Van Gogh

Seguo con attenzione il lavoro di Giovanni Turi, prima come blogger (QUI il link al suo blog “Vita da editor”) e da un paio d’anni come editore di TerraRossa Edizioni: attenzione, cura, fiuto e tanta competenza e spirito critico, mai polemico e sempre pieno di senso. Nel panorama editoriale, Giovanni Turi è per me sinonimo di qualità, esperienza e humanitas.

È per questo che quando esce un nuovo libro della sua casa editrice, sono sempre propensa a lasciarmi trascinare nel sentiero interessante che sta segnando.

Quante bugieNon potrei immaginare luogo diverso dalla “stanza tutta per sé” in cui legge e vaglia cosa proporre ai suoi lettori per svolgere questa chiacchierata insieme a lui e ad Alessio Di Girolamo, che firma sotto il marchio TerraRossa il suo esordio, anche se nella quarta di copertina afferma che il suo primo “vero” romanzo è andato irrimediabilmente perduto.

È proprio a Giovanni Turi che rivolgo la prima domanda.

Con “Quante bugie hai detto questa sera” di Alessio Di Girolamo siamo alla quarta uscita nella collana Sperimentali, da te diretta,

dedicata agli scrittori in grado di coniugare solidità narrativa e originalità stilistica con storie incisive e radicate nel nostro tempo,

come si legge in una nota del frontespizio.

L’esordio di Di Girolamo è la rappresentazione piena della definizione della collana: possiede tutti e quattro gli elementi indicati, solidità narrativa, originalità stilistica, storia incisiva e radicamento nel tempo presente.

Ti sei detto la stessa cosa quando hai letto per la prima volta quello che poi sarebbe diventato il quarto romanzo di Sperimentali? o invece a colpirti è stato un quinto elemento?

Plpl 18Sì, c’erano tutte le caratteristiche che cerco in un romanzo, alcune già definite altre da sbozzare, ma a colpirmi davvero è stata la capacità di Alessio di declinare il proprio sguardo in quello di una giovane donna, di una persona (dis)turbata: una sensibilità e un acume che stanno sorprendendo anche i lettori, che talvolta mi chiedono se davvero l’autore sia un uomo, a riprova che la scrittura talvolta può giungere a scandagliare profondità che razionalmente ci paiono imperscrutabili.

 

Sono anch’io tra quei lettori di “Quante bugie hai detto questa sera”: più volte sono tornata alla copertina per rileggere il nome dell’autore, credendo di aver sbagliato a leggere. Non è solo per la complessità dei sentimenti che Alessio Di Girolamo ha saputo scandagliare attraverso la sua protagonista in una visione distorta e alterata della realtà, ma anche per la fisicità del femminile che ha saputo così bene rappresentare e descrivere. Ma ancora quello che mi ha affascinato del romanzo è la “solidità narrativa” che è sottesa a una storia raccontata con razionalità e sobrietà in cui il lettore viene immerso completamente, senza che mai ci siano discrepanze che lascino prefigurare il “vero”.

Non potrei che partire da lì con Alessio: chi è Anna? e quanto ti è costato creare un mondo narrativo in cui farla agire con tutta la complessione della sua persona?

di_girolamo_alessioAll’inizio Anna era soltanto una voce senza corpo, proprio come nel Prologo del romanzo. E timidamente iniziava a rubarmi le parole che ancora conservo in un file “00” che contiene appunti e brani poi rielaborati e risale addirittura al 2012. Credo che in qualche modo stessi cercando di liberarmi della prima persona singolare adottandone un’altra ‘aliena’, quella di un’adolescente. Nel Prologo l’autore e il lettore incontrano un corpo ugualmente alieno di cui la voce, inizialmente scissa e come disincarnata, prende possesso come (secondo alcuni) l’Io prende dimora in un corpo fisico al momento del concepimento. Ecco, forse un autore adulto di sesso maschile può soltanto provare ad accostarsi a un’individualità femminile, ancorché frutto della sua immaginazione. Non a caso il Prologo è una delle parti che sono state riscritte più volte e hanno richiesto un notevole sforzo sia da parte mia sia da parte di Giovanni Turi perché si arrivasse a una forma soddisfacente (e personalmente al riguardo ho ancora dei dubbi).

È la parte più ‘antica’ del romanzo, Anna che apre gli occhi e vede incombere su di lei alberi fronzuti, e io già sapevo che l’avrei costretta a confrontarsi con tre antagonisti. Una volta delineata la cornice nel Prologo devo aver pensato, forse ingenuamente, che fosse necessario (ri)partire dall’infanzia per costruire il personaggio e il romanzo stesso. E il mondo narrativo di cui parli credo abbia iniziato a prendere forma proprio dai ricordi di Villa Genero, la scuola materna che ho frequentato io stesso e di cui avevo conservato nella memoria pochi frammenti, fra cui il disgustoso semolino, i gruppi organizzati in base ai colori, le maledette brandine… Invece di tenerli per me, quei ricordi di infanzia ho deciso di sacrificarli, in un certo senso, e donarli ad Anna per riappropriarmene in una forma diversa.

