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Confesso di non amare particolarmente Grazia Deledda come scrittrice, forse anch’io inconsapevolmente vittima del pregiudizio che tanto la ferì in vita, e mi sono avvicinata al testo “Quasi Grazia” di Marcello Fois, per la passione per lo scrittore sardo, più che per l’ammirazione verso la scrittrice, premio Nobel per la Letteratura nel 1926. Nelle pagine di Fois vive una Grazia intima, rappresentata in tre momenti cardine della sua vita, in cui si evince tutta la carica rivoluzionaria e anticonformista della donna, prima ancora che della scrittrice, ma strettamente legata alla sua dedizione alla scrittura, perché quello è il più grande “peccato” e la grande rivoluzione che Grazia Deledda, donna sarda del Primo Novecento, imprime al suo destino.

Credi che abbia mai avuto bisogno dell’avvenenza per essere bella? Lei ha la scrittura. E la lettura. Quando legge, lei non legge e basta. Quando scrive non scrive e basta. Lei si guarda costantemente leggere e scrivere. Lo capisci?

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Tre momenti che Fois estrapola dall’esistenza di Grazia per renderli emblema di una figura di donna consapevole, volitiva, determinata ma anche fragile negli affetti familiari che la contrastano e ostacolano,  e sensibile a quel mondo ancestrale che la richiama a sé e nei cui confronti deve lottare per tutta la vita.

Faranno a gara per dileggiarmi, ma non sanno che nessuno li amerà come li ho amati io. Nessuno. Mai più. Non hanno capito che se io cadessi nell’oblio che mi augurano, loro cadrebbero nell’oblio insieme a me.

La partenza dalla Sardegna in una burrascosa giornata invernale del 1900, sposata a un continentale che le consente di vivere liberamente e pienamente il mestiere di scrittrice; la consegna del premio Nobel a Stoccolma nel dicembre del 1926; e infine un giorno del 1935, in cui le viene diagnosticato a Roma il tumore che la ucciderà l’anno dopo. Momenti in cui la vita e la letteratura si intrecciano a segnare il destino di Grazia, a sottolineare la carica eversiva delle scelte di vita e la disaffezione che tali scelte le procurano da parte dei familiari, dei sardi e dei critici a lei contemporanei. Mescola le carte Fois per rappresentare una donna vera, fatta di carne e di sangue, mossa e dinamica, estremamente moderna. Un occhio acuto e partecipe, con cui Fois guarda alla donna e alla scrittrice, la rende protagonista del suo tempo ed assolutamente moderna, ne evidenzia la forza caratteriale e l’importanza nel mondo letterario che le appartiene, come riscatto alle detrazioni di cui è stato oggetto: Scarfoglio, Pirandello, Serao.

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Fois conduce una delicata, minuziosa, incisiva indagine nell’esistenza più segreta di Grazia, da cui scaturisce un riscatto che non ha nulla di apologetico o precostituito, ma sboccia autentico e sentito perché l’origine è rintracciata in un atteggiamento dignitoso e quasi titanico della scrittrice di fronte a chi non ha mai accettato il ruolo di una donna che sceglie di essere quello che desidera, in contrasto con tutte le regole, e in accordo con un marito che la spalleggia e la sostiene all’interno di una relazione in cui i ruoli fissati e convenzionali sono ribaltati, e che proprio dai contrasti e dalle incomprensioni, dalle detrazioni e dalle discussioni trova l’impeto e la necessità di andare avanti, senza esitazioni. La giustificazione che la Grazia di Fois trova a tali atteggiamenti celebra indiscutibilmente la figura rivoluzionaria:  il disorientamento che nasce dall’inadeguatezza dei suoi contemporanei a ciò che ha scelto di essere e a come ha portato avanti il suo progetto, fino al riconoscimento supremo del premio Nobel.

