di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

Un ascolto che diventa arricchimento.

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Ascoltare i libri. Sapersi ascoltare mentre si legge. Saper ascoltare un autore che presenta il suo libro. La lettura e l’ascolto possono giovare notevolmente all’arricchimento delle idee del singolo lettore. In una comunità di lettori, poi, ogni ospite può mettere a disposizione il proprio sapere, partecipando direttamente a un processo di arricchimento culturale reciproco. Condividere Cultura, in questo modo, è in genere un comportamento molto vantaggioso perché donando conoscenza o anche solo una buona idea non si perde nulla e tutti ci guadagnano qualcosa.

Un grande scrittore come Paolo Colagrande è tornato ai Diari di Parma. Con lui abbiamo fatto il primo Reading in borgo Santa Brigida con “Senti le Rane” nel marzo del 2015, abbiamo festeggiato il secondo compleanno di vita della libreria nel settembre 2016 e presentato “Lo Spregio” di Alessandro Zaccuri nel novembre del 2016.
Paolo Colagrande è nato a Piacenza nel 1960. Ha pubblicato i romanzi: “Fídeg” (Alet 2007, Premio Campiello Opera Prima, finalista Premio Viareggio), “Kammerspiel” (Alet 2008), “Dioblú” (Rizzoli 2010), “Senti le rane” (nottetempo 2015, Premio Campiello Selezione Giuria dei Letterati). Per Einaudi ha pubblicato “La vita dispari” (2019).

Si sorride ancora, si ride anche, con il nuovo romanzo “La vita dispari”, ultimo libro dello scrittore piacentino. Ma è un riso amaro.

La vita dispari è la pirotecnica, profonda ed esilarante parabola umana di un ragazzino che vede solo una metà del mondo, destinato a diventare un adulto che vive solo a metà. E se metà fosse meglio di tutto? Paolo Colagrande compie un prodigio, perché in queste pagine – dove Gianni Celati incontra Woody Allen – il godimento vivissimo di una scrittura straordinaria va a braccetto con un’allegria contagiosa. La «vita dispari» è quella che – ridendo di noi stessi – conduciamo tutti noi a qualsiasi età quando tentiamo di indovinare la parte mancante delle cose. Buttarelli legge il mondo come un libro a cui mancano le pagine pari o, se ci sono, rimangono indecifrabili. La sua vita, oscurata per metà e ristretta nello spazio elementare di una stanza e di una strada, è un tragicomico susseguirsi di inciampi e di intuizioni, di vessazioni e di casualità. Quando Buttarelli scompare – e intorno alla sua figura si crea un alone di mistero – non resta che raccogliere, per tentare di fare un po’ di chiarezza o forse per aumentare la confusione, la testimonianza del suo amico nullafacente Gualtieri. Ecco che allora si snoda una trama di malintesi e incastri rovinosi, sempre all’insegna del paradosso: la silenziosa guerra con la preside Maribèl, la passione per Eustrella, il fidanzamento simultaneo con otto – otto – compagne di scuola, gli strambi insegnamenti esistenziali impartitigli dal padre putativo, il matrimonio con Ciarma, l’infatuazione per una certa Berengaria. «Buttarelli provava a fare quello che vedeva fare agli altri, con enorme fatica. A volte riusciva a reggere la parte per un tratto breve, ma era come se a un certo punto si ritrovasse nel fitto di un bosco senza piú il sentiero tracciato, e allora era piú prudente tornare indietro». Il mondo, visto dagli occhi di Paolo Colagrande, è un posto in cui l’uomo è stato messo per sbaglio. O per far ridere qualcuno che, di nascosto e da lontano, lo sta osservando.

Anche dall’irresistibile “Senti Le Rane” aveva fatto in Libreria un Reading straordinario. “Senti Le Rane” è stato pubblicato da Nottetempo ed è stato finalista al Premio Campiello 2015.
“Senti le rane” è un canto tradizionale delle mondine della Bassa che qui diventa pretesto per una narrazione fluviale e apparentemente sgangherata. Un vero e prorio divertimento letterario “Senti Le Rane”, tutto giocato sull’affabulazione torrenziale del narratore attento e competente in grado di curare, come sempre, sia la trama sia lo stile e usando una comicità capace di irridere tutto.

