Si può parlare di un libro che ha lasciato perplessi? Stroncare è facile, soprattutto se si è un lettore esigente e famelico; parlare con entusiasmo di ciò che ha convinto, ugualmente, per un lettore appassionato ed entusiasta. Come si fa invece a mettere in luce gli aspetti positivi, che pure si riconoscono in un libro, ma che non corrispondono al proprio gusto, personalissimo, di lettore? Sarebbe meglio tacere in questo caso?

Sono questi i mille dubbi che mi accompagnano nello scrivere queste righe, non ancora convinta di voler davvero condividere le mie impressioni scordate e disarmoniche su Musica per Orsi e Teiere di Luca Ragagnin (Miraggi, 2012). Non perché abbia paura di esprimere un giudizio, ma perché sostanzialmente non ho un giudizio.

Musica per orsi e teiere è un libro molto particolare. Fin troppo per i miei gusti.

Un libro in cui la musica la fa da padrona. Io non ho competenze musicali per poter apprezzare i sottintesi e i mille testi che si intrecciano nei tre racconti.

Un libro che nasconde tra le parole una precisa, voluta, consapevole ricerca di musicalità, un ritmo definito che funziona da traccia e che va orecchiato. Il mio orecchio rimane insensibile per inesperienza e per una certa congenita mancanza di intonazione musicale.

Il libro rimanda a una grande passione, che io non riesco a condividere.

I personaggi sono surreali e compiono scelte strambe, originali, in cui vita e musica si intrecciano indissolubilmente. Questa passione vera e sentita (lo percepisco anche io!) da Ragagnin è per iniziati, e non riesce a scalfire la scorza dura di una stonata come me.

Un locale in cui si serve solo pollo, cucinato in mille modi (che noia!) e in cui si suona musica jazz, raccontato da una voce fuori campo, geniale e riuscita, è il protagonista indiscusso del primo racconto, mentre la vita del protagonista Orso si annulla e annichilisce nel progetto del suo locale, tanto che per il lettore non è più possibile distinguere il Lupi e Lepri da Orso. Ammetto però che questo potrebbe essere il pregio e la cifra stilistica del racconto stesso, affannosamente e consapevolmente ricercati da Ragagnin.

Una band torinese di giovanissimi, nella Torino degli anni Ottanta: forse il racconto che più si avvicina alle mie corde e che mi ha ricordato il Culicchia di Il paese delle meraviglie. Anche qui le vite dei personaggi sono annullate nel progetto musicale, bidimensionali, e poi rimangono sospese come quella di Orso, ma con una nota maggiore di inconcludenza. Sarà anche questo un messaggio per iniziati che ha dei sottintesi musicali?

L’ultimo racconto prevede una vecchia coppia di marito e moglie e la descrizione della sinfonia che accompagna la loro giornata e che in un ritmo, rodato dal tempo e dalle abitudini, si ripete sempre uguale. Atmosfere che ricordano Le correzioni di Franzen, con la solita inconcludenza delle vicende che nasconde l’intenzione dello scrittore di ricercare il senso esistenziale nella musica che accompagna la vita di ciascuno.

Ritmica e battente, piena di accumuli, in una ricerca lessicale che sottolinei la polifonia del testo la scrittura. Troppo per me, amante del silenzio di una prosa che lavora di sottrazione.

Affido questo libro, che senz’altro merita, a un orecchio più fine ed educato del mio. Ne trarrà sicuramente diletto e piacere!

Musica per Orsi e Teiere
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