Tate modern

Ci saremmo viste a Londra, alla Tate Modern. Un luogo che si presta a parlare di “Lealtà”.

Il museo londinese sarebbe stato lo scenario ideale e irrinunciabile per la chiacchierata che vi apprestate a leggere. Quindi seguiteci, fingendo di essere nelle sale della famosa galleria, insieme a me e a Letizia Pezzali.

LeatàQuanto sono brave le scrittrici italiane: questa è stata l’esclamazione che ho formulato, dopo aver letto poche pagine di “Lealtà“, il nuovo romanzo di Letizia Pezzali pubblicato da Einaudi Stile Libero, dopo l’esordio con “L’età lirica” edito da Baldini&Castoldi  nel 2012, finalista al Premio Calvino, una delle fucine più importanti di talenti letterari nel panorama italiano. Scrittrici nate a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento, che stanno dando nuovo smalto, vitalità e vivacità alla narrativa nostrana. Potrei fare i miei nomi, ma preferisco, prima di addentrarmi nelle pagine del romanzo, chiedere a Letizia se sente, come è mia percezione, di far parte di una nuova, feconda, fondante stagione di scrittura che ha finalmente infranto gli orizzonti che spesso hanno limitato e ristretto nei temi e nelle movenze narrative i romanzi italiani degli ultimi decenni, o se invece si senta ancora erede della tradizione novecentesca più nobile dell’Italia.

letizia pezzaliNon so, è molto difficile essere certi di far parte di una stagione mentre la si vive. Il presente è così: contiene tutte le informazioni possibili, senza selezione. È poco leggibile. Gli esseri umani possono interpretare i fenomeni solo dopo che si sono verificati, o almeno credo sia questo l’atteggiamento mentale giusto. Sicuramente esiste una generazione di donne nate intorno al 1980 che oggi va verso i quarant’anni e che ha beneficiato di molte conquiste. Una generazione cresciuta con un reale senso di possibilità. È un fenomeno generale, che riguarda molti ambiti. E può darsi che questo si rifletta anche in letteratura: scrivere è un atto di libertà, ed è liberazione. Per quanto riguarda la mia idea di romanzo e il confronto con la tradizione, fra i miei grandi amori ci sono Ginzburg e Fenoglio, senza dubbio. Oltre a questo a volte sento di rifarmi a un’idea generale di romanzo europeo. Kundera parla dell’euforia che nasce dal conoscere la relatività delle cose umane, parla del piacere che deriva dalla certezza che non ci sono più certezze. Questa per me è la radice del romanzo. Questa è l’idea di scrittura che mi piace.

 

Con “Lealtà” tu porti avanti un procedimento narrativo ardito quanto fascinoso, perfettamente riuscito. Non solo rendi l’economia un elemento narrato, ma strutturi una nuova forma di narrazione attraverso il linguaggio e i sistemi economici. 

Presti l’economia a binocolo della realtà, dei sentimenti e dell’introspezione psicologica dei personaggi. Ottieni l’effetto di distanza rispetto alla materia narrata, nonostante l’uso della prima persona, uno sguardo lucido e freddo su eventi e personaggi, un’indagine approfondita e analitica delle reazioni emotive, consapevoli e inconsce.

Attraverso la grammatica dell’economia, la narrazione diventa cosa nuova. Posso dare un piccolo esempio, tra le tante cose che ho sottolineato nel romanzo, perché colpita dal modo straordinario in cui venivano raccontate:

Appartengo alla categoria delle persone modificabili, ma nel complesso infrangibili. Dipende dalla materia di cui si è fatti. Io sono fatta della stessa materia dei mercati: instabili senza però scomparire mai del tutto, capaci di influenzare gli eventi, anche, e di concludere, qualche volta, e di trovare punti di arrivo e di perderli e di ritrovarli. Il mercato ha la caratteristica di immaginarsi superiore al disordine, pur operando all’interno della volatilità. È un’illusione abbastanza efficace, anche se non per forza intelligente.

Che rapporto c’è tra l’economia e la scrittura nella tua officina creativa?

letizia pezzaliL’economia fa parte della mia formazione, ma non credo sia solo questo il motivo per cui la uso nel romanzo. Come materia di studio ha molte definizioni, ne scelgo una, forse la più nota: l’economia è la disciplina che si occupa di come organizzare le risorse scarse. La scarsità, il limite, la finitezza sono la materia prima dell’economia; l’organizzazione è la sua utopia. 