23316665_2008684982777952_3793965519149014363_nChi poteva portare in scena tutta la forza di un testo così pieno, raffinato, letterario e vivo? Michela Murgia, nessun’altra. Nonostante la scelta mi fosse apparsa tanto azzeccata quanto scontata, non ne avevo compreso la carica esplosiva, fino a quando non ho assistito al teatro Puccini di Firenze  allo spettacolo teatrale, prodotto da Sardegna Teatro con la regia di Veronica Cruciani. Michela Murgia non è semplicemente una scrittrice sarda come Grazia Deledda, ma donna forte, attiva, interprete rivoluzionaria dei nostri tempi come la Grazia di Fois. La sua presenza in scena incendia il testo di Marcello Fois, lo travalica, lo esaurisce in perfezione e lo assolutizza. Pur non essendo un’attrice, la sua recitazione è perfetta, perché non è recitazione, o almeno così è suonata ai miei sensi, allertandoli ed emozionandoli. Grazia è Michela, più ancora che Michela Grazia, e questa condizione scardina e amplifica il potere del teatro. Perché se il teatro di per sé è un gioco raffinato tra vero/falso, finzione/realtà, in cui gli attori rendono vivi i personaggi, in cui la letteratura prende vita, in cui la scrittura si fa parola nella sua essenza, Michela Murgia che in teatro interpreta se stessa come se fosse Grazia è un’esplosione di sentimenti, di suggestioni, di emozioni, che come donna, come lettrice, come appassionata delle parole mi ha fatto vibrare in modo da equilibrarmi in un nuovo, inatteso, insospettato assetto.

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C’era un pericolo in agguato, che è quello tipico delle deflagrazioni. Sommergere tutto il resto con la propria carica. Credo che questo sia stato l’equilibrio più difficile e delicato con cui la regia e gli altri attori hanno dovuto misurarsi: disinnescare la potenza della figura Michela/Grazia così che invece di intontire potesse vibrare profondamente. Il mio applauso a loro per aver vinto la sfida nell’ottica della teatralità: Lia Careddu nel ruolo della madre, che da anima storica del Teatro di Sardegna, ha usato una grande, straordinaria professionalità per disinnescare e convogliare l’esplosione nei binari del gesto teatrale e delle funzioni sceniche; Marco Brinzi, nel ruolo del marito Palmiro Madesani, che riesce a trovare l’autentica dimensione di un personaggio fondamentale ma anche giustamente monocorde, rendendolo intenso, sentimentale, accorato; Valentino Mannias, nei diversi ruoli del fratello Andrea, del giovane giornalista svedese Ragnar che ha il compito di sottolineare, con una supponenza indicativa della temperie del tempo, la portata mondiale della letteratura deleddiana, e infine del tecnico di radiologia, Stanislao, mostrando eccezionali doti istrioniche, capaci di interpretare quella gioia leggera già presente nel testo di Fois, tesa a sdrammatizzare temi e momenti tragici così da concedere agli spettatori, sfiorando il divertente, di alleggerire il cuore.  

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Una menzione particolare agli “effetti speciali”, figure visionarie e oniriche che mescolano il letterario, essendo attinte dall’immaginario di Deledda, e il teatrale, essendo movimento, interpretazione, mimesi tipici della narrazione scenica, che ottengono l’effetto di catapultare lo spettatore nelle atmosfere caratteristiche della prosa deleddiana.

La vita di ogni grande scrittore racconta qualcosa della grande scrittura, afferma Fois a commento dell’atto temerario di aver scelto di parlare da scrittore nuorese di Grazia Deledda. Da lettrice, aggiungo a corollario che da grande scrittore Fois ha saputo dare con “Quasi Grazia” una prova di grande scrittura e una testimonianza del potere che la letteratura può esercitare, nella vita privata come nella dimensione politica. La sapienza di Veronica Cruciani, insieme con la voce e le movenze dei bravissimi attori in scena e con la competenza di tutte le maestranze che stanno dietro uno spettacolo riuscito e di forte impatto emotivo, ha saputo dare corpo alla carica rivoluzionaria del testo di Fois, trovando una fascinosa convivenza tra il testo drammaturgico e la scrittura scenica, e sublimando, senza restarne sommersi, l’imponente presenza scenica di Michela Murgia, che concede ad entrambi i piani, quello drammaturgico e quello scenico, un peso incommensurabile di idealità.

“Quasi Grazia” al Teatro Puccini a Firenze