casa Romania

Non so dove ci saremmo potute incontrare, ma non dispero che possa avvenire ancora.

Di fronte all’indecisione di Mariastella Eisenberg sul luogo ideale da scegliere come sfondo per la nostra chiacchierata, ne propongo io uno, quello forse primigenio, della sua narrazione.

L’abitazione dei Rosenberg era più che una semplice casa, si trattava di una vera e propria residenza.

Dalla strada si accedeva in un’ampia corte su cui si apriva una serie di vani destinati a usi diversi e adibiti ad alloggi per gli artigiani; c’era anche l’ingresso della cantina e sul lato opposto quello del fondaco, cioè il magazzino-deposito con annesso uno studio. Si entrava in casa da un portoncino di legno massiccio, che apriva verso l’esterno per evitare che d’inverno la neve ammassata precipitasse in casa. Quando era alta più di un metro, bisognava che prima qualcuno la spalasse almeno in parte per consentire l’apertura del pesante battente: a questo provvedevano a turno gli abitanti della corte.

Sono certa che Mosè e Malca ci avrebbero accolte con gioia insieme ai loro quindici figli, subito mettendosi in attività per garantirci una raffinata ospitalità. Siete i benvenuti anche voi nelle pagine dei libri di Mariastella, sui quali ci accingiamo a chiacchierare.

EisenbergLa famiglia Rosenberg, ebrei rumeni, con le loro disparate e disperate vicende che si innestano nella tragedia del Secolo Breve, sono protagonisti di due romanzi, entrambi editi per Edizioni Spartaco: “Il tempo fa il suo mestiere” e “Il prete ebreo”. Se il primo è un romanzo corale e polifonico, il secondo si concentra sulla figura di Simone, che diventa emblema dell’ebreo errante con l’aggiunta di una contraddizione fortissima: l’identità ebraica e la missione cattolica.

I due romanzi sono strettamente legati fra di loro, anche se narrativamente autonomi. Simone è il gemello abbandonato da Sara per decisione dei genitori, che trattengono con loro solo Tobia. Ed è su questo triangolo che entrambi i romanzi si intrecciano e si dipanano.

Da dove nasce l’esigenza di concedere a Simone un racconto proprio che si strutturasse come un secondo romanzo, e non inserire la sua storia nel precedente? Quale elemento di “Il prete ebreo” necessitava di una trattazione separata, perché difficilmente inseribile nel tono e nel ritmo di “Il tempo fa il suo mestiere”?

eisenberg-stella-200x300La storia dei Rosenberg nasce come narrazione compatta, seppure articolata e ricca di spunti di varia natura; la Macrostoria e la Microstoria sono intrecciate in mille modi ma non c’è posto per Simone, l’escluso, se non in maniera marginale. Simone, abbandonato alla nascita senza esitazioni, è stato escluso sia dalla grande storia del suo tempo e dei suoi luoghi di appartenenza che dalla piccola storia della sua famiglia. Se non fosse per il tardivo pentimento di Tatiana, di lui si sarebbe persa ogni traccia, come di tanti adottati e trovatelli. Inserirne la storia personale in questo contesto sarebbe stata una forzatura e -anche dal punto di vista della struttura de “Il tempo fa il suo mestiere”, già di per sé complessa- non mi sembrava necessario.

Necessario mi è sembrato invece dargli la possibilità di raccontarsi: lui, l’escluso per antonomasia, può finalmente “Essere” realmente se stesso con i suoi tormenti e le sue gioie, accompagnato dalle vicende di un mondo in continuo divenire e in perenne subbuglio, di cui è protagonista emblematico. Comunque il tema dissonante e necessitante di trattazione separata è proprio quello relativo all’identità ebraica e alla missione cattolica, entrambe irrinunciabili per Simone, oggetto ancora oggi di discussione e di analisi. 

 

Nell’uno e nell’altro libro quella che rimane immutata è la volontà di frantumare la compattezza del romanzo, alla ricerca di una struttura narrativa polimorfa e proteiforme, utilizzando e mescolando le più diverse forme dalle narrazione: dalla terza persona alla prima, dalla pagina di diario alle lettere, alternando un ritmo romanzesco con uno più prettamente saggistico. Tutto questo senza mai sviare dal senso di unità dell’insieme.

