di Giovanni Accardo

scrittore, docente, saggista e organizzatore di eventi culturali a Bolzano.
scrittore, docente, saggista e organizzatore di eventi culturali a Bolzano.

 

 

 

 

 

 

 

 

Anna Chiafele, Sfumature di giallo nell’opera di Luigi Malerba (Rubbettino, 2016, p. 216)

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“Per quanto abbia fatto ogni volta un uso anomalo di questo schema narrativo, ho constatato che esso mi permette di esaltare la qualità o i vizi di un personaggio, di rendere più espressivi i suoi turbamenti e più vitale la sua presenza.”

“Usare lo schema del giallo per me significa prima di tutto indagare il gesto più drammatico che può compiere un uomo, che è quello di togliere la vita a un altro uomo.”

È lo stesso Malerba, in due interviste raccolte da Giovanna Bonardi nel volume Parole al vento (Manni, 2008), la prima del 1989 e la seconda del 1994, ad ammettere l’uso e l’interesse per il giallo, sia pure, come egli stesso dichiara, in modo anomalo. Lo schema del giallo compare già nel primo romanzo, Il serpente (1966), sia puro in modo arbitrario e persino polisemico, ed è evidentissimo nel secondo romanzo, Salto mortale (1968), dove si consuma da subito un omicidio e si cerca l’assassino, anche se, come vedremo, morto e omicida parrebbero coincidere. Si è posta il problema e lo ha sviluppato in un volume estremamente ricco di analisi, Anna Chiafele, studiosa di romanzo giallo e antipoliziesco, docente di italianistica alla Auburn University in Alabama. Il libro s’intitola Sfumature di giallo nell’opera di Luigi Malerba (Rubbettino, 2016, p. 216) e l’autrice, oltre che nei due romanzi già citati, individua la presenza del giallo in testi che a tutta prima non ci aspetteremmo che abbiano elementi riconducibili a esso, ovvero Le pietre volanti (1992), La superficie di Eliane (1999), Il circolo di Granada (2002) e Fantasmi romani (2006).

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La Chiafele comincia la sua disamina mostrando e dimostrando l’interesse di Malerba per il giallo tradizionale, nonché la sua profonda conoscenza delle convenzioni che lo regolano, riconoscendo, però, una sua fonte in Borges, da cui probabilmente deriva l’uso labirintico che ne fa, in particolare privandolo della conclusione, ma anche per l’insistita presenza del paradosso. Nel giallo classico, scrive l’autrice, il romanzo si chiude con la soluzione dell’indagine, che ristabilisce l’ordine sociale improvvisamente destabilizzato dal crimine, e la soddisfazione sia dell’investigatore che del lettore. L’investigatore di un antipoliziesco, al contrario, non è in grado di trovare una soluzione univoca al caso; la circolarità della struttura narrativa non favorisce la chiusura, riaprendo continuamente la ricerca, col risultato che, “intrappolato in un circolo vizioso, il detective più si addentra nel mistero del reato e più crea mistero.” Ed è quello che succede nei romanzi di Malerba, dove “il giallo è solo un pretesto per discutere di mondi alternativi”, guidato più dal principio di indeterminazione di Heisenberg che dalla logica aristotelica. s-l225Nel Serpente, ad esempio, “gli eventi non portano ad alcuno sviluppo (…) il racconto dispone i fatti in un ordine diverso rispetto alla successione cronologica della storia stessa.” Ma in cosa consiste l’elemento giallo di questo romanzo? Il protagonista, un filatelico mitomane, si autodenuncia come omicida di Miriam, il cui cadavere, però, non viene trovato e addirittura si mette in dubbio la sua stessa esistenza. I fatti, insomma, esistono solo nell’immaginario del protagonista, la cui mente “si espande all’interno di un labirinto sconfinato di ipotesi.” Siamo in presenza di un protagonista-narratore inattendibile; il filatelico, infatti, si rivela subito un visionario che afferma e nega subito dopo, rendendo i fatti raccontati al commissario che indaga privi di qualunque consistenza oggettiva. Il suo desiderio di mettere ordine, come fa il detective di un giallo tradizionale, dunque fallisce.

image_bookUn giallo anomalo o capovolto è anche il romanzo successivo di Malerba, Salto mortale, in cui, secondo l’analisi di Anna Chiafele, “l’assurdità della realtà si mescola all’immaginazione, alla fantasia e al sogno e per questo è impossibile tracciare una netta scissione tra loro.” Protagonista e narratore è Giuseppe detto Giuseppe, un rigattiere che vaga per la campagna alla ricerca di cianfrusaglie e che s’imbatte in un cadavere; non fidandosi della polizia, inizia un’indagine personale che si rivela subito labirintica e circolare. Giuseppe, infatti, torna continuamente indietro, pur credendo di andare avanti, in una costante frantumazione delle coordinate spaziali e temporali, rivelandosi incapace di distinguere passato e presente; di conseguenza gli avvenimenti della narrazione mutano continuamente, provocando una vertigine di salti mortali. Ma anche i personaggi, come accade spesso nella narrativa di Malerba, si rivelano evanescenti, a partire dal protagonista, chiamato Giuseppe detto Giuseppe, costretto a questa ridondanza tautologica per distinguerlo dagli altri protagonisti maschili, tutti chiamati Giuseppe. Mentre l’unica presenza femminile si moltiplica in una lunga sequenza di nomi che sono tutti filiazioni di Rosa: Rosalba, Rossanda, Rosangela, Rosanna, ecc. Ma probabilmente, è questa la tesi dell’autrice del saggio, sono soltanto proiezioni del protagonista e tutto avviene nel suo immaginario, dando vita a un giallo che è sostanzialmente linguistico. Come non è possibile stabilire con certezza una corrispondenza univoca tra significato e significante, allo stesso modo non è possibile distinguere l’assassino dall’assassinato; anzi, alla fine del romanzo il lettore sospetta che Giuseppe detto Giuseppe possa essere sia l’uno che l’altro.

