di Maria

Maria

 

 

 

 

 

Strout è paragonabile solo a Carver, principe della scrittura minimalista e delle short stories, per la maestria nel descrivere la quotidianità.

21557529_1973421869637597_2196330371943317412_nNel suo ultimo romanzo, “Tutto è possibile” (traduzione di Susanna Basso, Einaudi) però, lo stile è più verboso e meno curato e si avverte un po’ di stanchezza nella vena creativa della scrittrice.

Le nove storie che si susseguono nel libro, tra loro collegate dal filo rosso dei protagonisti che ritornano nelle varie vicende e si conoscono tra loro, rappresentano la prosecuzione della vita di Lucy Burton – divenuta scrittrice di successo -, narrata nel precedente romanzo della scrittrice americana: “Mi chiamo Lucy Barton” (traduzione di Susanna Basso, Einaudi).

Immancabili, comunque, la sottile malinconia, il senso di spaesamento, la solitudine e la difficoltà negli affetti dei personaggi, che tanto ci hanno fatto amare Elizabeth Strout.

Le nuvole si erano alzate, c’era il sole: adesso i campi di mais si perdevano in lontananza. Appena fu sulla porta, Pete si rese conto che Vicky era grassa. Lo aveva sempre saputo senza saperlo, ma ora che la vedeva sulla soglia, si accorse che era veramente grassa.”.

La tristezza dei protagonisti e lo squallore delle loro vite “normali”, in ogni caso, non sfociano mai nella disperazione. Anzi, in sottofondo brilla sempre una debole e fiduciosa luce che rasserena il lettore, soprattutto nel finale.

Vale, dunque, la pena di leggere anche quest’ultimo romanzo di una delle nostre scrittrici preferite.

Maria consiglia: Tutto è possibile