Un andamento narrativo così composito corrisponde alla voce dell’autrice o invece risponde alla materia narrata? Cosa non avrebbe funzionato raccontando la vicenda dei Rosenberg o quella di Simone con una narrazione più tradizionale? 

eisenberg-stella-200x300Premesso che non sono per nulla contraria alla struttura tradizionale del romanzo, ho creduto fortemente che nel mio caso la materia da narrare dovesse essere espressa in forme diverse che dessero più risalto ai momenti tragici/ dolorosi/ rabbiosi/ sofferti che i protagonisti vivono. Come raccontare, ad esempio, lo scontro di anime -un tempo legate dall’affetto- tra Sara e Tatiana se non attraverso le parole dell’una e dell’altra? La rabbia di Sara esplode senza ritegno, il dolore trabocca, non credo che un narratore omnisciente sarebbe riuscito a rendere l’orrore della scoperta con tanta veridicità.

Come poteva Mosè chiedere perdono alla propria figlia se non con un riepilogo disperato, che tracima da una vena carsica tenuta sotto pressione per tutta la vita in seguito a tutte le ingiustizie e le sofferenze patite in prima persona, e che egli ha cercato di evitare ai suoi cari? Ha sbagliato e lo riconosce, e ne muore disperato: solo alla fine può opportunamente subentrare un narratore eterodiegetico che ne descrive la morte del corpo, perché quella dell’anima e del cuore l’ha gettata lui in prima persona dinanzi al lettore senza pudore né pietà per se stesso. Nel memoriale di Mosè, forse più che altrove, si comprende chiaramente  perché i due registri (quello romanzesco e quello saggistico) si alternino: le notizie storiche sono frutto di ricerca e non d’invenzione, e dovevano intersecarsi continuamente con il ritmo romanzesco, perché altrimenti non si sarebbe potuta spiegare la terribile condizione che vive Mosè – e con lui tutti i Mosè coevi- nel ricordare ciò cui ha dovuto assistere. Egli non ha solo sentito raccontare , ma anche visto e udito personalmente cose inaudite, in cui ha temuto continuamente di vedere coinvolti i  suoi cari, come è accaduto in effetti al figlio Giuseppe.

Devo dire che la mia voce si è adeguata quasi naturalmente alla materia, come se non potessi fare altrimenti; non mi sono proposta uno schema teorico da seguire; e questo andamento narrativo mi ha creato, anche, non poche difficoltà nell’approccio editoriale. In conclusione una narrazione più tradizionale avrebbe, sia nell’uno che nell’altro romanzo, un po’ appiattito la materia delle storie, che deve restare magmatica e ribollente per meglio giungere al lettore.

Come rendere al meglio i profondi squilibri della vita e dell’animo di Simone, ebreo e cattolico, amante geloso e appassionato, traboccante di affetto paterno per figli non suoi, pellegrino in Terra santa in cerca di quella pace che è stata l’obiettivo di tutta l’esistenza?

Nessuno meglio di lui stesso poteva raccontarlo, anch’egli -come Mosè- senza falsi pudori né pietà per se stesso.

 

Tobia, il figlio di Sara, cresciuto credendosi fratello, lascia presto la Romania e si stabilirà a Napoli, dove medico comporrà la sua nuova famiglia sposando una donna italiana, da cui avrà due figli: Alberto e Miriam. Quest’ultima è l’anello di congiunzione tra “Il tempo fa il suo mestiere” e “Il prete ebreo”, perché è a lei che lo zio Simone lascerà la sua eredità, materiale spirituale e memoriale.

“Il prete ebreo” è come un dialogo tra zio e nipote, a tessere i fili di una relazione mai avuta.

Nella nota biografia che accompagna i libri si legge che sei nata a Napoli, come Miriam, da un medico ebreo rumeno di etnia tedesca, riparato in Italia a causa delle leggi razziali, e da una giovane pianista napoletana, ancora come Miriam. Anche nella casa dei Rosenberg a Napoli troneggia un pianoforte, e quando sarà portato via per volere di Tobia, la moglie Lia resterà molto male.

Hai prestato parte della tua famiglia alle vicende dei Rosenberg? E l’attenzione per la storia rumena, e il desiderio di trapiantarla in Italia ha una radice biografica?

eisenberg-stella-200x300Ne “Il prete ebreo” il tema dell’identità e della memoria sostanziano la narrazione, e costituiscono la trama del dialogo tra le generazioni, soprattutto tra zio Simone e Miriam, ma lo troviamo anche in altri personaggi seppure vissuto in maniera diversa: il professor Ascoli nella ricerca del figlio scomparso con un dialogo muto e farneticante, il vecchio arabo incartapecorito con un messaggio che si congiunge alle parole della giovane beduina che raccoglie fiori ed erbe, i bambini dispersi in ogni tempo e luogo per la volontà degli adulti politicanti di tutte le nazioni. Non è detto che la relazione necessiti della presenza fisica, spesso l’assenza la rende meglio.

