Dove incontrare Giulio Perrone per chiacchierare di “L’esatto contrario” (Rizzoli, 2015)? Quando glielo ho chiesto la sua risposta è stata: – La scelta non potrebbe che cadere sul bar a piazza dei Sanniti di fronte a casa di Riccardo.

Riccardo è il protagonista del romanzo d’esordio e mi piace pensare che anche lui si sarebbe seduto al bar insieme a noi, se io e Giulio Perrone ci fossimo incontrati. Quello che leggete è uno scambio di mail, ma non sembra davvero che sia avvenuto al tavolino di un bar?

La mia prima domanda non è originale, ma corrisponde a uno dei motivi che mi hanno spinto a leggerti. Ti ho molto apprezzato come editore, Giulio Perrone ha scoperto e dato spazio agli scrittori più interessanti che ci sono in circolazione: Chiara Valerio, Paolo Di Paolo, Giorgio Nisini solo per citare i primi che mi vengono in mente. Cosa ti ha spinto a passare dall’altra parte del tavolo? È più facile o più difficile esordire come scrittore per un editore? Non mi riferisco tanto alla “conoscenza” dell’ambiente che può agevolare la pubblicazione, ma faccio riferimento all’approccio personale alla scrittura e all’attitudine a valutare se un’opera sia valida o meno.

Da piccolo editore indipendente, esordisci come scrittore con una grande casa editrice. Ci spieghi la ragione? Hai imparato qualcosa come editore dall’aver pubblicato il tuo romanzo con modalità, immagino, diverse da quelle in uso nella tua casa editrice, oppure non ci sono differenze?

Cominciamo col dire che la passione per la scrittura, come quella per la lettura, precedono la mia attività di editore. Sin dai tempi della scuola ho cominciato a scrivere cose per fortuna oggi sepolte chissà dove, ma è stata una palestra importante. Soprattutto grazie al mio mentore Walter Mauro che mi ha guidato e ispirato. La scelta di aprire la casa editrice nel 2005 (insieme a mia moglie Mariacarmela Leto) però mi ha spinto a mettere da parte questa passione per dedicarmi completamente ai libri degli altri. Un’attività bellissima che mi ha dato enormi soddisfazioni da una parte nello scoprire autori come quelli che hai citato, dall’altra nell’avere la possibilità di conoscere e lavorare con dei grandi come Dacia Maraini, Ugo Riccarelli o Antonio Tabucchi. Tutto questo ti fa crescere, è una palestra infinita oltre che un piacere e un divertimento. Alla fine del 2012 però la spinta a scrivere è tornata e si è fatta strada una storia e un personaggio che avevo voglia di raccontare. Così senza nessun obiettivo particolare mi sono messo a scrivere lasciandomi guidare dal gusto di farlo. In quel momento tutto si esauriva nella scrittura e non pensavo alla pubblicazione. Mi sono rivolto a due amici editor proprio per capire se quello che stavo facendo avesse un senso ed uno di loro ha creduto nell’idea e in quello che avevo scritto al punto da spingermi a continuare con l’obiettivo di pubblicare il romanzo. Non posso negare che sia stata una spinta importante perché quando fai l’editore il tempo per il resto è pochissimo e così ti trovi a scrivere un po’ di notte, un po’ nei ritagli, o nelle feste o d’estate quando si allenta un po’ la morsa del lavoro.

Esordire credo sia un’emozione intensa e il fatto di aver giocato per tanti anni la partita dall’altra parte della barricata non ti protegge del tutto. Il vantaggio sta nell’essere più consapevole delle difficoltà e anche della necessità di accompagnare e supportare il più possibile il libro. La pubblicazione in sé non è un punto di arrivo ma di partenza e anche se sei nella scuderia di un grande editore non cambia nulla. Anzi considerando le tante uscite e gli impegni che ha una major spesso ti trovi ancor di più nella necessità di darti da fare anche se non posso fare nessun appunto alla Rizzoli con cui mi sono trovato benissimo in tutte le fasi di lavoro. Ho trovato persone che credono nei libri e nel lavoro che fanno nonostante i ritmi e le dimensioni di quella realtà impediscano a volte di poter seguire tutto costantemente.

