Questo spazio, curato da Salvatore D’Alessio, mette insieme due librai e la comune passione per lo stesso titolo. In questo caso Salvatore D’Alessio e Andrea Geloni uniti per “Divorare il cielo” di Paolo Giordano, edito da Einaudi.

I Librai Salvatore D'Alessio e Andrea Geloni con Paolo Giordano per "Divorare il cielo"
I Librai Salvatore D’Alessio e Andrea Geloni con Paolo Giordano per “Divorare il cielo”

Andrea Geloni
Andrea Geloni della libreria Nina di Pietrasanta.

Ci sono molti motivi per cui uno può scegliere di fare il libraio, e molti motivi per cui uno può scegliere di fare lo scrittore. Alla fine della giornata che ho passato con Paolo Giordano non posso che sperare, nel mio piccolo, che i miei motivi per fare quello che faccio siano simili ai suoi.

Andare in giro a raccontare il proprio libro è un po’ una faticaccia e un po’ una gioia, certamente. Anche per noi librai, con le presentazioni, è così. Un’ansia da prestazione crescente, i libri sono troppi, i libri sono pochi, non verrà nessuno, non ci staremo mai, era meglio farla dentro, era meglio un altro giorno, farò un sacco di gaffes, si capirà che sono un cialtrone, un cattivo lettore, un pessimo libraio, un essere umano tremebondo e totalmente inadatto al suo ruolo. Io non so quali siano le ansie di uno scrittore; a volte penso – a volte spero – che l’unica domanda che gli rotea in testa sia: sì vabbé, ma che c’è per cena?

Andrea Geloni Paolo GiordanoParlando per un paio d’ore abbondanti, in due posti diversi, davanti a due pubblici (ma qualche pazzo si è fatto entrambe le presentazioni) la mia profonda impressione rispetto a Paolo Giordano è quella di una passione densa, un po’ faticosa da portare, ma anche per questo orgogliosa, tosta, solida. La passione per le storie, certo, per la lingua, assolutamente (non c’è una sola parola fuori posto in tutto il libro. Rileggerlo, senza l’ansia bellissima di conoscere gli eventi, è più bello che leggerlo la prima volta); ma soprattutto: la passione per la vita da raccontare, per l’energia nascosta nelle vite degli altri.

Singolarità è una delle parole che mi piacciono di più, e la nostra singolarità è continuamente sotto assedio. Chiunque ama i romanzi credo cerchi corrispondenze alla specificità del proprio malessere. Penso che sia questo l’unico vero motore per diventare dei lettori: una risposta alla falsa comunicazione che ci circonda. Le nostre singolarità in effetti non fanno molti like, ma rappresentano un bisogno sempre più forte, rispetto al quale la lettura è una delle poche risorse disponibili.

“Divorare il cielo” è la storia di Bern. Teresa e Tommaso, ferocemente divisi e uniti dal destino, sono i due narratori; ma il fuoco della narrazione è costantemente su Bern, l’inquieto.

L’inquietudine non è questione di maturità, è un modo di stare al mondo.

Così il punto di vista diventa quello di chi ama, in modo diverso ma con la stessa potenza implacabile, con una rassegnazione cosciente e orgogliosa, Bern, qualsiasi cosa accada.

Persino il Vangelo non è raccontato dal personaggio più grande, ma da chi osserva la sua grandezza. Sono sempre quelli che desiderano, che sono un po’ sbagliati, e che arrancano rispetto all’essere vivi, che possono raccontare una storia in modo da farcela amare.

La vita porterà Bern a fare scelte assurde e disperate, Teresa e i suoi due fratelli a seguirlo, in forme e con intenzioni diverse a ruotare intorno a lui, fino in fondo. Ci sono lettori che non amano seguire Giordano nell’abisso in cui trascina i suoi personaggi. Ma il romanzo è il luogo del coraggio e delle scelte estreme:

Non mi interessano i libri rassicuranti. Per me è spreco di tempo. Se non riesco a sentirmi sbilanciato da ciò che leggo difficilmente riesco a provare interesse.

