Il colore nero della copertina rende bene il senso orrorifico e claustrofobico che si respira nelle pagine di “Dalle rovine” (Tunuè), l’esordio nella forma di romanzo di Luciano Funetta, dalla scrittura fine e pienamente matura.

“La lingua non conta” disse Alexandre. “ Un tizio una volta ha detto che la sua unica patria era la lingua, ma per me sono stronzate. La lingua è un muscolo. Serve a stare al mondo, a farti rispettare. Se la usi come si deve, o incontri qualcuno che sa usarla, allora ti diverti. La patria di un uomo sono i germi della sua saliva”.

Al contrario del suo personaggio, per Funetta la lingua conta e sa trattarla con la stessa eleganza e maestria con cui Rivera si lascia accarezzare dai serpenti che colleziona. Una lingua mutevole, squamosa, a tratti soffocante che ha la stessa bellezza impudica e tenebrosa di un serpente velenoso, che cattura con  sobrietà e forbitezza, per imbrigliarti più tenacemente nelle spire della narrazione, fino a strangolarti. Non si esce indenni dalla narrazione, ma con i tremori degli incubi che toccano corde profonde e sconosciute. Effetto di compartecipazione che Luciano Funetta ottiene anche grazie all’insolito utilizzo di una seconda persona plurale come voce narrante, creando un contrasto tra diverse focalizzazioni che rendono il romanzo estremamente originale e unico, in ogni sua declinazione.

Un romanzo di tenebre e solitudini, di oscurità e morte, in cui è la perfezione della lingua a trascinare il lettore nel baratro che Funetta ha preparato per lui, non sull’onda del terrore e dell’orrore, ma del fascino, per quanto sinistro e funereo.

Qualcosa di reale, ma non di assolutamente reale. Qualcosa in lui lo faceva pensare alla magia e alla sensazione di un uomo alla fine del mondo, intimamente alla fine del mondo, con lo sguardo che ammirava, come una pianura, la distesa dei secoli alle sue spalle.

Rivera è un protagonista straordinariamente inverosimile, che dai serpenti e dalla pornografia trae la consapevolezza per interpretare ciò che si nasconde in sé e negli altri: Birmania e Traum, i due importanti produttori di film porno che accompagnano la sua discesa agli inferi; Maribel e Laudata, attrice e regista, con cui condivide il successo del primo cortometraggio in cui recita con i serpenti; per giungere a Rankovic e Tapia, nella loro subdola e perversa pericolosità.

Un romanzo onirico, dalle forti tinte da incubo, in cui si scatenato paure ancestrali, desideri profondi e sensazioni catartiche.

“Dalle rovine” è non solo romanzo dalle eccezionali misure introspettive, ma anche analisi, spietata e innamorata, dell’arte intesa nelle sue varie forme, in particolare il cinema, e combinate con uno spasmodico desiderio, di cui tutti i personaggi sono vittime, di enfatizzare ed emblematizzare la propria esistenza come un’opera d’arte senza eguali.

A Rivera, ormai solo ma non sconsolato, perfettamente lucido e consapevole, moderno eroe destinato agli Inferi pur provenendo dal Parnaso, non resta che aspettare l’arrivo di Tapia, mostrargli di aver inteso tutti  i suoi segreti e lasciare che il suo destino di ultimo uomo, inesorabilmente, si compia.

Dalle rovine
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