di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

Ritratto di Donne Forti in Letteratura.

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Venerdì 22 settembre in Libreria abbiamo avuto il privilegio e l’onore di ospitare la grande autrice, cantante, attrice, scrittrice toscana Nada Malanima. La cantante di successi internazionali come “Ma che freddo fa” e “Amore disperato” ha scelto di incontrare il pubblico dei Diari e firmare le copie del suo ultimo libro “Leonida”, pubblicato da Edizioni di Atlantide.
5Una grande artista capace di passare dalla musica, al teatro, alla scrittura con un’invidiabile nonchalance e credibilità. Da anni macina chilometri e cavalca palchi passando da un club rock ad un festival. Ha fatto della pancia e del cuore il fulcro attorno al quale far girare l’urgenza del suo messaggio musicale che ancora oggi affascina e suggestiona il pubblico. Nella musica non si è fermata e ha continuato a sperimentare facendo dimenticare quasi la cantante di successo, simbolo degli anni ottanta ma pure il pulcino di Gabbro degli anni sessanta. Con dischi raffinati e indipendenti prodotti da un genio come John Parish e accompagnandosi a gruppi giovani come gli Zen Circus, i Criminal Jokers o la A Toys Orchestra, è andata a conquistarsi una credibilità con la sua magnifica voce. Essendo una delle artiste più originali e coraggiose, da anni, con la sua voce unica e inimitabile dà corpo e parole alle proprie opere musicali, teatrali e in questo caso letterarie. La voce unica di Nada è, paradossalmente, dentro anche a questo ultimo magnifico libro. Una scelta politica significativa e forte da parte della musa della musica indipendente italiana, quella di passare da una piccolissima libreria dai corridoi stretti.
3‘Leonida’ è la sua quarta fatica letteraria giunta ormai alla quinta ristampa. Nella sua recente carriera di scrittrice si contano altre tre opere pubblicate: la raccolta di prose e poesie ‘Le mie madri’ (Fazi, 2003), l’autobiografico ‘Il mio cuore umano’ (Fazi, 2008) e il romanzo ‘La grande casa’ (Bompiani, 2012).
“Leonida” è un romanzo che parla di famiglia, identità, dello scorrere del tempo, che vede protagonista una ragazza che sembra non riuscire ad aderire al mondo che le sta attorno e attraversa la vita allontanandosi dalla propria famiglia, da un’infanzia in cui non ha avuto amore, da una madre che non ha saputo né voluto esserle madre, da un uomo e poi da una donna che hanno avuto il suo corpo ma non il suo cuore, da una figlia non desiderata, dal proprio Paese, dal proprio nome e anche da se stessa. Leonida, questo il nome della protagonista, appare come una statua di marmo, nulla la scuote per davvero, incapace come è di sentire o provare alcuna emozione. Solo un regalo inaspettato pare scuoterla, permettendole di affrontare se stessa e riscoprire la propria identità e il proprio posto nel mondo con gli altri. Un regalo inaspettato, una libreria appunto, che forse non voleva neppure essere un regalo, e che la porterà ancora più lontano, a affrontarsi e infine a riconoscersi, quando tutto invece sembra avere perso di senso e l’amore essere sparito per sempre. Soltanto allora forse imparerà ad essere figlia, madre, amante, imparerà veramente la morte e la vita che ricomincia, sempre. Un ritratto di Donna forte Leonida da bambina incompresa, con madre assente, che diventa grande, soffre, lotta per cercare la sua identità, ritrova se stessa attraverso un ritorno alle sue origini.