Ma estremamente interessante è la lettura che la Chiafele fa dei due romanzi fin qui descritti in chiave narratologica, cioè come riflessione che Malerba implicitamente mette in atto sia sui meccanismi della narrazione che sulla relazione tra mondo finzionale e mondo reale.

md19182038436L’elemento che mi pare di assoluta novità in questo densissimo saggio critico è l’analisi del romanzo Le pietre volanti in chiave di antipoliziesco o di giallo anomalo. I primi due romanzi di Malerba, infatti, hanno avuto diversi lettori che li hanno interpretati come gialli, mentre questo libro del 1992, a quel che mi risulta, è la prima volta che viene letto in questa chiave. Il romanzo si presenta, secondo una tecnica ampiamente usata dallo scrittore, ovvero quella del libro nel libro, come il diario scritto dal protagonista Ovidio Romer nel capodanno del 2000, dunque con una leggera sfasatura temporale, col preciso obiettivo di riordinare gli avvenimenti misteriosi della sua vita e dargli così un senso. La prima cosa che colpisce la Chiafele è l’affermazione del protagonista che dichiara di non essere mai riuscito a leggere un giallo a causa delle sue astruse geometrie, ma anche perché non sopporta che tutta l’attenzione sia rivolta alla ricerca dell’assassino, trascurando la vittima. Già da queste parole, l’autore del romanzo lascia trasparire il suo interesse per il giallo, sia pure attraverso le parole del protagonista. D’altro canto il mistero caratterizza la vita di Ovidio e della sua famiglia, e proprio gli enigmi egli vuole narrare scrivendo il suo diario. E tuttavia, più cerca di scioglierli, più gli enigmi si moltiplicano, rivelandosi in tal modo un investigatore che moltiplica sospetti e interrogativi. Soprattutto restano senza risposta o generano ulteriori dubbi i quesiti sulla morte del padre. “Il romanzo è strutturato in modo tale da indurre il protagonista – e conseguentemente il lettore – a porsi alcune domande tipicamente epistemologiche, caratterizzanti il giallo tradizionale.” Ma allo stesso tempo esso presenta molte peculiarità dell’antipoliziesco, ovvero la presenza del doppio, lo scambio di identità, le duplicazioni di persone oggetti ed eventi, le simmetrie e tutti quegli elementi che danno alla trama una struttura labirintica.

Ma come si diceva prima, le sfumature di giallo, attraverso una minuziosa e convincente analisi della trama, dei personaggi e dei fenomeni linguistici, vengono rintracciate dall’autrice del saggio anche negli ultimi tre romanzi di Malerba.

$T2eC16dHJIgFHRbeF-htBSYn3WE-rQ--60_35Ne La superficie di Eliane il romanzo ruota intorno ad una relazione che sparisce. Ne è protagonista un dirigente di una importante fabbrica di vernici che si improvviserà investigatore, muovendosi in un universo fatto di specchi e di duplicazioni, dunque ancora una volta in una realtà labirintica. Ne viene fuori, secondo la Chiafele, un giallo innovativo, perché la soluzione dell’enigma avviene in modo casuale, e decostruttivo, in quanto il detective “non riesce a dare un significato univoco alla realtà tentacolare (rizomatica) che lo circonda e, a causa delle indagini, perde il proprio equilibrio mentale.”

2400521Il circolo di Granada, proprio in conformità con le convenzioni del giallo classico, si apre con un furto seguito da un omicidio, e già dalle prime pagine delinea un’atmosfera fortemente misteriosa e magica, favorita anche da un’ambientazione gotica, ovvero una landa arida, deserta e abbandonata da tutti. Mentre in Fantasmi romani, ultimo romanzo pubblicato da Malerba, manca il crimine, non c’è infatti nessun cadavere e nessun omicida da scoprire e perseguire. Il giallo qui consiste in un gioco metanarrativo in cui il romanzo contiene al suo interno un altro romanzo, in un classico gioco di specchi, rimandi, ripetizioni e simmetrie cui l’autore ci ha abituati sin dal Serpente. Gli indizi sono tutti linguistici e letterari, in un fitto gioco di citazioni intertestuali più o meno scoperte.

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Questi ultimi tre romanzi, secondo Anna Chiafele, “si trasformano in una finzione di possibilità, dove i quesiti epistemologici, anche se presenti, lasciano spazio a nuovi e insoluti quesiti ontologici.” E in definitiva, più che distruggere il giallo classico, Malerba lo altera, favorendone una metamorfosi e sostituendo l’onnipotenza dell’investigatore tradizionale con la limitatezza dell’essere umano.

Sfumature di giallo nell’opera di Luigi Malerba