Parlare dell’infanzia poi credo mi abbia condotto sulla via del rimosso, delle esperienze che dimentichiamo a livello cosciente. Muovendosi in avanti, il libro scava in un certo senso all’indietro, verso il/i trauma/i che sappiamo tutti essere spesso sepolto/i in profondità oltre quel velo o quella cortina che bisogna sempre scostare con cautela. Nonostante la difficoltà di un’operazione del genere, almeno per il sottoscritto, credo che quel modo di procedere mi abbia aiutato ad assumere il punto di vista della protagonista e a trasformarmi nella sua voce, cioè in una mente/Io che cerca di dare un senso alla propria esistenza e alle proprie esperienze.

 

Il sesso e le esperienze erotiche sono usate dalla protagonista come chiave interpretativa sia del sé che della realtà che la circonda, sia ancora per mettere alla prova le relazioni con gli altri. Il corpo diventa da una parte strumento di conoscenza, dall’altra arma tagliente e affilata. Nel prologo c’è uno scarto: Anna è diventata, o si percepisce come vittima. Questa condizione iniziale di Anna “condiziona” il lettore per buona parte della narrazione.

Chi è veramente Anna, vittima o carnefice? Di sé stessa o degli altri? Oppure la sua esperienza esistenziale è fuori da questa dicotomia? Né a te, come autore, interessava indagarla?

di_girolamo_alessioTi ringrazio di questa/e domanda/e. Credo che per rispondere si debba tener presente che l’esperienza esistenziale di Anna coincide con il valore e il giudizio che lei stessa ne dà. In fondo, guardiamo alle esperienze in questo (unico?) modo, facendo una sintesi che tiene conto delle aspettative, dei risultati ottenuti, dei cambiamenti, anche in relazione alla presenza di un progetto (“Cosa voglio fare della mia vita?”). È un fatto abbastanza banale, forse, ma credo si possa partire da questa constatazione per provare a rispondere alle tue domande.

Se avessi avuto le idee più chiare all’inizio, mi sarei obbligato a scrivere tenendo sempre presente quello che ho appena detto prima e probabilmente avrei enfatizzato il fatto che il valore di cui parliamo è una (in)costante e muta continuamente con il passare degli anni, con l’accumulo di diverse esperienze, e può cambiare a seconda del periodo della nostra vita in cui ci troviamo (il ricordo di una cocente delusione d’amore adolescenziale potrà farci sorridere a trent’anni, magari). Ma Anna avrà sempre sedici anni(?) e la sua vita fino a quel momento, la sua vita consapevole, è stata molto breve. Probabilmente Anna non avrebbe perseverato nella ricerca di esperienze erotiche se le avesse percepite più chiaramente come le percepisce nel momento in cui se le ricorda e ce le racconta. Perché il sesso che incontriamo nel romanzo a me pare estremamente antierotico (un mio amico ne ha caratterizzato la descrizione come “chirurgica”, e forse ha ragione). Non so se i lettori e soprattutto le lettrici siano d’accordo su questo, ma per me è così e parlo di quest’aspetto non a caso visto che è inestricabilmente legato alla ricerca del piacere. E in questa ricerca lei si è probabilmente confusa o tradita. È immobilizzata ed è obbligata, o si obbliga, a rivivere i momenti salienti della sua storia. Si fa molte domande, ma forse quella a cui cerca davvero di dare una risposta è la tua: “Chi è veramente Anna, vittima o carnefice? Di sé stessa o degli altri?” Per me la dicotomia di cui parli in realtà è un binomio, anche se nel Prologo la troviamo inerme e alla mercé di un misterioso aguzzino e non possiamo che considerarla una vittima. La contrapposizione appare evidente: da una parte c’è lei e dall’altra il suo carnefice…

Dal canto mio, però, quando ho iniziato a scrivere questo libro non mi ero posto come obiettivo l’indagine del rapporto vittima-carnefice e la costruzione del romanzo a partire da questo tema. Proseguendo nel lavoro mi sono presto reso conto che mi stavo muovendo in questo territorio, piuttosto impervio a dire la verità, e ho dovuto a malincuore abbandonare il progetto iniziale: quello di fare un remake di “Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire” scritto un po’ meglio, diventare ricco come Melissa P. e vivere felice e contento. Non ho comunque perso le speranze al riguardo (i miei capelli sì, però).

 

 

Perché è così importante fare come la mamma, e meglio di lei?

è la domanda che Anna rivolge a se stessa sul finire di “Quante bugie hai detto questa sera”, nel momento culminante dell’amplesso con il Terzo, che è anche la sua caduta più vertiginosa.

La domanda, però, aleggia implicita e invisibile e attraversa l’intero romanzo. Perché è proprio nel rapporto con la madre che i personaggi manifestano tutta la loro incostanza. e anche il narratore si adegua a lasciare intravedere, senza mai affermare in maniera netta. Una relazione che sul finale è come se si svelasse, senza mai rivelarsi davvero.

Anna, disse. Tu ti chiami come tua madre.

Ma se la mamma si chiama Carla! Che stupida! ho pensato.

Hai il suo stesso cognome. Non è vero?

Sì, risposi.

Lo sai perché?

E allora giro la domanda della irritante signora Gallo all’Autore: lo sa Anna il perché? e che rapporto ha quel perché con le bugie alluse dal titolo?

di_girolamo_alessioScrivendo il romanzo e soprattutto rileggendo le prime stesure, mi sono reso conto di aver disseminato allusioni che non mi ero deliberatamente prefisso di inserire nel testo. Correggendo e riscrivendo, ho tentato di ampliare quelle che mi sembravano più interessanti, più suggestive. Poi, quasi come se non lo avessi scritto io il romanzo, ogni tanto mi capitava di pensare e di annotare: “Ma qui forse volevo dire questo…” Non credo sia il modo più efficiente di procedere: il rischio è di continuare a riscrivere parti la cui continua revisione ti fa invaghire di altre suggestioni, in un circolo vizioso esiziale ma molto seducente per chi magari in quel momento ha soltanto quello. E io mi trovavo in quella situazione. Nel 2014, quando ho iniziato ero al secondo anno di disoccupazione dopo un non esaltante biennio lavorativo e un grave lutto in famiglia. Come dice Anna del mio alter ego non proprio rispettabile, non mi interessava finire il libro: mi interessava continuare a scrivere, anche se cercavo di convincermi del contrario. Per curare questa tendenza, capita di costringersi a operare in senso opposto, affidandosi alle risorse del subconscio e lasciando che sia lui (o esso) a mettere il punto. È lì che la voce più autentica di Anna è nata. Non dico che sia sempre convincente come voce femminile adolescente, ma credo lo sia in una misura sufficiente, almeno secondo alcuni recensori (“recensrici”?).

Per quanto riguarda la madre, ogni volta che la voce emergeva in modo anche un po’ prepotente per parlare di lei, mi riferisco in particolare alla seconda e alla terza parte del libro, era sempre carica di livore. Bisognerebbe chiedere a qualche adolescente che non va d’accordo con la madre se si ritrovi in questo atteggiamento (anche se forse non bisognerebbe consigliare questo libro alle adolescenti). Credo comunque sia abbastanza comprensibile. Quanto al cognome, le parole della signora Gallo vanno prese alla lettera: Anna non è stata riconosciuta dal padre (o non subito) e ha preso il cognome della madre. Quindi Anna cresce senza un padre e senza portarne il suo (cog)nome e questo certamente influisce sul suo atteggiamento nei confronti dell’unico genitore (più o meno) presente. Non sappiamo quanto sia affidabile quando accusa la madre di aver collezionato un numero imprecisato di amanti (“fidanzati”), ma è da quella sua verità, da ciò che lei vede anche se forse non è avvenuto, che inizia il suo sviluppo psicosessuale, la sua identità.

E credo anche che il rapporto con la madre vada visto in controluce per provare a chiedersi quale sia il rapporto con il genitore assente e a cosa possa alludere lo scontro, per così dire, fra le due figure paterne nel finale. Ma questo lo lasciamo alla fantasia e alla curiosità dei lettori.

 

In conclusione passerei la parola a Giovanni, che non è semplicemente un editore, ma un editor e un lettore accurato come si evince dal blog che cura “Vita da editor” (poi metterò link)

A chi consigliamo di leggere “Quante bugie hai detto questa sera”? e aggiungo una curiosità sul titolo: è un’affermazione che sembra, ma non è, un’interrogativa, perché?

Plpl 18Nel risvolto di copertina ho indicato come lettore ideale chi pensa che la letteratura non debba ammettere censure, né pudori; chi ama le opere di Nabokov e Palahniuk; chi accoglie la sfida di un romanzo che si presta a molteplici (ri-)letture; chi non ha della propria giovinezza un ricordo idealizzato. Ora aggiungo che è un’opera che sta toccando corde profonde in molte lettrici, con reazioni opposte che hanno in comune il turbamento: lo consiglio dunque a chi non ha paura di confrontarsi con la parte rimossa di se stessi (uomini inclusi, ovviamente).

Riguardo al titolo, “Quante bugie hai detto questa sera” non è una domanda ma una preziosa chiave interpretativa offerta al lettore.

Chiacchierando con… Alessio Di Girolamo e Giovanni Turi