Riguardo la scelta della grande editoria posso dirti che in prima battuta non mi sarei ma rivolto ad un collega di una casa editrice indipendente per non metterlo in difficoltà. Chi lavora per una major non ha problemi a dirti che non può pubblicare un libro rifilandosi una qualsiasi scusa, al contrario un editore amico si sarebbe potuto trovare in una situazione scomoda. D’altro canto poi si tratta di un’esperienza che mi sta permettendo di conoscere molto più da vicino meccanismi diversi e anche le modalità di lavoro di un grande editore. Nei momenti in cui riesco a spogliarmi del ruolo di autore posso imparare, essere in ascolto e capire se c’è qualcosa che può tornare utile di quest’esperienza anche nel mio lavoro sui libri. Anche se non posso negare che per una volta stare dall’altra parte della barricata è molto bello, emozionante e perché no divertente.

Entriamo nel vivo di “L’esatto contrario”. Titolo che potrebbe quasi essere considerato spoiler e allora non lo commento, ma devo ammettere che è l’idea narrativa che mi è piaciuta di più. Detto questo, taccio sulla questione, per lasciare ai lettori il piacere della scoperta.

Quanto ti somiglia Riccardo, il protagonista? Ho avuto, ad esempio, l’impressione che la fede calcistica, così insistita nel romanzo come tratto saliente della sua vita, rispecchiasse qualcosa di particolarmente tuo.

Tutto gira intorno a lui, che si trova invischiato in una serie di morti, passate e presenti, per motivi strettamente personali. Una ragazza uccisa all’università, un professore condannato, che si è sempre professato innocente: c’è dietro il ricordo di Marta Russo, pur con i dettagli diversi di quel caso? In realtà io che frequentavo “La Sapienza” ai tempi di quello strano, assurdo omicidio mi sono sentita proprio come Riccardo, partecipe e coinvolta per il solo fatto di esserci, anche se poi per Riccardo subentrano motivazioni sentimentali che lo spingono a interessarsi al caso in maniera più stringente.

Riccardo è sicuramente il motore di tutto il libro e posso tranquillamente dire, come mi è stato fatto notare in diverse presentazioni da colleghi scrittori, che è la trama a piegarsi al personaggio e non viceversa. Quello che mi premeva era raccontare la storia di un coetaneo, che in molte cose, soprattutto per come affronta la vita, è diverso da me ma assolutamente integrato nella realtà in cui vive. La precarietà della sua esistenza non è solamente lavorativa, ma sentimentale e anche ambientale, anche se lui ci mette molto del suo nel non volersi impegnare troppo in nulla. La scelta del sopravvivere ne è un’inevitabile conseguenza, così la passione calcistica, gli amici di sempre, i rapporti flebili e intermittenti con tutte le sue donne sono un modo per riuscire a controbattere qualcosa al nulla che sente montare intorno a sé. Ma forse è anche questo suo essere impreparato e goffo a renderlo più vero e interessante, almeno io mi sono molto divertito a raccontare le sue peripezie investigative e personali. Rispetto invece alla fede calcistica non posso negare una vicinanza stretta col protagonista che mi ha portato anche a scegliere l’ambientazione di San Lorenzo dove negli ultimi due anni ho seguito gran parte delle partite della Roma in un pub insieme ai miei amici. D’altronde questa passione forsennata per il calcio è un altro rovescio della necessità di trovare costantemente qualche emozione che si contrapponga al nonsense della vita quotidiana. Riccardo in fondo è un sognatore che si porta dentro ancora l’immagine scolpita di questa ragazza che ha assaporato solo per cinque minuti della sua esistenza. Se la porta dentro e questo lo costringerà a rimettersi in gioco e ad andare contro quell’immobilismo che da sempre lo blocca. Infine sulla questione Marta Russo posso dire di aver vissuto quella storia con grande angoscia anche se non frequentavo la Sapienza. L’ho sentita e letta attraverso i giornali. Quello che posso dire però è che il fatto di cronaca che dà avvio al romanzo è avvenuto in realtà in un altro posto ed io l’ho trasportato a Roma per comodità anche perché si tratta di un libro di fantasia e non volevo che una storia così brutta, così forte ma anche così sentita a Roma come quella della Russo potesse avere degli echi forti nel libro.