Confrontarsi con l’economia significa a volte scontrarsi con la realtà, con gli aspetti più complessi e meno gradevoli delle relazioni umane: la ragione che si impone (o si illude di imporsi) sul sentimento. In questo senso l’economia somiglia molto al romanzo, una forma narrativa che si nutre di imperfezioni e di sgradevolezze ma che sogna di comprendere tutto. Di sicuro l’economia può facilmente diventare romanzesca, del resto sono state scritte molte pagine sugli aspetti economici dei romanzi di Jane Austen, che è addirittura citata nel saggio di Piketty sul capitale e sulle disuguaglianze. Pensando ai contemporanei, c’è chi ha definito Houellebecq un economista, e non si tratta di una definizione insensata.

L’economia tradizionale ha molte rigidità, parte dal presupposto che gli esseri umani siano razionali. Questa ipotesi fa sì che il ragionamento economico suoni spesso distante dalla realtà e produca risultati incerti, tragici e talvolta involontariamente comici (e quindi, a un secondo sguardo, ancora più tragici). Nel mio romanzo il filtro del ragionamento economico, combinato alla narrazione in prima persona e quindi sottilmente inaffidabile, serve a indagare l’emotività e il dolore. Si crea un contrasto fra la razionalità del linguaggio, fra gli intenti analitici della protagonista e la sua sofferenza reale. Questo contrasto produce (o così spero) visibilità ed esattezza. E quindi drammaticità.

 

Uno dei temi centrali del romanzo è il desiderio, che sembra sfuggire a ogni legge: 

Un discorso sulla realtà del desiderio. Le misure, gli abiti, gli atteggiamenti, i pantaloncini, niente di questo si avvicina alla realtà del desiderio. La realtà del desiderio non si può fotografare. E se anche riuscissimo a fotografarla, sarebbe del tutto impubblicabile.

Esiste una realtà del desiderio? Che tipo di desiderio nutre Giulia nei confronti di Michele? Cos’è che la tiene avvinta a lui?

letizia pezzaliIl desiderio è una spinta, fa muovere le cose. Ha una direzione ben definita, anche, non è un movimento casuale: non desideriamo qualsiasi cosa, purché sia, non desideriamo neppure molte cose, se siamo onesti. Di solito ne desideriamo alcune, ben delineate. Le desideriamo dolorosamente. 

Il desiderio è un gesto preciso, forse è fra i gesti più precisi a nostra disposizione. Difficilmente siamo in grado di fingere il desiderio in modo convincente, e quando lo esprimiamo fino in fondo restiamo senza parole: la nostra vitalità (perlomeno apparente) ci sorprende. Il desiderio è anche illusione di possibilità e in questo trovo sia affine al denaro, inteso come generatore di mondi possibili, di scenari fortemente voluti. Il denaro e il desiderio sono temi presenti nel romanzo. Tuttavia sia il desiderio sia il denaro non bastano, sono solo meccanismi, strumenti. Non garantiscono nulla. Possono diventare distruttivi; o, cosa altrettanto tragica, non portare da nessuna parte.

Nel romanzo Giulia cammina e si muove, intorno a lei accadono eventi (anche storici, vasti), ma la sua direzione resta piuttosto definita: rivolta al passato lei coltiva la memoria di un amore persistente, rivolta al futuro cova il sogno di incontrare di nuovo quell’amore, Michele. All’interno di queste due direzioni lei si sente, senza dubbio, viva. E di sicuro prova un sentimento forte. Al contempo corre il rischio di cristallizzarsi, di vivere solo fino a un certo punto, solo all’interno delle due direzioni, che diventano sentieri obbligati. Forse servirebbe una rottura: forse la precisione del desiderio è una condanna.     

 

Uno degli elementi che ho trovato più interessanti di “Lealtà” è lo sforzo di indagare la nostra contemporaneità, non come semplice affresco in cui ritrovarsi o specchiarsi, ma in continuo dialogo con i personaggi e le loro storie.
La relazione di Michele e Giulia si svolge anche tramite le nuove tecnologie e l’uso dei social.
Perché è innegabile che hanno cambiato il modo di amare e di essere all’interno di una relazione e dei rapporti, e che modulano e modificano reazioni ed emozioni.
Da una parte tu li fai agire sui personaggi, e dall’altro li sostanzi di riflessioni e analisi che aiutano a capire chi siamo e forse dove stiamo andando.

