di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

Scrittura autobiografica… e altro ancora.

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Uno straordinario corso di scrittura autobiografica si è tenuto alla Libreria Diari di Bordo in un fine settimana di Aprile, organizzato dalla Rivista The FLR – The Florentine Literary Review.
Nella serata del Sabato con il Direttore della Rivista, Alessandro Raveggi, il racconto, aperto a tutti, del nuovo numero di The FLR – The Florentine Literary Review, dal titolo “Sacro”. Il numero 3 della Rivista accoglie gli interventi di Giordano Meacci, Laura Pariani, Paolo Zardi, Omar di Monopoli, Licia Giaquinto, Francesco D’Isa, le poesie di Andrea Ponso e Vivian Lamarque, con la traduzione di Johanna Bishop, e un ulteriore altro racconto che è quello, per immagini, di Giada Fucelli. Un magazine letterario bilingue che si propone di essere il ritratto dell’Italia letteraria contemporanea sviluppando in ogni suo numero una parola-chiave che rappresenta l’avvio di un percorso che ogni autore sviluppa dando forma a esiti originali anche attraverso sperimentazioni stilistiche e ricerca linguistica.

Durante il corso si è parlato molto di scrittura autobiografica e questo Zaino parte da uno dei libri più belli letti in questi ultimi tempi, che intorno alla figura di due donne costruisce un romanzo gradevolissimo.

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In libreria da poco, “Il latte della madre” di Nora Ikstena. La storia di due donne, madre e figlia, e del loro complicato rapporto in un mondo in costante cambiamento. Un romanzo ben immerso nella Storia, ma capace di raccontare il rapporto tra tre donne, figlia, madre, nonna, e quello tra prigionia, terrore e libertà, con picchi di assoluta perfezione, come è stato accolto dai migliori critici.
Nora Ikstena, scrittrice e saggista lettone molto nota e stimata sia in patria che all’estero, considerata fra le personalità più autorevoli della letteratura baltica contemporanea. Nata a Riga nel 1969, attiva nella vita politica e culturale del suo paese, è considerata fra le personalità più autorevoli della letteratura baltica contemporanea. Le sue opere, che comprendono romanzi, raccolte di racconti, favole e scritti biografici, sono tradotte in diverse lingue e hanno ricevuto numerosi riconoscimenti. “Il latte della madre” (Màtes piens), uscito nel 2015 e vincitore del Dzintars Sodums e del Premio dei lettori, le è valso un grande successo di critica e pubblico.
Lettonia, ottobre 1944: dopo un’occupazione durata più di tre anni le truppe hitleriane si ritirano e l’Armata Rossa entra a Riga. Questo romanzo a due voci inizia da qui. A dipanare la storia una madre e una figlia nei cinquant’anni che seguono la Seconda guerra mondiale, il loro rapporto intenso e tormentato, segnato dalla depressione materna e dal tentativo di arrestarne la tendenza autodistruttiva. A loro si aggiunge una terza figura femminile, la nonna, che vive nel racconto delle altre due, una narrazione che si snoda tra Riga, Leningrado e la campagna lettone parlandoci di memoria collettiva ed emancipazione femminile. Simbolo dell’epoca e dell’oppressione che grava sul destino di ognuno è il latte che, negato dalla madre alla propria figlia nei suoi primi giorni di vita, non è più linfa vitale ma un liquido amaro, disgustoso. Solo col tempo il latte riuscirà ad avere un sapore più dolce…

