di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

 

Libri Contro l’Orgoglio dell’Ignoranza.

1Filippo Tuena è un esploratore di terre incognite e un cacciatore di fantasmi. Da anni lavora sui limiti e le possibilità della forma romanzo, al confine tra invenzione, memoir, inchiesta narrativa e ricostruzione storica”.

3Si apriva così un bellissimo articolo che ho letto sull’Indice dei libri del Mese nell’aprile scorso e ospitare sabato 30 settembre lo scrittore e saggista Filippo Tuena con un Viaggio intorno ai suoi libri ha solo confermato questa straordinaria capacità di essere un esploratore nel campo della scrittura e della struttura narrativa di un libro. È stata una grande emozione e una grande soddisfazione, per un povero libraio come me, poter interagire con un intellettuale di questo calibro e un grosso privilegio personale trascorrere un tratto del pomeriggio a sentir parlare di progetti e editoria e libri belli. Durante la presentazione serale abbiamo tutti assistito a delle vere e proprie “Lezioni di alta letteratura” nell’interazione tra lui e Andrea Cabassi, con richiami alla musica e alla storia dell’arte e ai grandi classici. Di fronte a lezioni come queste si può soltanto rimanere in silenzio e ascoltare e ascoltare e ascoltare. Un esempio di classico vivente, si è autodefinito Tuena di fronte ad una mia domanda finale nel corso della presentazione in cui gli ho citato esempi di scrittori contemporanei che si vantano di non leggere i classici. Una piacevolezza unica poter sentire Tuena spiegare che Letteratura è quando la Memoria diventa racconto, o sentir citare il libro X delle Confessioni di S. Agostino: ” Mi si aprono i grandi campi della memoria… Amo una cosa che sta nel profondo della mia memoria, di cui mi ricordo sfruttando anche i modi dell’oblio, e che struttura il mio pulsare vivo come un grande amore ed insieme una struggente nostalgia”.4
Tornando a casa, nella mia lunga notte insonne, son tornato con la mente a quegli scrittori contemporanei che con ostentazione dichiarano di non leggere i classici… e mi son ricordato di un brano di uno scrittore, anche lui immenso e poco ricordato, Giuseppe Pontiggia, che in un libro di una quindicina di anni fa, dal titolo “Prima Persona”, edito da Mondadori scriveva a proposito dell’orgoglio dell’ignoranza: “Ecco un fatto nuovo. L’estraneità ai libri, vissuta un tempo come umiliazione sociale, oltre che come discriminazione culturale, si trasforma in un vanto. “Chi non ha letto un libro negli ultimi anni?” è una domanda che una volta avrebbe messo a disagio. Oggi fanno a gara per alzare la mano. Spesso le loro facce sono un avallo, autorevole quanto convincente, delle loro scelte. Se devono spiegarsi, possono arrivare fino a tre errori in una sola frase, farfugliata con una ostinazione degna di miglior causa. Ma non è un problema di istruzione. Ho sentito neolaureati giulivi, in una indagine settoriale, dichiarare con fierezza di non leggere mai nessun classico, di nessuna epoca. Una ragione in più per togliere alla laurea quasiasi valore legale, nonché ideale.
Attribuire ogni responsabilità alla scuola rientra fra quelle semplificazioni autoritarie che appagano due tentazioni ugualmente forti: la ricerca della causa prima e la ricerca del capro espiatorio. Ora i pochi che leggono, bisogna riconoscerlo, hanno di solito contratto la malattia a scuola: per convergenza insperata con un insegnante mitologico o per disaccordo attivo con un insegnante idiota. È certo comunque che gli altri non hanno sperimentato la lettura come piacere. Il piacere vuole ripetersi. Lo constatiamo a tavola e in quell’ambito che viene definito aforisticamente “il sesso”. Perciò covano verso la lettura una avversione ottusa, che si manifesta finalmente nell’età propizia, la maturità.Oggi ci sono autori che vengono definiti “di nicchia”. Forse in futuro ci sarà soltanto una nicchia e ospiterà i lettori superstiti. Ma saranno i migliori.