12967407-1011554975590916-4375396163982903228-oLeonida è pubblicato da Edizioni di Atlantide, una casa editrice che ha imposto un nuovo modello editoriale e culturale. Fuori dal tempo, fuori dai format, fuori dalle convenzioni: 10 titoli l’anno, 999 copie per ciascun volume, e testi venduti nelle librerie indipendenti e in abbonamento.
Simone Caltabellota, già direttore editoriale di Fazi Editore e di Lain, insieme a Gianni Miraglia (marketing manager), Flavia Piccinni (responsabile redazione) e al direttore di produzione Francesco Pedicini, ha aperto da oltre un anno e mezzo a Roma questa nuova piccola casa editrice indipendente di qualità. Atlantide, non senza ambizione, pubblica capolavori dimenticati e testi destinati a diventare i classici di domani, in tirature limitate e numerate distribuite attraverso una rete di librerie fiduciarie indipendenti e direttamente da internet. Atlantide non è, quindi, presente né su Amazon né nelle grandi catene. I primi tre libri sono stati il saggio storico-critico di Adriano Tilgher “Filosofi Antichi”,una graphic novel ante litteram, “Tomaso” di Vittorio Accornero, splendido romanzo illustrato degli anni Quaranta e uno dei capolavori dimenticati della letteratura americana del Novecento, “Ritratto di Jennie” di Robert Nathan.

ritratto-jennie“Ritratto di Jennie” nella nuova traduzione di Simone Caltabellota era stato pubblicato originariamente nel 1940 e portato al cinema da William Dieterle e interpretato da Joseph Cotten e Jennifer Jones. In Italia è stato pubblicato l’ultima volta nel 1958 da Mondadori. Sia libro che film ancora oggi mantengono un fascino quasi sovrannaturale, una bellezza fuori dal tempo. Una sera d’inverno Eben Adams, giovane pittore in preda al senso di inadeguatezza e alle crisi tipiche degli artisti che non trovano successo e a cui senso delle loro fatiche sembra sempre più distante, incontra Jennie, camminando per Central Park: lei è soltanto una ragazzina che gioca da sola. Si parlano e lui non è subito consapevole dell’incanto che nasce e che lo legherà a lei per sempre. Nemmeno dà il peso dovuto, quando lui le chiede quale sia il suo desiderio più grande, e la bimba, in modo candido e misterioso, risponde semplicemente: “Vorrei che tu aspettassi che io diventi grande”. Jennie sembra essere lì da sola e per qualche motivo inizia a camminare insieme ad Eben e a parlare con lui. Eben non può certo saperlo, ma da quel momento la sua vita e il suo modo di vedere il mondo cambieranno per sempre e lui scoprirà cosa significa essere un artista e, soprattutto, cosa significa amare. Il gallerista cui Eben si rivolge con la sua carpetta di disegni sembra interessato solo al ritratto di Jennie e, quando Eben la rivede, ne dipinge un ritratto: uscirà la sua opera più bella. Ma questo è poco rispetto alla magia che la presenza intermittente di Jennie compie col tempo. Il protagonista scopre che lei appartiene a un’altra epoca e scopre anche cose, di se stesso, che non immaginava.
Ritratto di Jennie, capolavoro dimenticato della letteratura americana del Novecento, è la storia meravigliosa di un amore che sfida il tempo e la morte, uno dei romanzi fantastici più originali mai scritti e una toccante riflessione sulla natura dell’amore e sul destino. Un libro non catalogabile e posizionato al di là del tempo, perché parla appunto del tempo, ma lo fa attraverso gli eventi, le percezioni, i desideri,anche quelli disattesi, la crezione e la distruzione, il trascorrere quotidiano dei gesti e dei respiri, i piccoli fallimenti, le comunanze. L’amore. Una vicenda di ritorni, saluti, sospensioni, scritta con uno stile minimalista ma che non rinuncia a nulla, nemmeno a momenti di alta poesia. Qui ciascuno, anche senza volerlo, ritrova un po’ di se stesso e della persona che ama. O che ha amato. 

lerba di ventoAltro Ritratto di Donna forte è quello di Angela, protagonista del libro della scrittrice italo-tunisina Marinette Pendola, dal titolo “L’erba di Vento”, Arkadia Editore. Ci eravamo conosciuti nella Barbagia di Seulo, nel cuore della Sardegna più autentica, una fredda sera dell’estate scorsa con Marinette e suo marito Edoardo. Ed è stato subito fare famiglia, mangiando assieme alla stessa tavola. Naturale che scattasse l’invito a venirci a trovare a Parma ai Diari, e sabato 23 settembre abbiamo realizzato questo nuovo incontro per poter parlare di Donne ed emancipazione e di terre di confine e migrazioni e integrazioni, partendo proprio dalla storia contenuta nel suo libro.