Il corso di scrittura autobiografica ai Diari è stato tenuto da Alessandro Raveggi che di recente per la casa editrice LiberAria ha curato la pubblicazione del romanzo di Salvador Elizondo, “Farabeuf o Cronaca di un istante”. Capolavoro messicano di culto negli anni ’60 è tornato nelle librerie italiane in una nuova traduzione di Giulia Zavagna con introduzione proprio di Alessandro Raveggi.
18Il più celebre romanzo di Salvador Elizondo fu pubblicato da Editorial Joaquín Mortiz nella serie El Volador nel 1965, anno in cui ricevette il Premio Xavier Villaurrutia.Tradotto in francese da Gallimard Publishing, venne pubblicato per la prima volta in Italia da Feltrinelli nel 1970. “Farabeuf” è una visione enigmatica della curiosa esistenza del chirurgo francese LH Farabeuf, dalle sue ossessioni morbosamente erotiche alla sua vita come inventore di strumenti chirurgici, fotografo dilettante e forse anche spia. Farabeuf è un congegno narrativo spietato ed erotico, il tentativo estremo di raccontare un fermo immagine nel tempo di un racconto: l’istante di supplizio e piacere tra una coppia di amanti che giocano e si trasfigurano nel Dottor Farabeuf e la sua assistente, si travestono, cambiano maschere, viaggiano verso Oriente. Un libro sorprendente, un amalgama di amore, sesso e morte che attraverso una scrittura incisiva, corporea e avanguardista assieme, ritorna sui suoi passi e rilancia in modo magico, come un’arte combinatoria antica, l’esperienza del lettore contemporaneo.
Il libro esce in anteprima per la collana Phileas Fogg di narrativa straniera, che sarà curata dallo stesso Raveggi a partire dal 2019.

“Le sue opere sono il racconto di un’incursione (una penetrazione) in quella regione che è, per definizione, il dominio dell’inintelligibile: la notte oscura dell’anima e la notte, non meno oscura, del corpo”. (Il Premio Nobel Octavio Paz)

Il corso di scrittura ha previsto un focus su metodi e ispirazioni per la scrittura autobiografica. Il primo giorno di corso è iniziato con alcuni brevi estratti dal diario sentimentale di Martín Santomé, il protagonista de “La tregua” di Mario Benedetti (pubblicato da Nottetempo nel 2006 e rilanciato nel 2014 con grande successo, ricevendo il Mix Prize 2015 ).
Roberto Saviano ha scritto che

“In questo libro tutti i sentimenti della vostra vita vengono elencati, identificati, rinominati e vi stupirete, nel leggerlo, di aver davvero provato tutto quanto avrete provato.”

Una Roberta, la mia amica Maggiali, ha scritto a proposito di questo libro

“che ridefinisce tempi di fuga e arresto che non sono mai fughe e arresto son presa di coscienza di sé. Di un soffio di se”

Martín Santomé, il protagonista di questo classico della letteratura sudamericana, cosí si descrive

“Signore maturo, esperto, posato, quarantanove anni, senza gravi acciacchi, ottimo stipendio”.

Schiacciato dalla noia di una vita da impiegato di commercio, vedovo con tre figli ormai grandi, guarda al trascorrere del tempo con tranquilla disillusione. E tutto rimarrebbe immobile fino al suo pensionamento, se in ufficio non venisse assunta la giovane Avellaneda, timida e chiusa in una silenziosa bellezza: per lei Santomé sente nascere un amore insperato, che lo porterà a vivere una relazione clandestina, rimettendo il tempo in movimento. Come Svevo in Senilità, La tregua racconta la capacità straordinaria che ha la vita di prendere il vento e gonfiare le vele, per poi, caduto il vento, tornare alla quiete della bonaccia. Con questo romanzo Benedetti ha acquistato notorietà internazionale: il libro ha avuto piú di cento edizioni, è stato tradotto in una ventina di lingue e adattato per il teatro, la radio, la televisione e il cinema. Mario Benedetti (1920-2009), è stato uno dei massimi narratori e poeti del Novecento. Ha cominciato a guadagnarsi la vita come commerciante, contabile, impiegato, giornalista e traduttore. È stato direttore del Centro di Ricerche Letterarie della “Casa de las Américas” all’Avana, e del Dipartimento di Letteratura Latinoamericana, dell’Università di Montevideo. Dopo il golpe militare del 1973, ha rinunciato all’incarico universitario ed è partito in esilio, durato 12 anni, prima in Argentina, poi in Perù, a Cuba e in Spagna. Nel 1999 ha ricevuto il prestigioso Premio di Poesia Reina Sofìa. Tradotti in Italia: “Racconti” (Multimedia, 1995), “Inventario: poesie 1948-2000” (Le Lettere, 2001), “Grazie per il fuoco” (La Nuova Frontiera, 2011) e “Fondi di caffè” (La Nuova frontiera, 2013). “Chi di noi”, del 1953, è il suo sorprendente romanzo d’esordio.