6In questo paese si legge poco, secondo il mio modesto parere perché non circolano belle storie. Si pubblicano centinaia di libri brutti ogni mese e di autori che non hanno letto i classici e non si vogliono selezionare storie belle da far leggere. In questo modo si impedisce di far conoscere le buone energie che innesca un buon libro e, così, si finisce per non far rendere conto di quanto sia bello, divertente, ma anche estremamente utile leggere. Quando capita tra le mani uno scrittore di talento o un romanzo capace di farci seguire una storia per comprendere o interpretare il mondo, diventa necessario soffermarsi, prendere tempo e fare buona divulgazione. Diventa quasi obbligatorio.
Uno di quegli scrittori che diventa necessario, obbligatorio far conoscere attraverso i suoi libri è proprio Filippo Tuena. Con “Le variazioni Reinach” ha vinto nel 2005 il premio Bagutta, e due anni dopo si è aggiudicato il premio Viareggio con “Ultimo parallelo”. È anche autore di “Il volo dell’occasione” (1994; nuova edizione 2004), “Cacciatori di notte” (1997), “Tutti i sognatori” (1999, superpremio Grinzane-Cavour), “Michelangelo. La grande ombra” (2001; nuova edizione 2008), “Manualetto pratico a uso dello scrittore ignorante” (2010) e “Memoriali sul caso Schumann” (2015). Ha curato un’antologia dell’epistolario di Michelangelo Buonarroti (2002), I diari del Polo di Robert F. Scott (2009) e il volume fotografico “Scott in Antartide” (2011).

com-e-trascorsa-la-nottePartiamo dall’ultimo libro pubblicato per Il Saggiatore dal titolo “Com’è trascorsa la notte. Il sogno”.
Una notte trepida e incantata, interminabile, una notte animata da fate e folletti, da innamorati resi ciechi dai volubili capricci della passione, da attori che sfuggono al loro copione. È il Sogno di una notte di mezza estate, che Filippo Tuena rievoca esplorandone le profondità più nascoste, impadronendosi del testo shakespeariano e lasciandosene possedere, per dare vita a un romanzo che è, insieme, un atto d’amore nei confronti della letteratura.
E di una donna misteriosa, sfuggente come una princesse lointaine della tradizione cortese, a cui uno scrittore senza nome rivolge un lungo canto, convocando i personaggi di William Shakespeare – Ermia e Lisandro, Teseo e Ippolita, Titania e Oberon, Bottom con la sua testa d’asino e il beffardo Puck – perché intessano una volta di più le loro trame e, così facendo, lo aiutino a riconquistare l’amata. Paradigmi di una fenomenologia dell’amore sensuale, effimero, gioioso o incomunicabile, destinato alla sconfitta eppure irreprimibile, questi personaggi diventano – in “Com’è trascorsa la notte” – emblemi di una condizione universale, trasfigurata, nelle ultime pagine, in visioni del cosmo in cui corpi celesti e corpi umani sembrano soggetti alle stesse forze di attrazione e ripulsa.
L’esito è una sinfonia di riprese, contrappunti e variazioni, il cui inestricabile fil rouge è il magico distillato di viola del pensiero che, versato sulle palpebre degli addormentati dal folletto Puck, fa cadere chiunque nell’incantesimo d’amore, o funge da narcotico per lenire l’amarezza che sorge insostenibile quando ci si rende conto che il domani sarà doloroso e l’amato perduto per sempre. Seguendo la scia di questo distillato portentoso, Filippo Tuena compone un romanzo immaginifico in cui saggio e narrazione si fondono in un’armonia gioiosa e perturbante, intima e fiabesca. E trascina il lettore, pagina dopo pagina, a un finale inatteso e spiazzante, in cui amore e morte giungono a coincidere in un ultimo atto, in un ultimo attimo di sogno.

GBE009“Un libro essenziale e nobile” così qualcuno ha definto quello che per me è il piccolo capolavoro di Filippo Tuena dal titolo “Le variazioni Reinach”. Libro Vincitore del Premio Bagutta nel 2006, è stato pubblicato per la prima volta nel gennaio del 2005, per essere poi rieditato dalla casa editrice NUTRIMENTI-BEAT Biblioteca Editori Associati.

Un libro tanto amato dai lettori, osannato dalla critica, premiato al Bagutta come “una delle opere più belle e intense degli ultimi anni” uscito nel 2005 per Rizzoli. La tragica vicenda della famiglia Reinach lo scrittore ha deciso di raccontarla nuovamente, a distanza di dieci anni dalla prima edizione,costruendo intorno ad essa un piacevole, affascinante e ipnotizzante romanzo. Il lavoro di revisione compiuto dall’autore per questa edizione ci consegna una versione completamente rinnovata di quello che è stato riconosciuto tra i più importanti romanzi sull’Europa delle guerre mondiali e la Shoah: la storia vera di una ricca e colta famiglia ebrea, figlia di una società spensierata sino alla sventatezza, che nel giro di pochi decenni finirà vittima delle persecuzioni razziali. Un’opera complessa, una ricerca approfondita sui fatti storici che hanno visto protagonista l’Europa del ventesimo secolo, sulle tragedie pubbliche e private che hanno travolto famiglie e generazioni. Ripercorrendo le vicende di questa ricca famiglia, Filippo Tuena ricostruisce una tragica verità, riordina documenti e testimonianze di vivi e di morti, sottolinea ed esalta l’importanza della memoria che restituisce a nuova vita un passato sepolto.
Nella Parigi d’inizio Novecento, il matrimonio tra Léon Reinach e Béatrice de Camondo unisce le sorti di una stirpe di banchieri di origine tedesca con quelle dei nobili Camondo, il cui capofamiglia, il conte Moïse, anch’egli facoltoso banchiere, ha cresciuto i propri figli nel lusso e negli ozi salottieri, circondati da un compiaciuto stuolo di letterati, dame e artisti, gli stessi frequentati e immortalati nelle abituali occasioni mondane da Marcel Proust.
Eredi di questo mondo in declino, che la Grande Guerra aveva iniziato a falcidiare dei suoi elementi più giovani, i figli di Béatrice e Léon – l’inquieto Bertrand e Fanny elegante cavallerizza – si ritrovano a vivere tempi funesti e tragicamente estranei a quell’epoca di fasti effimeri, trascinati infine insieme ai genitori nell’abisso della follia nazista. Un libro attentamente documentato. Investigando tra vecchi cimeli, documenti d’archivio e i ricordi fumosi di chi è stato testimone, uno scrittore ripercorre l’incredibile vicenda dei Reinach ricostruendo frammento dopo frammento i destini individuali, mosso anche dalla ricerca di una sonata perduta di Léon Reinach ritrovata ottant’anni dopo la sua prima esecuzione (e che grazie a questo libro è tornata in repertorio).
Con “Le variazioni Reinach” Tuena compone un grande romanzo sul Novecento che è al tempo stesso un libro sui padri e i figli, sul senso dell’eredità e della memoria o, come scrive l’autore, “un libro sulla nostalgia e sul conflitto tra il presente e il passato che giace e che però fortemente desidera ritornare in vita”.

 

GGW023Sempre per Nutrimenti, per cui Filippo Tuena cura la collana Tusitala, alcuni anni fa è uscito un singolare romanzo dal titolo “Stranieri alla terra”, che è stato anche finalista XXXI Premio Letterario Giovanni Comisso 2012.

Uno scrittore disamorato e tradito dalla memoria, incarnazione o fantasma di Hemingway, baratta, a colloquio con una donna, parole di Spagna e ricordi di corride. Georges-Hippolyte Géricault naufraga pigramente nella solitudine come la zattera della Méduse, abbandonata nell’oceano in uno scempio di corpi e consegnata alla storia della pittura da un padre tormentato e mai conosciuto. Il generale ‘Stonewall’ Jackson, ferito mortalmente da fuoco amico nella battaglia che fu il suo capolavoro strategico; il cornettista Bix Beiderbecke, accompagnato da un complice in uno sconnesso e disperato attraversamento delle vie di Manhattan alla volta dell’ospedale Bellevue. E poi il viaggio della memoria di uno scrittore, in motocicletta sulle strade d’Italia per tornare a Roma, alla casa di famiglia, ai corridoi e le tappezzerie, le foto d’infanzia, i genitori, al catalogo amaro degli scomparsi e di quello che resta. Con un’eccentrica tappa conclusiva, vivida allegoria dell’incompiutezza, al complesso fiorentino di San Lorenzo e alla Sagrestia Nuova, esempio magnifico dell’arte di Michelangelo. È sul tema dell’estraneità, e dell’estraniamento, che si gioca questo romanzo atipico, allo stesso tempo mosaico di storie e flusso organico, galleria di ritratti e opera autobiografica, che porta a compimento una lunga riflessione, estesa nel tempo e nello spazio, attorno al mestiere del narrare. Un tessuto di voci rarefatte, di suoni sommessi o silenzi carichi di attese, accompagna e commenta le gesta umane dei personaggi, impegnati in età diverse, e per diverse manovre del caso, a compiere il loro viaggio unico e ultimo, il viaggio verso l’orizzonte, la fine del cammino.
copertinacacciatorisito-jpg1Altro nostro Consiglio di lettura intorno ai tanti libri di Filippo Tuena non può non essere “Cacciatori di notte” ripubblicato recentemente da Corrimano Edizioni nella collana Albergo Albert.
Una storia di misteri, di lupi mannari e di strani personaggi riuniti per caso da un’eredità. Il tutto è immerso nell’ atmosfera speciale delle villeggiature anni Sessanta. Cacciatori di notte è ambientato ad Anzio. Il litorale romano diventa il luogo della caccia al licantropo, dei sospetti incrociati, di un epilogo a sorpresa. Lo scrittore è figlio e nipote di celebrati antiquari – la galleria Tuena, in via Margutta, fondata dal nonno svizzero Fritz e gestita dai Cinquanta agli Ottanta dal padre Massimo, ha chiuso pochi anni fa – e ha trasferito nella letteratura la passione per l’ arte, gli oggetti e i libri rari.
Alla fine degli anni Novanta l’alter ego dell’autore è in viaggio verso una cittadina laziale dove sbrigherà le pratiche formali per potere ricevere l’eredità lasciatagli da una anziana zia. Nello scompartimento del treno, incontra un cacciatore di licantropi che narra la storia di misteriosi fatti di sangue avvenuti in quel luogo circa trent’anni prima. Il cacciatore, chiamato per curare il lupo mannaro che vive nella zona, racconta di aver prestato aiuto al maresciallo durante le indagini. I sospetti si concentrano su tre individui: il gestore un chiosco di bibite con la fama da seduttore, un pittore di anamorfosi e un venditore ambulante. Ma prima che il mistero sia risolto nella cittadina avviene un nuovo misterioso omicidio.

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A proposito di libri che è obbligatorio far conoscere per soffermarsi sulle cose, prendere tempo, riflettere, interpretare, comprendere il mondo…Una domenica mattina di fine settembre ci siamo svegliati e dopo il caffè abbiamo trovato su Robinson, il prestigioso inserto culturale de La Repubblica, i Consigli di Lettura della Libreria Diari di bordo. Come è nostro costume non abbiamo voluto dare consigli semplici o che strizzassero l’occhio alla banalità. E neanche abbiamo voluto tener conto dell’anno di pubblicazione, perchè per noi UN LIBRO È PER SEMPRE E SUGLI SCAFFALI NON SCADE MAI. Abbiamo infatti scelto “Fratelli di sangue” di Ernst Haffner edito da Fazi nella traduzione di Madeira Giacci, “Il Diritto all’Allegria” di Mario Benedetti edito da Nottetempo nella traduzione di Stefania Marinoni e infine ” I Mondi Reali” di Abelardo Castillo, edito da Del Vecchio nella traduzione di Elisa Montanelli.

