di Alice Pisu

Libraia e giornalista, al timone con Antonello Saiz dei Diari di bordo, libreria indipendente a Parma, con la rubrica "I libri di Alice"
Libraia e giornalista, al timone con Antonello Saiz dei Diari di bordo, libreria indipendente a Parma, con la rubrica “I libri di Alice”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Un quadro di normalità dalla cornice fragile”. La piena, Andrea Cisi

Letture. Prosegue il viaggio di Alice Pisu (Libreria Diari di bordo) nell’editoria indipendente per raccontare il nuovo romanzo di Andrea Cisi, La piena, minimum fax.

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“Ci riconosciamo dai crolli,/ la stessa parte che manca, /lo stesso muro che cede,/ quella polvere che s’alza a prendere te/ e prende anche me./ Sono le comuni demolizioni,/ a renderci affini”. È la Strategia dell’addio di Elena Mearini per raccontare la parabola di un amore che si spegne, della solitudine di essere in due, cercando di trovare un rifugio al dolore del silenzio, del vuoto di quelle parole taciute “che hanno i polsi legati”. Si ritroverebbe in quei versi Umberto, incapace di dare un nome a quella mattonella di marmo sui pensieri. Ha superato i trent’anni e quella vita che prima rappresentava un nido in cui rifugiarsi, costruito con la sua compagna Lisa e suggellato dalla nascita di un figlio, ora lo destabilizza, è diventato un quadro di normalità dalla cornice fragile.

Pesano ogni giorno di più quei lunedì di metallo e fibra in fabbrica, tra parole vuote, gesti ripetitivi e pensieri che vanno altrove, alla ricerca di un riparo, anche solo per l’idea di poter avere un’alternativa, un’altra vita possibile. Quando si rinuncia a parlare e si diventa sconosciuti che dividono lo stesso letto, quando dopo una telefonata non ci sono che “scalini invisibili. Io seduto sopra. Un buco, sotto”, una  voragine si apre sotto i loro piedi, e li ingoia, lentamente. “Ci sono momenti cannibali che i sogni pomeridiani sono così forti e cattivi che ti addormenti a occhi aperti e ti risvegli dopo un attimo credendo di essere stato via una vita, magari la tua. Momenti così lontani e privi di spessore, non riesci a distinguere la luce fioca del pomeriggio dal buio dei pensieri cannibali, in quei momenti”.

È il racconto delle fragilità umane, La piena di Andrea Cisi, minimum fax, quella di un uomo solo e di una coppia alla deriva, di una madre che vede crescere i propri figli vivendo lo sconforto di aver trascorso i suoi anni migliori con un uomo che immaginava perennemente una vita diversa, di un padre che “sa il marcio che ha dentro”, incapace di un gesto d’affetto e che diventa improvvisamente fragile a sua volta, con la malattia.  

Il senso ultimo risiede nel titolo che richiama al tempo stesso una piena interiore e una piena fisica, reale, quella che devasta i luoghi della provincia padana lasciando ferite aperte nei ricordi di chi ha passato una vita intera a vivere in funzione del fiume, raccontata ispirandosi a Campane sull’acqua di Ghisani e Dove non viene mai sera di Tortini. Quel Po denso come asfalto è lo stesso che trent’anni prima faceva da sfondo a foto ingiallite che immortalavano i fugaci momenti di spensieratezza di una coppia che sarebbe andata incontro a una vita di incomprensioni con in mezzo due figli. Quel Po in cui si rispecchia Umberto oggi, come a cercare risposte tra quelle acque, in un fiume che riflette le rive e ripete il racconto, come scrive Simona Baldanzi, e che può diventare luogo a sua volta, un portatore di storie. Andrea Cisi ne La piena riesce a rendere le inquietudini, le paure, le incertezze, il senso di precarietà emotiva, senza chiamarli mai per nome ma attraverso le descrizioni dei luoghi e del loro trasformarsi con il succedersi delle stagioni. Così, la profonda tristezza per la sensazione della fine di un rapporto può trasformarsi in neve, in quella neve attesa che in fondo è già caduta, dentro di lei, e il gelo di quel sentirsi estranei diventa come un vento freddo che si alza all’improvviso e soffia feroce su quelle vite, o quando si affaccia l’estate e cade inaspettata la pioggia e “Piove di giugno, piove e fa male all’uva e al mio umore che si muove in un labirinto e sente la piena arrivare”.

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Sono i luoghi a raccontare gli stati d’animo. Una Cremona perennemente ovattata dalla nebbia che potrebbe trasformarsi in Parigi, nei ricordi dei momenti felici di una coppia che oggi ripone in una casetta pittoresca in affitto la voglia di non rimandare più la vita. O una Venezia mai così malinconica, che accoglie l’ultimo tentativo di salvare ciò che Umberto e Lisa erano una volta, finendo in due caffè non bevuti rimasti nel tavolino di un bar sulla laguna e nella camera da letto condivisa come due estranei. E poco importa se nelle maglie di quella crisi finiscono anche le ossessioni di Umberto nei confronti di una donna che compare all’improvviso nei suoi pensieri per immaginare come sarebbe una vita diversa con lei perché, come scriveva Ottilia nel suo diario ne Le affinità elettive di Goethe, “Non siamo mai tanto lontani dai nostri desideri, come quando crediamo di possedere l’oggetto desiderato. Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo”.

