978885842594GRA

Appena a p.11 ho saputo con certezza che “Del dirsi addio” (Einaudi) di Marcello Fois avrebbe tenuto fede a tutte le mie aspettative di lettrice: scrittura curata e vissuta con un bagaglio culturale ricchissimo, sguardo penetrante e poetico (nel senso più pieno e meno trito del termine), trama di consistente tenuta, che supera il genere del giallo, in cui pure si inserisce, senza snaturarlo ma arricchendolo e universalizzandolo in ricerca, indagine, che è la mozione più intima e vera della letteratura.

Secondo alcuni le parole sono auspici. Sono chiavi che aprono le porte di stanze oscure. Di quelle tenute chiuse per anni, di quelle di cui ci si dimentica. Magari questo è quanto succede agli uomini e alle donne di questa terra, e cioè di abitare in case che hanno stanze chiuse che possono nascondere tesori, ma anche, molto opportunamente, custodire segreti indicibili.

Marcello Fois possiede le chiavi delle stanze oscure, in cui abitano le famiglie e senza forzarle, ma con la straordinaria capacità di socchiuderle quel tanto necessario per potervi penetrare con una torcia che illumini e sveli tesori e segreti, dinamiche e reazioni, emozioni e sentimenti.

image

La vita e la morte, la malattia e la perdita, l’amore e l’odio, vissuti attraverso personaggi veri, che diventano familiari con la forza delle parole, che ne spiegano ragioni e sentimenti, soprattutto attraverso l’uso di similitudini che hanno l’incanto di raddoppiare le immagini per renderle più vivide e intense.

Voleva una soluzione piena, come nei libri migliori, nei film migliori, quelli che non s’illudono di essere la vita ma danno alla vita una chance in più.

Definizione d’intenti che calza a pennello al romanzo, e che Marcello Fois raggiunge con felicità piena in “Del dirsi addio”, che se rappresenta un ritorno al genere da cui è partito, dall’altra parte dimostra la piena maturità raggiunta, in particolare con le trilogia della famiglia Chironi, che dà a “Del dirsi addio” un respiro cosmico e universale.

image (1)Sergio Striggio è un commissario di polizia, che si trasferisce a Bolzano da Bologna, sua città natale, per amore. L’amore per un ragazzo giovane e bellissimo: Leo, maestro elementare. Non capita nulla nella ricca città di provincia, fino a quando una sera come tante altre non scompare un bambino di undici anni, Michele. Un bambino speciale. Ma non sarà l’unica ricerca che impegna il commissario, perché da Bologna arriva il padre con tutto l’irrisolto che c’è tra loro.

Su una trama gialla, Marcello Fois innesta una cosmogonia delle relazioni, in cui la sua scrittura ha l’agio di distendersi come una creazione infinita.

Terra, Fuoco, Acqua e Aria: i quattro elementi costitutivi dell’universo per i presocratici, origine primigenia del mondo creato, diventano i quattro tempi in cui viene narrata e portata a conclusione la vicenda. Cardini della mitopoiesi dei sentimenti umani, strettamente legati alla famiglia, di cui “Del dirsi addio” è racconto fondativo e mitologico. Marcello Fois raccoglie tutto lo scibile che riguarda la famiglia, e lo traduce in romanzesco, in trama di solida tenuta, spingendo il lettore in stanze oscure in cui è costretto a interrogare la parte più nascosta di sé, a seguire il commissario nei labirinti della psiche in cui i sentimenti si aggrovigliano e l’amore e l’odio, la vita e la morte, la felicità e la disperazione si mescolano nel caos, da cui è necessario ripartire, dopo un faticoso ritorno, per poter accedere a una soluzione, che si manifesti come lo sbroglio di un nodo che sembrava stringere a mo’ di cappio la vita dei vari personaggi.

Anche il tempo si accomoda nella dimensione del mito, in cui perde i connotati lineari o circolari, e si fa principio interiore, alla base del presente narrativo. Non semplicemente un passato vissuto e archiviato dietro le spalle, ma tempo intimamente vissuto e radicato nell’io, che detta condizioni, azioni, sentimenti del presente.

Attraverso il passato si può sbrogliare il presente, e persino addomesticare la morte: questa è la sfida più ardua per Sergio Striggio. Rivivere la morte della madre, e nel presente tornare a dire addio, cercando di modificare la visuale dell’ultimo sguardo che detta “l’immensa precisione con cui si muore”.

Come i miti, così il romanzo di Fois cerca di mettere ordine e di dare un senso e una ragione alle paure più profonde: la scomparsa, la malattia, la morte, in un gioco sottile e continuo di rimandi, da cui emerga la verità sulle matrici dei sentimenti, che spingono ad amare, a perdonare, ad agire, a proteggere.  Una verità costitutiva che nell’addio trova l’ultima definitiva ragione d’essere.

Il titolo del romanzo, che concentra nell’indefinitezza tutto il fascino, diviene uno dei cardini del romanzo, su cui far girare gli ingranaggi di quelle porte oscure, che in parte abitiamo tutti.

“Non è a me che devi dire addio. Il punto non è mai dire addio”, scandì sua madre all’improvviso, con una chiarezza nella voce che lo aveva fatto tremare.

“E qual è il punto?” aveva osato chiederle. Lei lo aveva fissato come se non riuscisse a riafferrare il filo del discorso interrotto qualche secondo prima. “Hai detto che il punto non è mai dire addio”.

La madre lo guardò grata per quel breve riassunto. “Il punto è dirsi addio”, rispose.

E lui capì perfettamente.

Così perfettamente, da acquistare una competenza della fine, che lo incita a mutare posizione al momento dell’addio e a sostituire a quel punto ininfluente di congiunzione tra la parete e il soffitto, la visione delle cime degli alberi che segano il cielo, e a frapporsi tra il letto e quella visione con il sorriso di figlio, che ha finalmente trovato e risolto un pezzo di sé.

 

Per acquistare il libro, puoi servirti di Goobook.it (scopri QUI il progetto del portale)

Con un semplice click sulla foto, ordini il libro e lo ritiri nella tua libreria di fiducia
Con un semplice click sulla foto, ordini il libro e lo ritiri nella tua libreria di fiducia
Del dirsi addio
Tag: