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Forse il più bell’invito di sempre e a farmelo è uno scrittore da me molto amato, Giovanni Ricciardi, ideatore del commissario Ottavio Ponzetti, da poche settimane in libreria con la settima avventura in “Gli occhi di Borges” (Fazi), che lo porta proprio lì, dove io e Giovanni siamo diretti per chiacchierare di lui. – Nella terra del Fuoco, seduti l’uno accanto all’altra in un vagone del “Tren de la fin del mundo”. – mi dice.

gli-occhi-di-borges-light-683x1024Infatti questa settima indagine che lo vede protagonista si snoda tra Roma e l’Argentina, in un crescendo di suggestioni letterarie e linguistiche.

Siete pronti? Sul treno c’è posto per tutti.

“Gli occhi di Borges”, a mio avviso, portano a compimento un percorso di avvicinamento via via più visibile delle tue due anime: quella di scrittore, sempre meno giallista, per me, e con una voglia divertita di superare e innovare il genere (già ben presente nel precedente romanzo “La canzone del sangue“) e quella di docente di latino e greco, che ha dimestichezza e naturalità con il concetto di emulatio. Perché tra le tue pagine ognuno scopre il lettore che è, rintraccia parallelismi e connessioni, sente che c’è il respiro della letteratura, dei libri, delle letture sedimentate. canzone-sangue-light-676x1024

Forse anche al di là delle tue reali intenzioni.

C’è un gusto letterario predominante in questa nuova avventura di Ponzetti? Non posso articolare meglio né con più dettagli la mia sensazione per non rovinare la sorpresa del plot ai lettori, e rischiare di fare spoiler, che per un giallo è ancora più odioso del normale, ma mi chiedevo se Giovanni Ricciardi non si stesse staccando dolcemente ma inesorabilmente dal genere giallo, o ancora meglio non tentasse con sempre maggiore risolutezza di coniugare in modo sempre più stretto il giallo con la letteratura e l’amore per i libri. Se non fosse la “letterarietà” che ha sempre contraddistinto le storie di Ponzetti, e che si è sempre più palesata nel tempo, la vera cifra e del personaggio (e dei personaggi), e delle storie, e della scrittura di Giovanni Ricciardi.

america_300_01_grSe questa è la tua sensazione di “lettrice esperta” probabilmente c’è qualcosa di vero. A dirla tutta, quando scrivo non programmo molto, quindi la letterarietà, se c’è, emerge da un’esigenza non del tutto consapevole. Nel caso di questo libro mi sono imbattuto in un fatto di cronaca di cui v’è traccia ormai solo in alcuni siti internet argentini: appunto, il furto, probabilmente su commissione, dalla Biblioteca Nazionale di Buenos Aires, di una copia della prima edizione di “Fervor de Buenos Aires”, il primo libro di Borges. Da qui è partita l’idea di costruire attorno al fatto una storia, favorito dalla circostanza che in un mio libro precedente un personaggio, Andrea Perfetti, a un certo punto fugge in Argentina e lì se ne perdono le tracce. Ho pensato che fosse una buona occasione per riportarlo sulla scena. 41pjdyrq4-l-_bo1204203200_ql70_

Del resto, nasco come giallista quasi per caso. Il mio primo romanzo, “I gatti lo sapranno”, è in realtà anch’esso un gioco letterario, in cui Ponzetti nasce come una sorta di nuovo Ingravallo – il protagonista del Pasticciaccio di Gadda: un commissario che cammina per le stesse strade del suo illustre “antenato” in un quartiere Esquilino però totalmente altro dal tessuto alto borghese degli anni Trenta; un quartiere ormai complesso e multietnico, con le problematiche e le criticità che questo comporta. Quindi, in fondo, la letterarietà c’è sempre stata. 

 

E pensare che io credevo che il furto del libro dalla Biblioteca fosse un’invenzione nata dal desiderio di omaggiare Eco, e “Il nome della Rosa” che è il giallo letterario per antonomasia a mio avviso. Avevo persino trovato un indizio, quando nel romanzo si definisce Eco un Borges minore. E invece, è la realtà!

portami-ballare-light-676x1024Quando parlavo della forzatura del genere giallo, mi riferivo proprio ad Andrea Perfetti, che forse tra i tanti personaggi dei tuoi romanzi, è quello più “letterario”, legato com’è alla scrittura e alla letteratura. Non so cosa si possa svelare del personaggio senza cadere nello spoiler. Quello che di lui mi ha affascinata di più, a partire da “Portami a ballare” (che tra l’altro è il romanzo con cui ti ho conosciuto!) è che il personaggio è tutto giocato in assenza, non si vede, non compare… insomma un vero gostwriter! In “Gli occhi di Borges” è ancora più camaleontico, sfuggente, fantasmatico… lo ritroveremo nelle tue pagine ancora? Perché sarebbe una bella innovazione rendere seriale anche un personaggio come Perfetti, e molto gaddiano nella visione del reale, no?