Clicca sulla foto per accedere al sito della casa editrice Exòrma.
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Pubblicato per la prima volta in Italia da Exòrma, con la splendida traduzione di Marino Magliani, arriva in libreria “Sudeste” di Haroldo Contie considerato uno dei romanzi più singolari della narrativa argentina contemporanea.
Sudeste è il vento che scuote la foce del fiume Paraná e la direzione da cui soffia quel vento solleva e spinge il mare nel Delta. Ma la foce del Paraná non è tanto il riferimento a un luogo definito, bensì il centro dell’universo che l’autore ci vuole narrare. Haroldo Conti, poco conosciuto in Italia, fu considerato da Gabriel García Márquez il miglior narratore della sua generazione.
Il Boga, un tagliatore di giunchi con gli «occhi da pesce moribondo», che conduce una vita sedentaria e monotona, decide dopo la morte del Viejo di avventurarsi sul fiume con una piccola barca sgangherata. Sono l’acqua, il vento, l’andirivieni tra i canneti a scandire le stagioni; il suo vagare silenzioso e solitario lo porta a sentire «quella specie di rumore che nasce nei luoghi da lungo tempo disabitati» e a scoprire un’umanità remota e sospesa. Il fiume

«a conti fatti, sembra diabolicamente astuto e torvo, e perfino crudele»,

una specie di demone arbitrario che governa i destini di esseri duri e taciturni che vivono pescando e raccogliendo giunchi. Gente che mangia gallette rafferme e pesce che sa di fango e ama più i cani che gli uomini.
Il Boga giorno dopo giorno perde interesse per qualsiasi altra cosa che non sia questo vagare seguendo i suoi pesci. Quello che accade sembra niente ma è il tutto, il dipanarsi di una vita: fatti minimi che riempiono i giorni e incontri violenti con personaggi oscuri in mezzo a isole dal profilo illusorio, sopra un fiume che somiglia all’eternità.

«Se ne stava lì, schiacciato contro il tavolato, ansimando. Mise la mano destra sul braccio ferito e sentì che si inumidiva, e poi vide il sangue, denso e scuro […]».

Haroldo Conti (1925-1976) è stato uno scrittore e giornalista argentino. Nel 1962 vince il premio Fabril proprio per questo suo primo romanzo, “Sudeste”, con cui diventa una delle figure di riferimento della cosiddetta «Generación de Contorno» (nello stesso anno pubblicano autori come Sábato, Mujica Lainez, Cortázar, Marta Lynch). Pubblica inoltre i romanzi “Alrededor de la jaula” (Premio Universidad de Veracruz, Messico) – poi trasposto per il cinema da Sergio Renán con il titolo “Crecer de golpe” – e “En vida” (Premio Barral, Spagna, della cui giuria facevano parte Mario Vargas Llosa e Gabriel García Márquez). Nel 1975 pubblica il romanzo “Mascaró, el cazador americano”, che vince il Premio Casa de las Américas (Cuba), tradotto in Italia con prefazione di Gabriel García Márquez, Milano, Bompiani, 1983.
Il 5 maggio 1976, a seguito del golpe militare in Argentina, Haroldo Conti viene sequestrato. Il suo nome figura fra quelli dei desaparecidos. Molti anni più tardi il Generale Videla fu costretto ad ammettere il suo omicidio; probabilmente Conti è stato gettato in mare come molti suoi connazionali.
Il nostro bellissimo corso di scrittura autobiografica si è concluso, come quando sul finale di una Festa partono gli Inti illimani, con la Lettura di un brano tratto da “La morte di un artista” di Álvaro Enrigue, libro pubblicato recentemente da La Nuova Frontiera nella collana Liberamente.