Al tavolino di un bar, Gerasim racconta a Sogliani la storia di un terzo amico seduto poco piú in là, ed è una storia molto avventurosa. Ebreo convertito al cattolicesimo per chiamata divina, Zuckermann prende i voti e diventa “il prete bello” di Zobolo Santaurelio Riviera, località balneare di “fascia bassa”: agli occhi dei fedeli passa per un santo, illuminato, alacre e innocente. Ma un pomeriggio di fine estate, mentre intorno al suo nome diventano sempre piú insistenti le voci di miracoli, a Zuckermann si offre la visione della Romana, la figlia diciassettenne di due devoti parrocchiani. Da lí in poi, fra pallidi tentativi di espiazione, passioni e gelosie, cui fanno da contrappunto le vaneggianti digressioni di Gerasim e Sogliani – dall’Uomo vitruviano agli etologi fiamminghi, dagli asceti di Costantinopoli all’Ikea, da Rossella O’Hara all’olio di nespolo babilonese – lentamente si consuma una tragedia sentimentale che travolge l’intera comunità e trova il suo epilogo in riva a un fosso… Con una scrittura comica e pastosa, Colagrande ci racconta una storia e, insieme, il racconto che ne fa una coppia di inattendibili biografi.

Sempre per Nottetempo è da poche settimane uscita una raccolta di racconti dal titolo “Gli insaziabili” che contiene anche un racconto del nostro ospite Paolo Colagrande dal titolo “Granchi”. Si tratta di una antologia di sedici racconti, per metà di autori cinesi e per metà a firma di italiani, curata da Patrizia Liberati, traduttrice tra gli altri di Mo Yan, e Sliva Pozzi, che tra gli altri ha tradotto Yu Hua.
Questi gli autori presenti nell’antologia: Milena Agus, Alessandro Bertante, Paolo Colagrande, Gabriele Di Fronzo, Giorgio Ghiotti, Ginevra Lamberti, Laura Pugno e Mirko Sabatino, A Yi, Ge Liang, Feng Tang, Lu Min, Shu Qiao, Wen Zhen, Zhang Chu e Zhang Yuera.

“Gli insaziabili” raccoglie, dunque, i racconti di otto autori italiani e di otto autori cinesi intorno al doppio filo rosso rappresentato da eros e cibo: temi che riguardano in maniera viscerale e profonda due culture distanti geograficamente e storicamente, eppure piene di terreni fertili per un confronto, una conoscenza e un arricchimento reciproci ancora tutti da sondare e coltivare. Il libro, che esce in contemporanea in Italia e in Cina, è un gioco di specchi, di incastri, di visioni, di sguardi su due argomenti che sono agenti di scambio, strumenti di comunicazione e aggregazione, processi chimici regolati da rituali, modelli culturali, veicoli di senso, facilitatori interculturali – e vorrebbe avvicinare i lettori italiani alla Cina e i lettori cinesi all’Italia, smontando magari piú di un preconcetto e contribuendo ad accorciare le distanze grazie a quell’avventura senza patria che è la lettura.
L’edizione italiana e quella cinese de “Gli Insaziabili” sono pubblicate in contemporanea nei due paesi e Gianluca Falso ha curato le traduzioni degli autori cinesi.

Sabato 30 marzo Umberto Piersanti ha raccontato in libreria le storie vere di “Anime perse”. Con il poeta urbinate ha dialogato Giacomo Conserva, psichiatra e traduttore.
Umberto Piersanti è un poeta italiano e una delle figure maggiori della letteratura italiana del XIX secolo. Già docente di Sociologia della Letteratura all’Università di Urbino, Piersanti ha debuttato nel mondo della letteratura con La breve stagione nel 1967 all’età di ventisei anni; da lì nel corso della sua lunga carriera ha pubblicato diverse raccolte poetiche, testi di saggistica e opere di narrativa (ricordiamo in particolare “I luoghi persi”, Einaudi 1994 e “L’albero delle nebbie”, Einaudi 2008), saggi e opere di narrativa (l’ultima, “Cupo tempo gentile”, Marcos y Marcos 2012); è anche autore di film (“L’età breve”, 1969, “Sulle Cesane”, 1982). Nel 2015 Marcos y Marcos ha pubblicato la raccolta di poesie “Nel folto dei sentieri” (premio Cavallini 2017). Nell’anno 2005 fu uno dei candidati per il Premio Nobel per la Letteratura.

