di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

Ad altissima voce

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Sabato 13 ottobre ai Diari abbiamo ospitato Andrea Esposito con il suo romanzo d’esordio “Voragine”, Il Saggiatore. Un romanzo sofisticato e pungente che cattura magistralmente per l’attenzione alla bella scrittura. Scrittura che si presta ad essere letta a Voce Alta. Durante la serata abbiamo letti alcuni brani con l’aiuto degli amici di Elide La Vecchia, poeta, narratrice e drammaturga che amava la letteratura. La sua ricerca creativa aveva spinto Elide verso i Diari e proprio per l’ultima presentazione di un esordiente, Paolo Pecere con “La vita lontana”, nel marzo scorso aveva coordinato un gruppo di lettrici ad Alta Voce. Per anni a Parma, instancabilmente ha fatto pubblici reading e incontri di lettura teatrale. ‘Aveva trasformato in una passione e in una forma d’arte contagiosa nella sua bellezza quell’azione che un tempo la intimidiva, il leggere a voce alta’, queste sono le parole nel ricordo dello scrittore Beppe Sebaste, suo amico. C’era un’altra libreria oltre la nostra dove Elide operava attivamente, la libreria Libri e Formiche di via Mistrali. Per questa presentazione di un libro, anche dal sapore acre e duro, abbiamo scelto di coinvolgere quel gruppo di lettori ad Alta Voce coordinato da Elide, La Voce delle Formiche e di far aprire e chiudere la serata con altre due Poetesse, Karima Cristina Crosali e Paola Maccioni, che con Elide avevano fatto uno splendido lavoro di Letture poetiche nella Biblioteca di San Giovanni un paio di anni fa.
44112875_247445595944237_1824425210246332416_nNello strepitoso libro di Andrea Esposito, ai margini di una città assediata, distrutta, che è ieri ed è domani, è qui ed è altrove, vive qualcuno di nome Giovanni.
La sua casa è sulla terra incendiata dal gelo, in una periferia esangue, accasciata sul relitto di un acquedotto romano nei pressi di una ferrovia morta. È la casa in cui Giovanni vive e il padre e il fratello muoiono. Giovanni perde tutto. Il padre, un artista folle che alterna momenti di lucidità ad altri di rabbia feroce; il fratello, lasciato morire di freddo nel suo letto; la casa in cui vive e da cui viene cacciato. Inizia così a vagare, solo, verso un destino che ben presto diventa un tutt’uno con quello dell’umanità. Giovanni vaga per giorni, mesi, in un paesaggio distrutto, fatiscente e apocalittico, la cui fine sembra non arrivare mai. Binari morti, campagne arse, resti di palazzi, e acquedotti puzzolenti. Il protagonista pian piano si consuma, si fonde con il paesaggio, ne conosce i luoghi più oscuri e fatiscenti che diventano la sua casa, e il suo rifugio.Giovanni comincia un vagabondaggio tra tunnel, ruderi infestati da cani, carcasse di automobili e uomini spaventati. Uomini dominati da un ferino istinto di sopravvivenza, da un’insensatezza che è costruzione e sfacelo. È destino. Una voce lo segue e lo spinge a testimoniare la fine di un mondo che non smette di finire, perché l’assedio della città c’è sempre stato.
La voce atona di un profeta retroattivo, priva di pathos, che registra la violenza senza un sussulto ma rimane ipnotizzata dalla materia; che parla da un buio e da un vuoto, nomina, è interiore e rimbomba nell’ovunque.
La voce che accompagna Giovanni fra le macerie mentre uomini ciechi si divorano l’un l’altro, lo scorta fra incubi di bambini in fuga e supermercati saccheggiati, in una regione più scura del sonno, senza fame e senza vita.
Voragine è un paesaggio metafisico, un’apocalisse di rottami, l’endoscheletro di un romanzo di formazione.
È l’esordio di Andrea Esposito, un narratore che, come un Piranesi distopico, trascina le sue rovine in un futuro anteriore, prossimo e remoto; e, con frasi che risuonano come colpi di martello sulla lamiera, racconta una ferocia che è organismo e linguaggio, componendo la fiaba nera di un passato in macerie, di un millennio in disfacimento, di un presente orfano.