Angela, una ragazza di paese che vive in solitudine insieme alla madre ai margini di un borgo siciliano non lontano da Partinico, è considerata dagli altri una persona problematica, incapace di vivere una vita come tutti. Condannata a subire scelte non sue, non vuole sposarsi e si ritrova moglie di mastro Filippo, un guaritore di campagna. Non vuole essere toccata e subisce i rapporti coniugali. Non vuole emigrare e affronta il mare da clandestina. Non vuole nessuno in casa e si trova a dover ospitare Rosalia con il marito, la ragazza che al paese la scherniva. Con la tenacia della parietaria, l’erba di vento, la protagonista si aggrappa a quel poco che la vita le concede e subisce tutto adattandosi man mano alla realtà fino al giorno in cui scopre che Rosalia è diventata l’amante di suo marito. Da quel momento si darà da fare per raggiungere un obiettivo: ritrovare la quieta solitudine della giovinezza.

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Marinette Pendola è nata a Tunisi da genitori di origine siciliana. Insegnante nelle scuole superiori di lingua e letteratura francese, vive a Bologna e fa parte del gruppo di lavoro “Progetto della memoria” istituito dall’ambasciata italiana a Tunisi negli anni Novanta, cui sono legate numerose pubblicazioni, tra cui “L’alimentazione degli italiani di Tunisia” (Tunisi, Finzi, 2005), “Gli Italiani di Tunisia. Storia di una comunità” (Editoriale Umbra, 2007).
I suoi studi hanno ispirato anche “La riva lontana” (Sellerio, 2000), romanzo autobiografico che ripercorre un’infanzia tunisina nel periodo coloniale e “La Traversata del Deserto” ( Arkadia Editore).

7929598Altra donna Forte arrivata in libreria questa settimana è Sarah Manguso autrice di “Andanza. Fine di un diario”, pubblicato da NN Editore nella collana La stagione con illustrazioni di Marco Petrella e nella traduzione di Gioia Guerzoni.
Libro sulla memoria e il ricordo. Sarah Manguso ha sempre tenuto un diario. Per venticinque anni, il diario è stata la risposta al dilemma della memoria e alla paura di svanire nel nulla.
Come lasciar scorrere il tempo senza perdere ogni singolo istante? Come prestare davvero attenzione e trovare il senso della vita? Poi, la vita le ha suggerito le cose: il matrimonio, la maternità, un figlio, le perdite, l’arte, la scrittura. E il diario si è sciolto e ricomposto in questo libro, che è una danza a piccoli passi, un’andanza, intorno alla parola fiducia.
Sarah Manguso vive a Los Angeles ed è autrice di short stories, poesie, memoir, tradotti in cinese, tedesco, portoghese e spagnolo. Ha ottenuto il supporto della Guggenheim Fellowship e della Hodder Fellowship e le sue raccolte di poe­sia “Siste Viator” e “The Captain Lands” in “Paradise” hanno vinto il Pushcart Prize. I suoi saggi sono apparsi su Harper’s, McSweeney’s, The Paris Review, The New York Review of Books e sul New YorkTimes Magazine. “Ongoingness” (di prossima pubblicazio­ ne per NNE) è stato nominato “Editors’ Choice” del NewYorkTimes.