Seppure è vero che ho preso spunto da alcune vicende familiari, tuttavia le ho sempre piegate alle circostanze che richiedeva la mia storia: non è una autobiografia in senso stretto, ma come accade spesso -se non sempre- il proprio vissuto fa capolino.

Infine, poiché sono sempre stata consapevole della scarsa conoscenza che si ha della storia della Romania -inquadrata nell’immaginario collettivo attraverso stereotipi duri a morire-mi piaceva dare al lettore coordinate storiche, geografiche e sociali più complete per comprendere meglio la vita e la cultura di questo paese, che ha attraversato nei secoli vicende burrascose: la Romania è stata “usata” come oggetto di scambio dai potentati europei, e non solo, senza né rispetto né pietà. Oggi ne vediamo le drammatiche conseguenze così come anche nelle altre nazioni del vicino Est europeo.

 

Due terre “tragiche”, sulle quali costruisci un ponte attraverso i tuoi romanzi: la Romania di “Il tempo fa il suo mestiere” e lo Stato d’Israele in “Il prete ebreo”. 

Non mi sembra un caso che Simone e Tobia, nati in Romania, si ritrovino e riconoscano in Terra Santa.

Volevi tracciare una linea di congiunzione tra i due paesi e la Storia? 

eisenberg-stella-200x300Quando ne “Il tempo…” ho ipotizzato che i due gemelli separati si incontrassero sulla tomba della madre, ciò non poteva che avvenire in Terra santa, punto di arrivo privilegiato degli ebrei in diaspora in ogni tempo, e ancora oggi. In realtà è Sara il ponte tra la Romania e Israele, e incarna  con la sua vicenda un sentimento diffuso e una tensione, più che europea, mondiale di tutto il secolo breve. La linea di congiunzione che ho probabilmente avuto in animo di tracciare è tra la Romania, poco vissuta dal mondo come realtà storico-politica a tutti gli effetti (un po’ paese da “operetta” nell’immaginario collettivo) e la Storia.

 

La presenza femminile nei due romanzi mi pare preponderante. Certo Mosè, Tobia e Simone hanno un grande spessore e un ruolo fondamentale nella storia familiare e narrata, ma mi è sembrato che tu volessi tracciare una linea matrilineare, che culminasse in Miriam, non la figlia di Tobia ma l’ultima generazione quella che si intravede alla fine di “Il tempo fa il suo mestiere”, la figlia di Alessia, figlia di Miriam Rosenberg.

È lei che consegna alla nonna una busta con le inconfondibili lettere ebraiche, ed è dall’arrivo di quella busta nelle mani di Miriam Rosenberg che parte, in un’ideale staffetta narrativa, il racconto di “Il prete ebreo”.

Che sia un messaggio di speranza? – si chiede Miriam.

Qual è il messaggio di speranza che Mariastella Eisenberg ha urgenza di recapitare ai suoi lettori in questi tempi così miserevoli?

“…io non ho mai smesso di abitare la speranza, di tendere alla meta che mi ero prefissato; la speranza è un rischio da correre: è la condanna di chi non si accontenta.” Da  “Il prete ebreo pag.140.

eisenberg-stella-200x300Io mi auguro che tutta l’umanità possa essere condannata a sperare, mi piace dirlo con una sorta di ossimoro, “il vizio della speranza” non deve mai abbandonare il mondo.

E qui mi riallaccio alle donne, che sono le depositarie della speranza nel mondo, io credo, più degli uomini; perché le donne?

Perché le donne in genere sperano in grande, e –poiché hanno in nuce la maternità- sperano almeno per due o più; non intendo fare tout court l’esaltazione retorica della maternità, ma ricordare che noi esseri umani siamo anche il nostro corpo con tutte le sue funzioni. Infine la mia esperienza, tramite il volontariato, mi ha fatto conoscere tante storie di speranza esaudita e/o frustrata la cui presenza ha reso però unica e irripetibile la vita di questi portatori di speranza .

Chiacchierando con… Mariastella Eisenberg