La poesia in Italia non fa grandi numeri e neanche richiama un grosso pubblico. In Libreria, invece, il Mercoledì precedente abbiamo dato spazio ancora una volta alla Poesia e con un’altra poetessa che ha presentato un vero e proprio inno al dolore e alla speranza nella funzione vitale della poesia. Si è tenuta, infatti, la presentazione del libro di poesie di Giovanna Silvani, “Ancora vita”. La libreria era piena in ogni ordine di posto ed è sempre un bel vedere tante persone chiuse tra quattro mura ad ascoltar poesie. Poesia come vita,in questo caso. Vita che si prolunga nel tempo, sopravvive al tempo della giovinezza che si allontana e vede l’accumularsi delle delusioni.
A dialogare con l’Autrice il critico letterario Giuseppe Marchetti, con l’accompagnamento musicale di Luisa Pecchi.
“Ancora vita” è il titolo significativo della nuova raccolta di poesie di Giovanna Silvani: poesia come vita, dicevamo e come dono. E da questo dono discende la capacità di emergere, purificati dal dolore, di ritrovare il gusto della vita con tutta l’anima e i sensi, poiché nei versi si esterna un’esperienza totale.
Giovanna Silvani, già professore ordinario di Letteratura Inglese e direttore per più di dieci anni del Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Parma, ha scritto numerosi saggi e volumi di critica letteraria.
Ha al suo attivo anche diverse traduzioni e sta attualmente traducendo il primo testo utopico scritto e pubblicato da una donna, ovvero L’utopia fiammeggiante (1668) di Margaret Cavendish, Duchessa di Newcastle.

Passiamo alle nuove uscite e ai libri da suggerire.

“Le cose di prima” di Eduardo Savarese edito da Minimum fax,tra le nuove uscite è il primo libro superConsigliato di questo Zainaccio e contiamo, seriamente, di averlo prima possibile in libreria.
Eduardo Savarese vive a Napoli, è magistrato e studioso di diritto internazionale. Per le edizioni e/o ha pubblicato i romanzi “Non passare per il sangue” (2012) e “Le inutili vergogne” (2014), il saggio-racconto “Lettera di un omosessuale alla Chiesa di Roma” (2015). Tiene un corso di scrittura creativa per diversamente abili presso l’associazione Onlus A Ruota Libera e collabora con Il Corriere del Mezzogiorno.
Luca Briasco, che per molti lettori dei Diari, dopo “Americana”, è diventato un punto di riferimento così scrive a proposito di questo libro:

“Eduardo Savarese è un amico ma soprattutto una grande persona, un uomo che guarda il mondo con passione, empatia, curiosità intellettuale e senza ombra di preconcetti. Il suo percorso di scrittore, fin da Le inutili vergogne, rispecchia ed esalta ciò che Edo è nella vita di ogni giorno. E questo suo terzo romanzo, intenso e appassionato, sa parlare di disabilità, fisica quantistica, amore e morte con una forza e una dolcezza che toccano l’anima”.

Nella vita di Simeone, un adolescente colpito da distrofia muscolare, i tratti del melodramma sembrano aver preso il sopravvento. La malattia si rivela in tutte le sue penose limitazioni e in tutti i suoi contrasti – l’inerzia forzata e il desiderio di crescita, il bisogno di essere amato e il decadimento che inquina la dinamica dei sentimenti, l’incolpevolezza e il peso delle fratture causate ai rapporti familiari – mentre le «cose di prima» appaiono ormai improbabili e quasi esotiche.
Sul suo palcoscenico la madre è un contralto, la voce stanca e nevrotica di chi vorrebbe riprendere a vivere ma non ci riesce. Pierotta, soprano, è la ragazza depressa e instabile con cui Simeone duetta. Filippo, il baritono, è il professore che gli illustra i misteri della fisica quantistica, nei quali è forse annidata una speranza di salvezza. Il grande assente è il tenore, Thomas, il padre di origine siriana che lo ha abbandonato: è il suo abbraccio che Simeone non smette di rincorrere per sapere se è un disertore o un eroe, e se davvero esistono legami così forti da ridefinire le leggi della fisica. Con una Gerusalemme innevata a fare da sfondo, a padre e figlio è riservato uno struggente atto finale.
Come ha scritto Julian Barnes, soltanto il melodramma riesce ad andare dritto alla meta, e a rammentarci l’essenziale.