Le donne. Tante, troppe? Le guardi e le descrivi da un punto di vista prettamente maschile. A volte mi è sembrato che facciano le cose o assumano i tipici atteggiamenti che potrebbero piacere a un uomo, come il concedersi con troppa facilità o rimanere tutte in un certo senso invischiate nella rete seduttiva di Riccardo. Lo vede così il femminile Giulio Perrone o anche questo elemento è disegnato sul protagonista?

Questo è un tema interessante perché nessuno mi aveva posto la cosa da questo punto di vista. Credo che sicuramente la visione sia maschile perché poi è quella vista dagli occhi del protagonista… Però penso che anche per una questione di trama le varie donne fatta salva Rachele giocano un ruolo particolare che finisce per ruotare intorno a Riccardo. D’altronde la persona a cui mi sono davvero ispirato per costruire in parte il protagonista è un ragazzo che nella realtà assomiglia molto a lui nel senso che pur essendo un po’ goffo e incasinato ha buon successo con le donne. E ne conosco tanti così. Poi certamente ci sono anche immagini, idee e momenti che appartengono al mio rapporto col mondo femminile.

Oltre la vicenda delittuosa, c’è un tema che mi sembra ricorrere con frequenza tra le pagine: la polemica su un certo tipo di giornalismo,  che io definirei non più giornalismo ma sensazionalismo e che nei casi come quello raccontato nel libro non ha remore a calpestare persone, sentimenti, affetti, intimità. Su questo versante, a mio avviso, il tuo personaggio gioca il suo ruolo più interessante. Non ne fai un eroe senza macchia, ma lo salvi dalla meschinità di certi atteggiamenti, pur non assolvendolo del tutto. È voluta e consapevole questa staffilata contro il mondo e il modo della comunicazione oppure è venuta da sé? Sotto questo aspetto Riccardo ricorda qualcuno?

La questione del giornalismo mi ha sempre interessato perché prima di fare l’editore ho passato del tempo in redazioni di radio, riviste e giornali vari. Sicuramente non amo il sensazionalismo e il giornalismo che non fa notizia ma costume o tendenza becera però capisco anche che oggi lo spazio sia sempre meno e che in qualche maniera i giornali e le riviste debbano tenersi a galla. Riccardo nel suo percorso è sempre spinto da qualcuno che lo pressa. In questo senso Dora, la caporedattrice di Tuttogiallo, e tipico esempio di come si possa decidere di passare sopra ad ogni cosa per una notizia, è un grande motore del suo impegno sul caso. Se non ci fosse lei probabilmente Riccardo si fermerebbe e non continuerebbe la sua sgangherata indagine. Però come hai detto tu è anche consapevole di certi passaggi che non gli piacciono ma che accetta un po’ perché non è in grado di opporsi fino in fondo alla personalità di Dora un po’ perché questo sotto sotto torna a farlo sentire vivo e in movimento. Sente che sta finalmente facendo in qualche modo il giornalista anche se la cosa gli provoca molte ansie e poi lo fa sentire ancora di più “L’esatto contrario” di tanti altri, Dora in testa.

Che fine farà Riccardo? Come personaggio ha detto tutto quello che aveva in corpo, oppure ha ancora qualcosa da dire? In “L’esatto contrario” non mi pare ci siano indizi di serialità, però neanche tratti che la escludano a priori. Ci hai pensato o non è nelle tue corde?

In realtà credo che Riccardo abbia ancora molto da dire e potrebbe essere che lo dirà… Soprattutto credo ci sia molto da raccontare di personaggi apparsi nel libro ma solo accennati. Sono molto affezionato ad Italone e Rachele soprattutto. Ci sono tante idee e non è escluso che a breve cominci a lavorare a qualcosa di nuovo…

Ah, Giulio, ti è piaciuto fare lo scrittore!

Aspettiamo allora di incontrare Italone e Rachele di nuovo in libreria.

Chiacchierando con… Giulio Perrone
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