 

fratelli-sangue-light-672x1024Ben poco si sa di Ernst Haffner, autore di “Fratelli di sangue”. È stato giornalista e assistente sociale a Berlino tra il 1925 e il 1933. Poi è scomparso, presumibilmente nel corso della seconda guerra mondiale, in circostanze misteriose con l’avvento del nazionalsocialismo. “Fratelli di sangue” è il suo primo e unico romanzo, nonché la sola traccia che si è lasciato alle spalle.

Nel romanzo siamo a Berlino, primi anni Trenta. La città pullula di adolescenti senzatetto. Alcuni sono orfani, altri sono stati abbandonati dalle proprie famiglie, altri ancora sono fuggiti dagli orfanotrofi e dai riformatori per trovare un senso di appartenenza in una delle molte gang di strada. Quella dei Fratelli di sangue è una di queste, formata da otto minorenni che si aggirano tra i vicoli nei dintorni di Alexanderplatz, vivendo di piccoli furti e prostituzione e costantemente in fuga dalle forze dell’ordine. Uniti da una catena invisibile fatta di regole non scritte, cercano il proprio posto nel mondo e sono avidi di libertà. Insieme a loro ci addentriamo nelle viscere dell’underworld di una Berlino gelida, disperata, affamata: bettole maleodoranti dove la musica imperversa fin dal mattino, teatri abbandonati trasformati in ospizi di fortuna, spettrali luna park dove prostitute bambine si offrono per un paio di giri di giostra. Un universo popolato da vagabondi e vecchi mendicanti, da artisti di strada e suonatori invalidi, da gigolò, borsaioli e spazzaneve, raccontato con il realismo più crudo, senza lasciare spazio a pietismi. Una storia vera e necessaria di amicizia e disperazione, ma soprattutto un profetico documento storico, una testimonianza dell’atmosfera di apocalittica decadenza che dominava la Germania alla vigilia dell’ascesa del nazionalsocialismo. Uscito per la prima volta nel 1932, il libro fu bruciato nei roghi nazisti. Il romanzo viene oggi finalmente ripubblicato con grande successo in Europa e negli Stati Uniti.

 