In questi tempi oscuri di irragionevoli spinte nazionalistiche abbiamo scelto di suggerire un libro che ci insegna a dare un senso al passato offrendoci un ritratto dei molti volti dell’antisemitismo e provando a dare una risposta all’inevitabilità dell’odio.
Il libro si intitola “Da duemila anni” ed è stato scritto da Mihail Sebastian e pubblicato da Fazi nel 2018 nella traduzione di Luisa Maria Lombardo.
Romania, anni Venti. L’antisemitismo è sempre più diffuso e violento. Il protagonista, uno studente ebreo dell’Università di Bucarest, insieme ai colleghi correligionari subisce quotidianamente angherie e soprusi, un martirio che gli altri sposano quasi fosse un processo di redenzione, mentre lui si sente intimamente antisionista eppure incapace di rinnegare la propria religione. Questo insanabile dissidio interiore lo induce al vizio. Il suo tempo trascorre infatti in lunghe passeggiate solitarie e notti alcoliche che spartisce con rivoluzionari, fanatici e libertini. Ed è attraverso il suo vissuto quotidiano e le conversazioni con i suoi compagni di strada – il determinato marxista S.T. Haim, il sionista Sami Winkler o il carismatico professor Ghità Blidaru – che il protagonista ricerca il senso di un mondo che sta cambiando e dell’oscurità che sta scendendo sul suo paese e minaccia di distruggerlo. Uscito per la prima volta nel 1934, il romanzo è una tragica testimonianza dell’ascesa dell’antisemitismo in Europa. Un documento inestimabile e un racconto doloroso su uno dei periodi più feroci della storia europea.
Di Mihail Sebastian, Arthur Miller diceva:

«La sua prosa potrebbe provenire dalla penna di Cechov: ha la stessa umiltà, lo stesso candore e la stessa sottigliezza nell’osservazione».

Nato in Romania nel 1907, era un colto avvocato di Bucarest, critico letterario e autore teatrale ebreo. Durante gli anni di ascesa dell’estrema destra e del regime del maresciallo Antonescu, Sebastian fu costretto a nascondersi sotto uno pseudonimo per poter continuare a scrivere, eludendo le dure leggi antisemite. Con la liberazione della Romania da parte dell’Armata Rossa, Sebastian poté ritornare a insegnare presso l’Università di Bucarest, ma per una perfida ironia della sorte morì investito da un camion poche settimane dopo, il 29 maggio del 1945, mentre aspettava il tram per recarsi a lezione.

E niente cari amici, «Quattro madri» il primo romanzo della pluripremiata autrice di fama internazionale Shifra Horn, ci era proprio scappato quando è uscito qualche mese fa sempre per Fazi.

44051349_1080863845395243_3308892574919426048_nUn universo tutto al femminile in «Quattro madri» che racconta, appunto, la storia di quattro generazioni di donne durante l’ultimo secolo a Gerusalemme. Amal, appartenente alla quinta generazione, è disperata poiché il marito, dopo la nascita del primo figlio, se n’è andato senza lasciare traccia. Al contrario sua madre, sua nonna e sua bisnonna si rallegrano dell’evento: la nascita di un maschio sano significa, infatti, che la lunga maledizione che pesava sulla loro stirpe è finita e non ci sarà più nessuna figlia femmina a ereditarla. Per consolarla, le donne raccontano ad Amal la storia di questa maledizione e la rassicurano sul suo destino e su quello di tutta la famiglia. Una famiglia di donne straordinarie: Mazal, l’orfana, dal cui matrimonio segnato dalla sciagura prende il via la maledizione; la bellissima Sarah, sua figlia, dai bei capelli dorati simbolo del suo potere taumaturgico; la figlia di Sarah, Pnina Mazal, la cui capacità di conoscere i pensieri degli altri è fonte insieme di gioia e dolore; e infine Gheula, madre di Amal, un’idealista dall’intelligenza penetrante, pronta a impugnare la causa di ogni diseredato. Epico, commovente e appassionante, «Quattro madri», che ha per sfondo le tormentate vicende della Palestina e dello Stato di Israele, è un capolavoro narrativo, misterioso e fantastico, ricco di realismo magico da fiaba e di folclore da leggenda.