Permane ancora uno spiraglio che è l’unico vero riparo, l’isola felice con soli due abitanti, Umberto e Alessandro, suo figlio di tre anni, “il nano”, che conosce a memoria le canzoni degli U2 e di Tiziano Ferro assieme alle quattro regole del fubbòl e ha come migliore amico un piccione di peluche di nome Povia. In quell’altrove la colazione la si prepara anche per il grufalò se mai dovesse passare per la cucina, e la sera la si passa tra canneti che per gli altri sono solo luoghi paludosi e covo di zanzare ma per loro due sono la ricerca della felicità in quell’avventura, quando serve solo una spada di gomma per scovare, prima o poi, quel maledetto tasso-cane. Si può fuggire ai giorni più tristi anche solo con una manciata di giorni in Riviera, proprio grazie a quelle risa del nano che annullano tutto il resto, quella voce che è cristallo puro, “un chiodo di felicità piantato sul cuore”.

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Nel raccontare un’esistenza alla deriva, Cisi riporta l’attenzione sul mondo della fabbrica italiana dopo il precedente Cronache dalla ditta del 2008, per dare voce dal suo interno a una realtà che riflette uno spaccato significativo del Paese. Temi su cui soprattutto negli ultimi decenni si è incentrata parte della narrativa italiana contemporanea, da Acciaio di Silvia Avallone al racconto del mondo del precariato di Michela Murgia al romanzo d’esordio di Ginevra Lamberti con La questione più che altro. Con una vena tragicomica Cisi mette in scena dialoghi al limite del surreale tra persone all’apparenza molto lontane tra loro, che sembrano non riuscire a comunicare se non nello scambio di battute maschie o nel toto precario sui nuovi arrivati. In quelle otto ore al giorno ad assemblare scatolette scorre la vita, e a volte ci si può anche lasciare andare a riflessioni amare sui progetti mancati, su figli in arrivo non attesi, sulla voglia di immaginare una vita diversa, lontana da quei lunedì di metallo e fibra.

A segnare un margine netto rispetto al resto della narrativa è la profonda sperimentazione sul linguaggio e sulla struttura del romanzo, che non si presentano mai lineari ma seguono l’incedere emotivo dei suoi protagonisti. E così, accanto ad ampie descrizioni così minuziose da sembrare parole per immagini,  si possono raccontare inquietudini in un linguaggio vorticoso privo di punteggiatura per una pagina intera, o rendere il moto delle ossessioni con frasi secche fatte di una parola sola, alternate da monologhi interiori che restituiscono i pensieri che Umberto vorrebbe scacciare dalla mente, magari smettendo di pensare. Ne La piena ci sono immagini fatte di parole che rendono il dolore di una madre raccontato descrivendola china su un tavolo ricolmo di funghi chiodini stesi ad asciugare su uno strofinaccio, con i suoi bigodini in testa mentre si alliscia pensierosa la peluria del viso, vivendo lo sconforto di chi è sempre stato l’ombra di qualcun altro, di quel marito da camice bianco e notti al bar.

Attraverso storie minime, nel trionfo della normalità, ne La piena si apre una profonda riflessione sul senso dell’esistenza, colta nel momento in cui si ha la percezione di non trovare più alcun riferimento certo. “Siamo qui per inerzia, su quest’auto, su questa strada, in cerca di una serenità in questi giorni così confusi, in cerca di un senso alla deriva”. Lontano da trame a effetto e spettacolarizzazioni, Cisi racconta la precarietà esistenziale del nostro tempo, che impone una riflessione sul rapporto tra verità e finzione in letteratura. Raccontare solo ciò che si vive, non mentire a se stessi è l’esortazione di Čechov nei consigli di scrittura in Ne per fama, ne per denaro, minimum fax. Tra gli scrittori definiti immortali, ricorda Čechov in una lettera a Suvorin, i migliori sono realisti e “ritraggono la vita com’è, ma per il fatto che ogni loro riga è impregnata, come da un succo, dalla consapevolezza dello scopo voi, oltre a sentire la vita com’è, la sentite anche come dovrebbe essere, ed è questo che avvince”. Roberto Bolaño ne L’ultima conversazione, Sur, tra i postulati di quella sorta di programma politico che è la letteratura allude all’incubo o al sogno benevolo di quella che chiamiamo realtà, il resto sono le briciole che permangono. In quelle riflessioni Bolaño parla idealmente al lettore, ricordandogli che in fondo ciò che permane è illusorio e la ragionevolezza non è che “un fragile steccato che ci impedisce di precipitare nell’abisso”. Ecco perché la letteratura è in grado di fare qualunque cosa, anche entrare nelle maglie più profonde di un dolore in un giorno qualunque, mentre fuori piove di giugno. 

(Recensione uscita su Repubblica Parma, Letture di Alice Pisu. Libri, Parole e dintorni, 18 aprile 2017)

I Libri di Alice: La piena
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