il-diritto-allallegria-d509Il secondo titolo scelto è “Il Diritto all’Allegria”. Tutta l’ironia e la tenerezza, l’estro e la malinconia, l’incanto e il disincanto di Mario Benedetti trovano il loro culmine in questo libro pubblicato nel 2007, due anni prima della sua morte. Composto di brevi testi in cui si alternano racconti e riflessioni, aforismi e giocose intemperanze della lingua, elogio della vita e ricognizione della morte, le minuzie di ogni giorno e le grandi domande inevase dell’esistenza, Il diritto all’allegria è una collezione dei temi, delle passioni e delle ossessioni del grande scrittore uruguaiano, messaggi in bottiglia lanciati dalla “chiatta dell’utopia”. Tra dèi latitanti e rapaci padroni della terra, guerre e mercati, in mezzo all’assurdità di questo “millimetro di universo che ci è toccato in sorte”, Benedetti irride ogni potere e salva quello che resiste: alberi, uccelli, stupori, i sentimenti che danno “colore al mondo”, la vertiginosa fragilità dell’essere umano, i piedi degli scalzi, le parole che respirano “all’aria aperta”, fuori dai dizionari. E, non ultimo, l’irriducibile “diritto all’allegria”, malgrado tutto.
Mario Benedetti (1920-2009), è stato uno dei massimi narratori e poeti del Novecento. Ha cominciato a guadagnarsi la vita come commerciante, contabile, impiegato, giornalista e traduttore. È stato direttore del Centro di Ricerche Letterarie della “Casa de las Américas” all’Avana, e del Dipartimento di Letteratura Latinoamericana, dell’Università di Montevideo. Dopo il golpe militare del 1973, ha rinunciato all’incarico universitario ed è partito in esilio, durato 12 anni, prima in Argentina, poi in Perù, a Cuba e in Spagna. Nel 1999 ha ricevuto il prestigioso Premio di Poesia Reina Sofìa. Tradotti in Italia: “Racconti” (Multimedia, 1995), “Inventario: poesie 1948-2000” (Le Lettere, 2001), “Grazie per il fuoco” (La Nuova Frontiera, 2011) e “Fondi di caffè” (La Nuova frontiera, 2013).
“Chi di noi”, del 1953, è il suo sorprendente romanzo d’esordio. “La tregua”, pubblicato da nottetempo nel 2006 e rilanciato nel 2014 con grande successo, ha ricevuto il Mix Prize 2015.
1434445056559-castillocoverdefAbbiamo, poi, scelto di suggerire “I mondi reali” per onorare quel grande narratore, drammaturgo, critico e poeta che è stato Abelardo Castillo, morto lo scorso 2 maggio. Con oltre sessanta racconti all’attivo, quattro romanzi e quattro pièce teatrali, senza contare gli innumerevoli articoli e prefazioni, rimane uno degli scrittori attualmente più conosciuti in Argentina. Fin dagli anni Sessanta, si è imposto non soltanto come uno degli scrittori più innovativi del panorama letterario argentino, ma anche come figura chiave nel dibattito ideologico–culturale dell’epoca. È stato, infatti, direttore di tre delle riviste letterarie più importanti del Paese («El grillo de papel» 1959–60, «El escarabajo de oro» 1961–64, «El ornitorrinco» 1977–86) a cui collaborarono personalità del calibro di Julio Cortázar, Ernesto Sabato, Miguel Ángel Asturias, Héctor Tizón e Carlos Fuentes. Fra le sue opere principali, Cuentos completos (Alfaguara) e i romanzi El que tiene sed (Emecé, 1985), Crónica de un iniciado (Emecé, 1991), El evangelio según Van Hutten (Seix Barral), unico testo tradotto in italiano (Il Vangelo secondo Van Hutten, Crocetti, Milano 2002).
In questi racconti pubblicati da Del Vecchio un paio di anni fa prendono vita vecchiette multimilionarie, barboni, adolescenti, criminali, i personaggi più disparati, perfettamente intagliati nel linguaggio, riportando continuamente in primo piano lo sfondo di un’Argentina nitidissima e insieme fuori dal tempo. Storie perturbanti, kafkiane, del “limite”, che hanno indotto la maggior parte dei critici a definire Castillo il più diretto erede di Julio Cortázar. E se in alcuni racconti spicca la vulnerabilità umana in tutte le sue sfaccettature, in altri, l’esistenza di mondi paralleli, la poesia e la bellezza, la frustrazione di uno scrittore fallito, la solitudine dell’incapacità d’amare, il tempo che ritorna o la morte sono il centro della narrazione. In alcune storie, elementi fantastici si congiungono a quelli umoristico–polizieschi o, ancora, è la vita di coppia che si fa simbolo della battaglia di sopravvivenza quotidiana. Ma per quanto le storie dei cuentos siano attraenti e originali, è lo stile inconfondibile di Castillo a dominare la scena. Una lingua semplice, incisiva ed elegantissima, che danza tra registri colloquiali, linguaggio infantile, monologo allucinato, ma senza mai rinunciare alla coloritura porteña. Ecco che figure e caratteri si distinguono mano a mano nell’affresco, contribuendo alla definizione di un’immagine complessa, permeata da un’ironia grottesca che fa riflettere inevitabilmente sulla condizione dell’uomo contemporaneo e sulle infinite possibilità del reale.

Nello Zaino di Antonello: Libri Contro l’Orgoglio dell’Ignoranza.
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