Eppure persino di fronte a scelte palesemente sbagliate o autodistruttive non c’è l’ombra della condanna:

E’ come se ognuno di noi avesse intorno a sé una specie di circonferenza, un grado di empatia, che è diverso per ciascuno. Per me la lettura e la scrittura sono il tentativo di allargare in continuazione questo raggio, fino a includere ciò che nel giudizio reputiamo sbagliato. Non so se serve, ma è quello che cerco.

E’ stata una serata bella e preziosa, me lo hanno confermato le persone che c’erano, nei giorni successivi. La densità è a rilascio lento. Sono tornati in libreria a ringraziare, a prendere due copie da regalare. A comprare “Divorare il cielo” assieme a “Il barone rampante”, per regalarli insieme. A un certo punto in questa serata ho chiamato sul palco, in qualche modo, Giorgio Gaber. A Pietrasanta, luogo in cui tante delle sue parole hanno risuonato per la prima volta, mi sono preso la soddisfazione di far risuonare di nuovo le parole che concludono “Il grido”, la canzone che sembra scritta, dal remoto 1996, precisamente per i ragazzi della masseria.

Nel caso di “Divorare il cielo” l’adolescenza, ma soprattutto l’inizio dell’età adulta, è un surplus di energia vitale da investire nel mondo, una scorta di idealismo, di grinta, di fame, che è un dono che ci viene fatto in quegli anni e che chiede di essere usato. Una grande frustrazione, che è di questa generazione ma anche delle due precedenti, è che ci si affacci al mondo con questo surplus di energia, e immediatamente ci si renda conto che nessuno sembra averne bisogno. Questo è il grande crimine di questo tempo: il mondo fa sentire questi ragazzi irrilevanti, e se uno può riuscire a superare le difficoltà che ha di fronte, il sentimento dell’irrilevanza è insuperabile, mortifero. Questi ragazzi, i ragazzi del mio libro, brancolano in questa irrilevanza e restringono sempre di più il campo rispetto al mondo esterno, costruendo sogni sempre più piccoli, e se la vita gli nega anche quelli allora si inizia a deragliare e questa frustrazione può trasformarsi in rabbia sociale. Io lo vedo, questo grido che aspetta di esplodere.

Andrea Geloni

 

Salvatore D'Alessio della libreria Ubik Foggia.
Salvatore D’Alessio della libreria Ubik Foggia.

Tutte le adolescenze si somigliano, ma ogni adolescenza è inquieta a modo suo, alcune adolescenze non finiscono mai, come quelle raccontate da Paolo Giordano in “Divorare il cielo”.

A dieci anni di distanza dal suo sorprendente esordio, l’autore de “La solitudine dei numeri primi” torna a parlare di ragazzi e con lucidità ci racconta ancora della generazione di mezzo, quella cresciuta tra gli ultimi due secoli.

In questi anni tutto è cambiato, noi e la nostra nazione. La generazione dei padri appare sconfitta, stanca, i genitori biologici e quelli ideali hanno lasciato un vuoto e nessuna strada sembra essere stata preparata al futuro.

IMG-20180802-WA0013Paolo Giordano argomenta e racconta questa generazione mutante, anfibia oltre i tempi anagrafici, lo fa attraverso un’incontro, quello tra Teresa nata e cresciuta a Torino e di tre ragazzi che vivono nelle campagne brindisine: Bern, Tommaso e Nicola, uniti come fratelli pur non essendolo, cresciuti sotto l’ala di Cesare, un uomo severo e legato alla sua terra ma soprattutto alla religione.

I quattro ragazzi si incontrano in un’estate torrida a Speziale, un borgo piccolissimo della Puglia, la loro scoperta del mondo parte da qui, dove tutto arriva in ritardo e la modernità non sembra mai essere giunta, qui dove è più forte il legame con la natura, dove le radici dell’anima affondano nella terra rossa, tra i sassi e le cortecce degli ulivi.

La Puglia è coprotagonista di questo romanzo, anche lei adolescente e in continuo mutamento, una regione bella e inquieta, pronta a farsi scoprire e ad ospitare, il tacco di terra che prova a diventare adulta sfidando la tradizione.