Álvaro Enrigue è nato a Città del Messico nel 1969. Attualmente vive a New York e insegna alla New York University. È autore di quattro romanzi e due raccolte di racconti. Nel 2013 con “Morte improvvisa” (Feltrinelli) si è aggiudicato il premio Herralde e il premio Elena Poniatowska. “La morte di un artista” è il suo romanzo di più grande successo.
Nel libro Sebastián Vaca, un giovane artista di belle speranze, si ritrova una sera a un ricevimento nel quartiere più elegante di Città del Messico. All’improvviso vede uno degli ospiti, un pittore soprannominato l’Utopista, salire in piedi sulla balaustra della terrazza e cadere di sotto. Mentre i paramedici portano via il cadavere, Sebastián conosce colui che diventerà il suo mecenate: Aristóteles Brumell.
Aristóteles è un uomo elegante, raffinato e ricchissimo, grazie a un cospicuo patrimonio lasciatogli dal nonno. Dal suo illustre antenato non ha ereditato però solo i soldi e la passione per l’arte, ma anche i vizi e soprattutto l’abilità di fare degli altri delle pedine che dispone, a suo piacimento, in una sorta di gioco machiavellico.
Inizia così, in un crescendo di humor nero e situazioni surreali, la cronaca della caduta di Sebastián il quale, senza rendersene conto, si trasforma nell’opera d’arte del suo cinico mecenate. Percorso da una tensione latente che tiene il lettore incollato fino all’ultima pagina, “La morte di un artista” mostra la decadenza dell’uomo in una società cinicamente elitaria abituata a imporre il suo punto di vista e i suoi capricci.

Chiudiamo lo zaino con Marilynne Robinson e un libro che già nel titolo la dice lunga sulla scrittura autobiografica. In libreria dal 26 aprile, Marilynne Robinson è considerata, insieme a Toni Morrison e Joyce Carol Oates, la più grande scrittrice americana vivente.

Clicca sulla foto per accedere al sito della casa editrice Minimum fax.
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«Quando ero piccola leggevo libri» è una raccolta di saggi sui grandi temi della sua narrativa. Un ritratto intimo e ricco di sfumature per conoscere meglio un’autrice già classico contemporaneo.
Non tutti sanno che tra “Le cure domestiche”, il romanzo di esordio con il quale Marilynne Robinson divenne una celebrità negli Stati Uniti, e “Gilead”, la sua seconda opera narrativa, premiata con il Pulitzer e primo capitolo di una magnifica trilogia completata da “Casa e Lila”, sono trascorsi ben ventotto anni: dal 1980 al 2008. E non tutti sanno che in questo trentennio o poco meno la Robinson, ben lungi dal rimanere inattiva, si è cimentata ripetutamente con il genere saggistico, regalando ai suoi lettori una serie ininterrotta di perle.
Spaziando dalla meditazione teologica a riflessioni illuminanti sulla letteratura, dal ricordo autobiografico alla disamina di un’intera nazione e delle sue trasformazioni, i saggi di “Quando ero piccola leggevo libri” affrontano da un’angolazione nuova e complementare i grandi temi che sono al centro della sua narrativa – il clima politico e sociale degli Stati Uniti, la centralità della fede religiosa e la generosità di sguardo che ne deriva, la natura dell’individualismo americano e il mito del West – e compongono il ritratto intimo e ricco di sfaccettature di un’autrice che è considerata un vero e proprio classico contemporaneo.
I suoi quattro romanzi, “Le cure domestiche”, “Gilead” (Premio Pulitzer nel 2005), “Casa e Lila”, sono tutti disponibili nell’edizione Einaudi. Con “Quando ero piccola leggevo libri” Minimum fax avvia la pubblicazione dei suoi saggi, che proseguirà nel 2019 con il suo libro più recente, “The Givenness of Things”.

Nello Zaino di Antonello: Scrittura autobiografica… e altro ancora.