Chi ho ritrovato di gran lunga cresciuto è Iannotta, che si sviluppa di romanzo in romanzo, tanto che nel nuovo arriva persino ad oscurare il mio amato Galloni, a cui affidi una bellissima presentazione, direi donchisciottesca, della coppia:

Il suo amico Ponzetti è preda della sua debolezza più vorace, che è quella di perdersi nei dettagli da un lato, e dall’altro seguire il sentimento. se il sentimento prevale, si perde d’occhio la realtà. e io so che lei, Iannotta, è sempre stato la sua ancora di salvezza. sta dunque a lei non lasciarlo naufragare nel gran mare dei vani ragionamenti e scoprire il nocciolo di verità che si nasconde, secondo quanto dice il poeta, sotto ‘l velame de li versi strani.

È cambiato il rapporto tra Ponzetti e Iannotta nel corso dei romanzi, o sono cambiati semplicemente loro e solo di conseguenza il loro rapporto? è consapevole nella tua scrittura un percorso di crescita dei due?

Cosa dire? sono personaggi che crescono con me, perché in qualche modo sono due anime della mia maniera di prendere la vita. Per me sono un po’ come Gollum e Smeagol, parti di un io narrante che non coincide con l’autore, perché l’autore spesso si sorprende della piega che prendono le sue storie. E dunque, no, non c’è una crescita consapevole. La consapevolezza arriva a cose fatte. Sta lì, come quando uno ha attraversato l’adolescenza e si ritrova ventenne, ma non saprebbe dire se non per accenni dove e quando è diventato ciò che è a quell’età.
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Alla storia del furto del libro in Argentina, scorre parallela la storia di un difficile rapporto madre-figlia: Anita e Vanessa, con sullo sfondo la giovinezza, quella stagione che con il senno di poi è la più bella della vita e che invece nel viverla è un tormento. Vanessa ha la stessa età dei tuoi studenti: nasce tra i banchi del tuo liceo ed è legata all’esperienza di docente?

Ad Anita, invece, alle prese con un momento altrettanto difficile, che è quell’età intermedia tra i quaranta e i cinquanta, in cui si percepisce che la vita sfugge e si sente il desiderio struggente di afferrarla, in cui ci si sente giovani e trapela lentamente la consapevolezza che invece la giovinezza è ormai lontana, cedo la parola per una domanda:

gli oroscopi bisogna assecondarli per forza? se uno non gli dà retta, non si avverano?

Giovanni Ricciardi ci crede agli oroscopi? A me sembra che la tua scrittura sia stata perfetta nel calarsi nei panni dell’astrologo. Ecco, forse, anche io mi sarei affezionata alla rubrica “Gli occhi di Borges”!

oroscopoNessuno crede agli oroscopi, tanto meno a quelli dei giornali. Ma al gioco degli oroscopi sì. Quella rassicurazione leggera inconsistente e giocosa che ci fa leggere il nostro destino con un sorriso sulle labbra: ma quel sorriso nasconde la volontà di esorcizzare l’ignoto, come da sempre è stato e sempre sarà. Ciò detto, mi sono divertito a imitare certi oroscopi trendy che oggi van di moda sui giornali e in rete. 

Anita e Vanessa concentrano mille storie vedute, ascoltate, lamentate e vissute da tanti. Ho cercato di raccontarle non come stereotipi, ma come persone vere, benché non siano ispirate a una “storia vera” in particolare.

 

Il vero manzoniano… come sempre affiora la tua profonda cultura letteraria. E se cito Manzoni (che ovviamente richiama in maniera diretta il “guazzabbuglio” gaddiano che mi sembra continui a permeare la tua visione della realtà e la tua adesione al genere giallo sin dal primo romanzo), non posso che pensare al problema della lingua. In questo tuo nuovo riproponi non solo il vernacolo romano di Iannotta, ma anche l’itagnolo di Jorge, che tanto mi diverte.

Una caratterizzazione dei personaggi? Un gioco linguistico per variare la prosa? Una questione di suono? oppure qualcosa di più profondo come sembrano aver capito Galloni (anche lui con una propria caratteristica linguistica volta all’aulicità lessicale appena sfiorata) e il leggendario Socrate?

Continui, il vernacolo rinfocola passioni sopite. Guardi Socrate come solleva il muso. Segno che siamo sulla strada buona.

i_promessi_sposi_402Solleva il muso, odorando il vento infido… il verso citato da Manzoni a proposito del Griso… non è questo il cuore della scrittura, ma il gioco di richiami e di rimandi è una cosa che mi diverte. Sempre. E il gioco dei registri linguistici è una forma di pastiche a cui sono affezionato, sempre per imitazione. Sono decorazioni… natalizie, ma il Natale è altra cosa.

 

Continuerei all’infinito (e mi auguro che ci sia occasione di farsele davvero due chiacchiere dal vivo su Ottavio Ponzetti), ma mi impongo l’ultima domanda.

“Albricias!” – una delle cose più belle che ho imparato in “Gli occhi di Borges”. C’è un momento in cui potrebbe pronunciarla Ottavio Ponzetti? e lo scrittore Giovanni Ricciardi l’ha mai pronunciata? e se non ancora, per quale evento potrebbe esclamarla?

Mi auguro di esclamarla tante volte nella mia vita. Un’espressione bellissima, è un’esclamazione e contemporaneamente un dono: alla gioia per una buona notizia, si risponde con un regalo per chi la porta. Mi auguro di riceverne tante e di non dimenticare la gratitudine per chi le dona.

Chiacchierando (per la terza volta) con… Giovanni Ricciardi
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