Proprio la tradizione e i legami arcaici, per i quattro protagonisti sono corde da cui sciogliersi, per loro diventare grandi significa resettare tutto e partire da zero, rinunciare ai dogmi, alle aspettative degli altri, alle abitudini consolidate, ai consumi e alla tecnica che avvelena l’ambiente.

“-Eccola! Lo sapevo! Ero sicuro che sarebbe saltata fuori prima o poi. La tradizione-. Danco si alzò, tutto eccitato. -In nome della tradizione, fino a pochi decenni fa da questa parti si rovesciano in testa l’olio per togliere il malocchio. In nome della tradizione gli uomini non hanno fatto altro che trucidarsi gli uni con gli altri.-”

Sono vite aspre quelle raccontate, vite che si intrecciano per non rimanere sole, mentre tutto fuori sembra libero dall’ordine che nei secoli ha governato le cose, ma libero alcune volte significa ingovernabile, feroce.

“Cesare ci aveva tenuto una lezione sui comandamenti. Non avrai altro Dio all’infuori di me: il signore aveva dettato a Mosè questa per prima, ma perchè? Aveva domandato. Perché proprio quella legge prima di altre che a noi sembravano più importanti, prima di non uccidere per esempio? Ci guardava a turno, Cesare. Noi tacevamo. Così aveva risposto per noi, come faceva sempre: perché quando il Signore viene sostituito nel nostro cuore, il resto non è che un ruzzolare infinito, si precipita senza sosta e ogni altra legge viene violata. Quando il Signore viene sostituito nel nostro cuore, si arriva sempre, immancabilmente a uccidere.”

Come tutti i racconti sulle transizioni, questo è un romanzo in cui si racconta la perdita dell’innocenza, individuale e collettiva. Teresa, Bern, Nicola e Tommaso vivono stretti, senza confessarsi mai tutte le paure, pronti a mettere in discussione tutti gli insegnamenti e tutti gli ideali con cui sono cresciuti, lottano contro tutto quello che non sono disposti ad accettare, cambiano case, luoghi, situazioni, ma non smettono mai di vivere rispettivamente nelle vite degli altri.

C’è la descrizione di un cuore tra queste pagine, quello di Bern “un alveare tortuoso, pieno di anfratti”, uno spazio che ospita tutti, e in cui tutti vivono.

Ma in quel cuore, la camera più grande è quella di Teresa, la donna che ama e che non lo abbandona mai, anche quando sono lontani, anche quando si lasciano, la donna che sente la voce dei suoi pensieri anche se lui resta in silenzio, l’unica persona che può aiutarlo a lasciare qualcosa al mondo, che sia un frutteto, o un figlio.

La voce narrante di tutto il romanzo appartiene proprio a Teresa, poche volte nella narrativa italiana abbiamo visto uomini che usassero un io narrante femminile ma Giordano lo fa sapientemente, siamo stati abituati all’idea che siano le donne a poterci parlare più schiettamente dei sentimenti in maniera nuda e questo libro è pregno di sentimenti. Così Teresa ci racconta tutto quello che i maschi di questa storia non ci dicono, la tenerezza, l’innamoramento, l’empatia, i legami d’amicizia ma anche i sentimenti peggiori, quelli brutti: la delusione, la paura della morte, i rimpianti e la nostalgia.

Teresa ci insegna molto e ci dice che crescere è un eterno “addestramento alla solitudine” e nell’epoca delle “infinite possibilità” tutto è diverso, più rischioso, e così ogni esistenza è un’avventura. Allora come fa Bern tanto vale rischiare, prendersi tutto, prenderselo ora senza aspettare, divorare il cielo, immagazzinare i ricordi fare scorte per quando arriva l’inverno, mettere in salvo il meglio e portarlo dentro per sempre, come ogni lettore ed ogni lettrice farà con questa storia, dopo averci fatto sentire vulnerabili ed inquieti, adolescenti.

Salvatore D’Alessio

Librai uniti per… Divorare il cielo
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