Altro nuovo titolo meritevole di essere segnalato è “La minuscola” di Mario Valentini, Exòrma edizioni.

44085550_1121876367976043_8451224706165506048_nFino ad allora abilissimo nello schivare le responsabilità, nello “sbagliare strada”, un quarantenne scopre che sta per diventare padre.
Lui, che è precario per testarda vocazione, si accontenta di supplenze e occasionali collaborazioni, di smontare e rimontare racconti e anche biciclette, delle quali è appassionato.
Ma di fronte alla nascita della figlia ha una sorta di rivelazione che lo porta a smontare e rimontare la sua vita.
Preso dall’incantamento, il protagonista accetta la presenza spiazzante della piccola. Non si capacita, ci mette tempo, la osserva come una specie di ricercatore assai dilettante, ne seziona gli umori e le conquiste, scopre quanto sia poco addomesticabile.Mentre racconta gli impacci esilaranti, le peripezie picaresche di lavori come quello da tour leader per giri ciclistici, tiene alla neonata deliranti quanto affettuose lezioni di logica, ragionamenti estatici quanto teneri sulla termodinamica, e scopre “un mondo popolato di oggetti a cui sorridere”, un mondo in cui lui non era mai stato.
Il quotidiano diventa straordinario, il mutamento di rotta e del destino che da sempre racconta la letteratura hanno qui accenti di comicità disorientata, come se l’arte di accudire una figlia e quella di scrivere custodissero lo stesso segreto, quello del principiante.
Un bel pomeriggio di questa settimana è passa a trovarci dai Diari, Manuela Diliberto per coinvolgerci in uno dei suoi bei progetti ambiziosi. E’ stato un pomeriggio molto bello e intenso e ricco di emozioni. La bella sensazione dello stare bene, assieme alla fotografa Cristina Dogliani, mentre la libreria veniva trasformata in un vero e proprio set fotografico e noi ci atteggiavamo a Divi. Per questo bello stare chiudo lo Zainaccio ricordando a tutti di leggere e sfogliare il bellissimo primo romanzo d’esordio di Manuela Diliberto, presentato da noi nel dicembre scorso, “L’oscura allegrezza”, edito da La Lepre.

Manuela Diliberto è la sorella del regista e autore televisivo PIF. É nata a Palermo. Vive a Parigi dove si occupa di archeologia e storia dell’arte antica. Attualmente lavora ad un progetto letterario sul rapporto della società occidentale con l’Islam. “L’Oscura allegrezza” è il suo primo romanzo.
Ambientato a Roma nel 1911, racconta di Giorgio, giornalista di famiglia borghese che si abbandona all’inerzia rassicurante di un socialismo di facciata. L’incontro con una giovane donna indipendente lo allontanerà da ciò che gli è più caro per spingerlo verso un cammino scomodo, unica via per la felicità. Riuscirà a cogliere la possibilità di un amore irripetibile, unico nella sua intensità? Attraverso un racconto che ha la freschezza della narrazione spontanea, Bianca, una ragazza emancipata che ha scelto di vivere una vita comunista e militante, tiene un diario intimo. Una grave malattia e l’inaspettata irruzione nella propria vita di una passione tanto struggente quanto inverosimile, la porteranno a mettere in discussione le convinzioni più incrollabili. Il racconto di Giorgio, che dopo cinquant’anni ritorna sul proprio passato, si confronta così con le confessioni intime di una giovane donna dal destino drammatico, con un cambiamento di prospettiva che ricorda il capolavoro di Kurosawa Rashomon. Al termine del romanzo, un’intervista a Pif sul tema “scegliere o far finta di niente?”

Nello Zaino di Antonello: Ad altissima voce