“Anime Perse” è un libro edito da Marcos y Marcos in cui Umberto Piersanti racconta storie di disagio, di disagio profondo, di follia nelle sue implicazioni più estreme, ma lo fa a modo suo, lirico e crudo, da poeta. Sono diciotto storie vere, raccolte da Ferruccio Giovanetti nei suoi centri di recupero del Montefeltro, trascritte e interpretate da Umberto Piersanti.
Le storie vere di diciotto vite smarrite alla ricerca della propria strada raccontate con la delicatezza a cui Umberto Piersanti ci ha abituato. Diciotto storie indimenticabili, diciotto lampi di vite smarrite che non sempre han trovato la pace. Umberto Piersanti racconta storie di disagio, di disagio profondo, di follia nelle sue implicazioni più estreme, ma lo fa a modo suo, lirico e crudo, da poeta.

Enrico ha tagliato la gola a un pescatore per un commento fuori luogo; Mario ha sparato al vicino perché gli rubava la terra. Claudia doveva porre fine alle sofferenze di Lucia; Luisa aveva tutte le ragioni per brindare con la madre, alla morte del padre.
Un tempo si chiamavano manicomi criminali, ora sono centri di recupero: ci arrivano persone che non hanno ucciso per interesse o per calcolo, ma in preda alla follia.
Da dove vengono, cos’è scattato nella loro testa, e cosa pensano ora, come vivono, al riparo dal mondo?
Con delicatezza e immaginazione poetica, senza facili morali e senza mai giudicare, Umberto Piersanti ha condensato in queste pagine le loro storie.

“Nel folto dei sentieri” é la raccolta di poesie uscita per Marcos y Marcos nel 2015. Un libro,che si è visto assegnare nel corso del tempo un bel po’ di premi importanti, è un intreccio di gesti, sguardi, respiri tra macchie, radure, forre, calanchi, crinali ancora ardenti di luce, ma minacciati da un “tempo nuovo” di ombre, cose assurde, plastica, metalli, fantasmi.

I versi sono densi di profumi, selvatiche visioni, e hanno il ritmo e il respiro del cammino. Passo dopo passo, il vento entra nella gola e apre il cuore. Sentieri salgono tra chiare chiazze di lichene, scendono tra pini intrisi di sale e mare; e l’acqua è così azzurra e trasparente a Sirolo, tra lecci e bianchissime rupi. Piersanti chiama tutte le erbe e gli alberi con il loro nome, ha confidenza con le ore e le stagioni, ma “di rado, molto di rado, / la voce dei non umani / è la più forte”. La terra troppo spesso è profanata, e quando incalza “il tempo nuovo”, lo sente così distante, da sé e ancora di più dal figlio Jacopo, che “abita una contrada / senza erbe e senza fiori”.

Sempre per Marcos y Marcos Umberto Piersanti aveva pubblicato nel 2012 “Cupo tempo gentile”, romanzo ambientato a Urbino tra il 1967 e il 1969 ed evoca gli anni cruciali della contestazione. Sono gli anni del culto di Mao e le esperienze tradite del Movimento studentesco a fare da protagonisti a questo romanzo di anni cupi da una parte e il protagonista, invece, che continua a guardare il mondo con sguardo gentile.Un sessantotto guardato con occhi nè di pentito nè di apologeta: un quadro vero, complesso ed emozionante di quegli anni cupi e gentili.
Romanzo in cui il protagonista, vero e proprio alter ego dell’autore urbinate, attraversa un tempo cupo, conservando inalterato dentro di sé un senso gentile dei valori e del bello.
Andrea Benci, il protagonista, ama Gozzano e Carducci, Montale e D’Annunzio. Detesta lo sperimentalismo e le avanguardie letterarie. Il suo animo è incline al fascino femminile e alla bellezza della natura.

