terraferma che in acqua […] A poco a poco è riuscita a dominare il suo respiro, a gestire le sue apnee, a muovere le braccia a ritmo. Si è scoperta leggera, sentiva che l’acqua la sosteneva anziché tirarla giù…»

Trentina di origine, vive a Palermo dal 2010. Ha pubblicato un libro di poesie, Fili d’erba, nel 2007 e il saggio “La cattiva scuola” scritto con Stefania Auci nel 2017. Gestisce una pagina Facebook: Francesca leggo veloce

Francesca Maccani racconta l’orrore e lo smarrimento di chi scopre un mondo sconosciuto fatto solo di dolore e sopraffazione, ma anche la pietas verso queste povere vittime, una pietas che l’addolora e la spinge a cercare di capire senza mai giudicare. Per questo ammira Enzo, il vicepreside, che da anni lavora in quella scuola senza arrendersi, fronteggiando tutte le disavventure che giorno dopo giorno arrivano: violenze, furti, abusi sessuali.

“Fiori senza destino” è un romanzo scritto con una lingua plastica e mimetica che l’autrice riesce a cucire addosso ai suoi personaggi, una lingua fortemente espressiva in cui l’italiano si fonde col dialetto senza mai cadere nell’artificio. Un libro da leggere e far leggere, soprattutto alla parte ricca dell’Italia, quella a cui solitamente pensano ministri e parlamentari quando varano le loro periodiche riforme. E da far leggere anche ai burocrati del MIUR e dell’Invalsi, che sembrano ignorare la realtà delle scuole alle quali indirizzano le loro inapplicabili circolari e i loro inutili test.

Giovanni legge “Fiori senza destino”
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