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L’equazione scrittore uguale lettore funziona sempre. Anche e soprattutto in età scolastica, quando non si può chiedere a un bimbo di scrivere se non ha letto. Nello stesso tempo per i bambini è più facile raccontare le loro impressioni di lettura, inventando a loro volta una storia che veicoli le emozioni più profonde.

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A Nuccia è capitato con Le valigie di Auschwitz di Daniela Palumbo (Battello a Vapore, 2011). Un libro forte e impegnativo per avere la capacità di poterne parlare in termini “teorici”. Al primo momento utile, che è rappresentato da un racconto come compito scolastico, ecco venir fuori la potente suggestione che il libro ha sedimentato nel suo cuore di piccola lettrice.

Dal suo racconto emerge un giudizio chiaro sul libro e su quanto le ha lasciato.

Il compito da svolgere era il seguente: Immagina di essere risucchiato nelle pagine di un libro e diventare parte di una storia.

Quel pomeriggio mi annoiavo in casa, perciò decisi di leggere un libro. In effetti non era stata una mia decisione, ma mia madre mi aveva spinto a leggere un libro, quando mi ha visto sul divano a non far niente. Ne prendo uno dalla libreria. Non ho proprio voglia di studiare! Il libro invece sembra fatto apposta per me, perché si intitola “Voglio andare a scuola”. All’improvviso, mi basta leggere il titolo per ritrovarmi nei banchi di scuola. La maestra si rivolge ad un bimbo di nome Carlo e gli dice di andare via, mentre cancella il suo nome dal registro. Noi allibiti non diciamo una parola. Io chiedo il perché alla maestra. Mi risponde: – è ebreo. Qui ci sono leggi ben precise e una è che gli ebrei non possono più studiare. Mentre lui fa la cartella, io gli passo di nascosto un biglietto. C’è scritto che alle quattro si deve recare nel vicolo cieco vicino alla scuola, buio e nascosto. La mia idea è di dargli lezioni. Io mi sento un’insegnante privata, quando sono con Carlo, felice di combattere contro un’ingiustizia del mio paese. Dopo la guerra Carlo ritorna a scuola con altri bambini ebrei. Finalmente possiamo continuare a essere amici senza nessuna distinzione. Mi sento scuotere. È mia madre che mi chiama per fare i compiti. Sono stata così affascinata dalla storia di Carlo che mi è sembrato di essere una delle sue compagne. Dopo questa storia anche io ho capito l’importanza di andare a scuola.

Le valigie di Auschwitz
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