Pensai che i social funzionano come un mercato.
Non è una similitudine perfetta, ma senza dubbio esistono delle analogie: l’incontro di domanda e di offerta, per esempio. La domanda siamo noi quando guardiamo, approviamo, commentiamo, l’offerta siamo sempre noi quando pubblichiamo contenuti che gli altri possono leggere e osservare. Il prezzo è il consenso, il numero di reazioni. Facebook non esiste senza la conta dei “Mi piace” così come i mercati non esistono senza il prezzo. Nei social c’è anche un’idea di liquidità. Se non ottieni un buon livello di approvazione scompari,  l’algoritmo ti relega ai margini, come un  titolo che nessuno scambia: niente di personale, è solo che la tua presenza ha perso fondatezza. Non crei traffico. I social, come i mercati, riempiono gli spazi e creano una sensazione di intrattenimento, di intensità, seguita da un senso di vuoto, di prosciugamento; ogni tanto qualcuno alza la testa, si lamenta, e anche questo diventa un vezzo. I social, sempre come i mercati, nascondono altri mercati sopra e sotto di sé, numerose deviazioni: la pubblicità, il nostro essere utenti e cioè consumatori per gli inserzionisti; più in generale il valore delle informazioni che consegniamo al sistema senza chiedere niente in cambio.

“Lealtà” è anche un romanzo sulla contemporaneità?

letizia pezzali“Lealtà” ha un’ambientazione storica precisa. La scena iniziale si svolge a giugno del 2016: si parla di un referendum, la Brexit, mai nominata esplicitamente ma è come se lo fosse; siamo nel mondo di oggi, il mondo in cui le notizie politiche diventano subito materia di dibattito social globale, un dibattito più o meno efficace, più o meno sensato. Ci sono poi dei flashback ben identificati: dieci anni prima, l’innamoramento di Giulia per Michele, in un contesto storico post telefonini ma precedente alla diffusione capillare dei social; e la storia d’amore dei genitori di Giulia, situata a metà degli anni Ottanta, che poi sono anche gli anni della giovinezza di Michele. Nell’insieme si tratta di un trentennio caratterizzato da una ben nota storia della tecnologia: i giovani degli anni Ottanta e i giovani degli anni duemila, i modi diversi di costruire le relazioni umane ma non solo, di vivere o per meglio dire di osservare e recepire la storia, il mondo, le vicende economiche, politiche e sociali. “Contemporaneità” è una parola grossa (per il solito discorso: catturare il presente è ambizioso, forse impossibile). Però penso si possa dire che il romanzo ha uno scenario storico molto chiaro e all’interno di questo scenario colloca le proprie domande e le proprie vicende, che inevitabilmente assumono certe tinte e non altre.

 

Siamo arrivate all’ultima domanda.

Lealtà. Esiste una parola più nobile, per definire un rapporto tra due persone?

Sentimento importante, che svela tutta la sua consistenza narrativa solo alla fine del romanzo, e che pertanto non sveleremo. Talmente importante da prendere il sopravvento nel titolo, rispetto all’amore, che pure sembra avere la predominanza nella narrazione, e all’amicizia, che invece è assente nel romanzo, un buco nero, un gorgo per Giulia.

Tra le tre, lealtà amore e amicizia, quale sceglierebbe Letizia Pezzali, e perché? 

letizia pezzaliSono tutte belle parole; sono anche ambigue. “Lealtà” è un termine d’altri tempi, oggi poco usato, con un significato cavalleresco, una facciata molto positiva e alcune negatività sotterranee: l’attaccamento, l’eccessiva devozione, il senso strategico che può assumere. “Amore” è una parola vasta, pesante, a tratti dolce e desiderabile, a tratti pretenziosa e decadente: ha l’ambizione di essere simile a “vita” e “morte” ma non ha la stessa chiarezza fisica, biologica. “Amicizia” descrive uno dei sentimenti migliori che possiamo provare, senza dubbio, ma oggi è più che mai sinonimo di rete, di contatto: la mania di essere interconnessi con l’idea di ricavarne qualcosa.

In questo momento non mi sembra che una parola sia meglio delle altre, anche se naturalmente mi riservo la possibilità di viverle tutte.

Chiacchierando con… Letizia Pezzali