Il romanzo “Suttaterra” del giovane scrittore siciliano Orazio Labbate, è una delle letture che ho affrontato sulla scia del “Bardo” di Saunders, che mi aveva incantata.
Di questo lavoro balza immediatamente all’occhio la prosa. Una lingua estremamente ricercata ma che non risulta mai stucchevole nè artefatta. Una scrittura a tratti ermetica e che procede per giustapposizioni e densa di rimandi e simboli.
L’atmosfera dell’intero romanzo è onirica, ma di quell’onirico dal sapore apocalittico o meglio postapocalittico più che classico, da discesa agli inferi.
L’intera vicenda è costellata da simboli appartenenti all’iconografia cristiana che vanno assumendo via via una valenza paganeggiante.
“Suttaterra” può sembrare inizialmente una storia d’amore, ma ben presto assume venature noir.
Classificare questo romanzo non è facile ma sentirei di collocarlo nel filone del gotico meridionale.
In questo suo lavoro Labbate racconta un viaggio fantasmatico dagli Stati Uniti alla Sicilia che personalmente mi ha ricordato molto per ambientazione e toni, The rime of the ancient mariner di Coleridge
Il protagonista è Giuseppe Buscemi, un giovane becchino figlio di un predicatore siciliano emigrato a Milton, (e il richiamo all’autore del Paradiso Perduto non è affatto casuale).
Giuseppe versa in uno stato di profonda prostrazione dovuta alla recente scomparsa della giovane moglie. Improvvisamente decide di partire dopo aver ricevuto una lettera dalla moglie morta e probabilmente, novello Dante, per sondare qualche girone infernale e espiare così una colpa indicibile.
ll giovane si muove su mezzi scassati, carri funebri, navi dissestate di coleridgiana memoria, attraversa locali notturni e luna park abbandonati dove ruggine e scirocco la fanno da padroni.
Nel suo viaggio ultraterreno alla ricerca della moglie, novella Euridice, incontra personaggi lynciani. Inevitabile associare Alfonsino Scibetta al nano di Twin Peaks.
Tutta la vicenda è segnata da ossessione e morbosità. Un rapporto irrisolto col padre darà vita nel finale ad un colpo di scena, nel quale vittime e carnefici arrivano a scambiarsi i ruoli.
Da aguzzino a deus ex machina, il padre assume un ruolo quasi divino e assurge a simbolo dell’onniscenza, padrone di un mondo ultraterreno che assume infine connotati danteschi con tanto di pena del contrappasso e condanna eterna.
Un romanzo sicuramente originale e denso di citazioni letterarie che spaziano dalla classicità alla cinematografia.
Consigliato a chi non teme le sfide.