260-DUNJAAltro grande ritratto sulla forza di una Donna è contenuto all’interno di un libro che ho tanto amato e che, a distanza di tempo, non mi stanco di segnalare: “L’ultimo amore di Baba Dunja” di Alina Bronsky. La protagonista è una donna di tanti anni, una ex infermiera, una vecchia tenace, che contro il parere di tutti torna a vivere a Cernovo, un paese abbandonato da dopo lo scoppio nucleare nelle vicinanze di Chernobyl.
Baba Dunja, mezzo secolo dopo l’incidente di Chernobyl,torna a casa sfidando le radiazioni e tra amori tardivi, vicini malati, stranieri pericolosi, si ritaglia un piccolo paradiso di pace in un luogo fuori dal tempo ma che profuma di casa.
Nel paese natio insieme a poche anime, della sua stessa generazione, che si sono via via aggiunte, si tenta di ricominciare a vivere. Perché la vita è ancora bella, nonostante l’età e nonostante intorno ci siano frutti di bosco dalle forme strane, uccelli particolarmente chiassosi, ragni che tessono instancabili le loro tele e persino lo spirito di qualche morto che si affaccia in strada per una chiacchierata.
Le giornate scorrono per il malato Petrov che legge poesie d’amore sulla sua amaca, per la corpulenta Marja che non sa dire addio al proprio gallo Konstantin, per Baba Dunja che scrive lettere alla figlia Irina, chirurgo in Germania, fino a quando uno straniero arriva in paese con la sua bambina e il tran tran della piccola comunità di ?ernovo viene sconvolto…
Poetico, divertente, intelligente, questo romanzo è una fiaba moderna che svela tutto il talento di Alina Bronsky nel dipingere un paese morente che torna invece a vivere grazie a insoliti personaggi e soprattutto a Baba Dunja, una donna eccentrica e speciale, determinata a realizzare in tarda età la sua personale versione del paradiso in terra proprio in un luogo che a tutti quasi tutti sembra dimenticato da Dio. Baba Dunja, con la sua forza e il suo essere libera, riempe la storia con un gioioso brio e facendo capire che il bello della vecchiaia è che non devi chiedere permesso a nessuno.