È esploso il sessantotto, l’università di Urbino è occupata; la vita scorre tra assemblee, manifestazioni ed esami di gruppo. Andrea apprezza minigonne e libertà di costume, e condivide l’aspirazione al cambiamento, ma non riesce a sorvolare su contraddizioni ed eccessi. Per altre fonti di felicità, nel suo cuore, vale davvero la pena di lottare: la natura bellissima che circonda Urbino, le meraviglie dell’arte e la poesia sopra ogni cosa. Un affresco ricco, documentato e suggestivo del periodo cruciale della contestazione.

Tra le novità in libreria, dopo la raccolta di racconti “Nelle Terre di nessuno” e il romanzo “Country Dark”, Minimum fax pubblica il romanzo “Mio padre il pornografo”, nella traduzione di Roberto Serrai, scritto da quello che che è considerato uno dei venti migliori narratori delle ultime generazioni, Chris Offutt.

Quando Andrew J. Offutt muore, suo figlio Chris eredita una scrivania, un fucile e otto quintali di pornografia. Romanzi scritti in pochi giorni e venduti in decine di migliaia di copie, approfittando della fame di erotismo che aveva travolto un’intera nazione dopo la rivoluzione sessuale degli anni Sessanta. Una carriera, quella di Andrew, cominciata per pagare le cure dentistiche del figlio e poi trasformatasi in un’autentica ossessione, consumata nel chiuso di uno studio inaccessibile ai suoi cari, eccetto che alla moglie, pronta a dattiloscrivere le sue spericolate incursioni nella pornografia.
Chris si immerge negli scritti padre, e si rende conto di trovarsi davanti un’opportunità irripetibile per comprendere finalmente l’uomo difficile, instabile, a volte crudele che ha amato e temuto in eguale misura.
“Mio padre, il pornografo” ci racconta la vita di uno scrittore professionista, che sa di poter sostenere la propria famiglia solo attraverso l’incessante lavorio della sua penna, ma ci rivela anche il carico di rabbia e dolore che ogni padre trasmette ai propri figli, il conflitto fra creatività e produzione di massa, e infine cosa voglia dire crescere sulle colline del Kentucky, in un mondo isolato in cui la libertà, la felicità, la spensieratezza sono inestricabilmente legate a un retaggio di povertà, ribellione e violenza.

Altra bella novità di questi giorni è uno splendido racconto “Nero, il gatto di Parigi”, di Osvaldo Soriano, una favola, una storia per ragazzi pubblicata dalla casa editrice LiberAria nella collana Phileas Fogg con la traduzione di Ilide Carmignani, le illustrazioni di Vincenza Peschechera, e una bella prefazione di Marco Ciriello.
Osvaldo Soriano è considerato uno dei maggiori scrittori argentini del Novecento. A deguito del colpo di stato del 1976 decide di trasferirsi in Europa, prima in Belgio e poi a Parigi. Tornato in Argentina nel 1984, grazie ai suoi libri conosce un enorme successo di critica e di pubblico. Tra le sue opere “Triste, solitario y final”. Muore nel 1987.
Storia di amicizia e affetto tra un gatto nero e un bambino,che con la sua famiglia ha dovuto lasciare, a causa della dittatura di Videla, Buenos Aires per Parigi ma pure l’amata gatta Pulqui a cui era legatissimo. A Parigi i genitori penseranno di regalare al piccolo un altro gatto, un randagio scostante di nome Nero.

Quella che racconta “Nero, il gatto di Parigi” è la storia di un’amicizia speciale, capace dí creare un ponte fra due solitudini: quella di un gatto randagio e scostante e quella di un bambino sradicato dalla propria terra a causa di una feroce dittatura. La loro amicizia li condurrà a vivere una strepitosa avventura grazie a un legame che valica i confini attraverso l’immaginazione, e trasporta i suoi protagonisti di là dal mare, dall’Europa all’Argentina, da Parigi a Buenos Aires. “Nero, il gatto di Parigi” è una favola senza tempo, fatta di amore per la libertà e per la propria terra, una storia velata di nostalgia ma ricca di poesia e di speranza, in grado di incantare i lettori di ogni età.

Nello Zaino di Antonello: Un ascolto che diventa arricchimento.