il-mio-vietnam-d519C’è una donna molto forte, sorridente edesuberante, che si chiama Kim Thúy, già autrice del pluripremiato libro “Riva ” e sempre per Nottetempo é uscito questo anno il bellissimo “Il mio Vietnam”. La scrittrice è stata, a inizio settembre, ospite al Festival Letteratura di Mantova con grande successo intrattenendo il pubblico con una bella lezione sulle migrazioni e le integrazioni.
L’autrice ha lasciato il Vietnam da bambina, quando il mondo non lasciava altro che una scelta a intere generazioni: dove morire, se in guerra o in mare nel tentativo di emigrare. Inevitabile allora, di fronte a una tale sentenza, pensare all’attualità: «Quando ci si chiede “Perché si ostinano a emigrare, nonostante tutto?” io ricordo che non avevamo paura perché eravamo già morti».
Dalle barche si passa ai campi profughi, dove per il cibo somministrato si prova gratitudine ma a costo di far morire, ogni volta che lo si accetta, un po’ della propria dignità. La condizione di apolidìa e di non-appartenenza si scioglie grazie all’accoglienza di un paese, il Canada, che a differenza di altri ha deciso di considerare i migranti come una risorsa e una parte integrante invece che come invasori. Kim Thúy, nata a Saigon nel 1968 ha abbandonato il Vietnam all’età di dieci anni insieme alla propria famiglia e ad altri profughi vietnamiti. Rifugiata politica in Canada, è cresciuta a Montréal dove, dopo una laurea in traduzione e una in diritto, ha lavorato come interprete e avvocato. In seguito ha aperto un ristorante e si è occupata di critica gastronomica. I drammi della sua infanzia l’hanno spinta a raccontare ciò che ha passato insieme alla propria gente. Ne è nato “Riva”, un romanzo in cui una bambina di dieci anni si trova nel fondo di una barca piena di cattivi odori con la speranza di arrivare in Malesia e iniziare una vita migliore. Il suo talento narrativo trova conferma in “Nidi di rondine” (2014) e in “Il mio Vietnam” (2017). Nel mio Vietnam la protagonista di questo nuovo libro di Kim Thùy si chiama Vi e porta il destino nel suo nome: è “preziosa”, “minuscola” e votata alla riservatezza. Discendente di una ricca famiglia di Saigon, fugge dal Vietnam alla fine della guerra, seguendo il destino comune a molti notabili del Sud del paese. Dall’infanzia toccata dalla grazia del benessere nel microcosmo ovattato della famiglia al terribile viaggio nel mare in tempesta, dai campi profughi della Malesia all’emigrazione in Quebec, il racconto di Vi traccia un’accurata mappa di spazi, persone e atmosfere, cui la vita adulta aggiungerà nuove destinazioni e incontri, generando un atlante privato dei sentimenti e dei riti di passaggio. Fino al ritorno in Vietnam e all’amore per un uomo, che arriveranno a delineare un’ulteriore tappa del cammino dell'”invisibile” Vi verso la conoscenza di sé e la scoperta di quanto di “prezioso” custodisce, come una “mimosa pudica” che si ritrae al minimo sfioramento. Sicuramente è un ritratto di Donna forte quello di questa giovane ragazza di ottima famiglia, costretta ad abbandonare ogni certezza a causa della guerra e a passare dalla bolla ovattata in cui i suoi la precludevano alle mille difficoltà di un mondo estraneo e ostile, in cui un viaggio irto di insidie sembra ancora una volta la sola via di salvezza.
BIGSUR22_Whitehead_LaFerroviaSotterranea_coverChiudiamo con il segnalare una Donna coraggiosa e forte di nome Cora, una schiava di quindici anni in fuga dai suoi aguzzini e protagonista nel libro in libreria a partire da lunedì 25 settembre e pubblicato da Sur nella traduzione di Martina Testa e dal titolo “La ferrovia sotterranea”. Scritto da Colson Whitehead, il romanzo col titolo di «The Underground Railroad» ha conquistato già l’America e i suoi lettori.
Gli amici della Sur mi avevano mandato una copia pilota in luglio ed è proprio il libro che stavo leggendo quel venerdì in cui ho appreso della morte di mia madre. Ho continuato a leggerlo nei giorni successivi per dare continuità alla mia vita, che doveva riprendere dopo un altro lutto ancora. E in quella donna forte che si ostina a combattere ci ho voluto vedere tutta la grinta di mia madre nel tirare avanti con me e i miei tre fratelli.
William Thomas, il direttore della casa editrice Doubleday che ha appena pubblicato il nuovo romanzo di Colson Whitehead, The Underground Railroad, all’inizio dell’estate aveva spedito una lettera ai librai americani: «Faccio questa professione da 29 anni e ho imparato quanto sia pericoloso creare troppe aspettative su un libro in uscita. Per questo, di solito cerco di trattenermi. Ma quello che ha fatto Colson Whitehead è così straordinario che non posso rimanere in silenzio. The Underground Railroad mi ha profondamente turbato, tanto che dopo aver finito di leggerlo sono uscito in strada e ho cominciato a camminare, come sotto choc, per cercare di analizzare l’onda di emozioni che mi aveva travolto. Non mi vergogno a dire che ho pianto, più volte, leggendo questo romanzo… Mettere a disposizione del mondo libri come questo è il motivo per cui tutti noi abbiamo scelto questa professione così complicata. Magari state pensando che stia esagerando. Sono assolutamente certo che non la penserete più così quando avrete finito di leggere questo libro».
«La ferrovia sotterranea» è il nome con cui si indica, nella storia degli Stati Uniti, la rete clandestina di militanti antischiavisti che nell’Ottocento aiutava i neri a fuggire dal Sud agli stati liberi del Nord. Nel suo romanzo storico dalle sfumature fantastiche, Colson Whitehead la trasforma in una vera e propria linea ferroviaria operante in segreto, nel sottosuolo, grazie a macchinisti e capistazione abolizionisti. È a bordo di questi treni che Cora, una giovane schiava nera fuggita dagli orrori di una piantagione della Georgia, si imbarca in un arduo viaggio verso la libertà, facendo tappa in vari stati del Sud dove la persecuzione dei neri prende forme diverse e altrettanto raccapriccianti. Aiutata da improbabili alleati e inseguita da uno spietato cacciatore di taglie, riuscirà a guadagnarsi la salvezza? La ferrovia sotterranea è una testimonianza scioccante – e politicamente consapevole – dell’eterna brutalità del razzismo, ma si legge al tempo stesso come un’appassionante storia d’avventura che ha al centro una moderna e tenacissima eroina femminile. Unico romanzo degli ultimi vent’anni a vincere sia il National Book Award che il Premio Pulitzer, è un libro che sembra già destinato a diventare un classico.

Nello Zaino di Antonello: Ritratto di Donne Forti in Letteratura