Cicatrici

Ho sempre avuto una particolare predilezione per le letture consigliate da amici e persino da conoscenti. Nel primo caso un modo per inspessire e consolidare empatie, nel secondo per sbirciare nell’anima di chi non si conosce a fondo e cominciare a capirci qualcosa. Spesso un libro ha cementato e radicato amicizie, o le ha fatte sbocciare sull’onda della sympateia che scaturisce dall’entusiasmo condiviso per una lettura o dalla gioia di una scoperta.

In questo caso il libro mi è stato consigliato (qui) da uno dei miei scrittori preferiti, Fabio Stassi e la lettura è stata arricchita dalla percezione di ritrovare sfumature e suggestioni che potessero riguardarlo. Il libro in questione è Cicatrici di Saer (La Nuova Fronteria).

Attraversare le pagine dell’argentino con in mente la scrittura e i temi di Stassi alla ricerca di ciò che allo scrittore italiano, sudamericano per ispirazione e stile, possa essere piaciuto o da cui possa essere stato colpito arricchisce l’impressione della complessità di un libro che ha come tema fondamentale le cicatrici dell’anima di cui ognuno dei personaggi è emblema. Il motivo del gioco, l’atmosfera sospesa e nebbiosa, il senso di malinconia così spesso e tangibile, la frammentarietà della costruzione narrativa che nasconde invece un preciso e “matematico” disegno strutturale, da lettrice e con innegabili forti differenze, mi sono parse particolarmente nelle corde di uno scrittore come Stassi.

Quattro racconti, incastrati uno dell’altro, perché ruotano intorno a un fatto di sangue, che in maniera diversa coinvolge tutti e quattro i protagonisti dei singoli racconti.

Nel primo lo sguardo è puntato su un aspirante scrittore, che riesce a lavorare per un giornale con l’aiuto di un giornalista talentuoso, ma dalla vita sbandata e senza regole. Nel secondo un giocatore incallito, ex avvocato, con una visione ontologica ed esistenziale del gioco, che porta alla rovina se stesso e le persone care per questa sua passione smodata che lo getta sul lastrico. Il terzo è un giudice, il personaggio più delicato e complesso, ossessionato da incubi che sono la metafora della sua omosessualità, socialmente denigrata e vilipesa. Il quarto è un ex sindacalista, che annega nell’alcool le sue nevrosi e velleità fallite.

Non svelo come questi quattro personaggi si intersechino tra di loro, intrecciando le loro malinconie e i loro fallimenti, perchè per me questo elemento ha rappresentato la vera felicità del libro, tanto è sottile e tenace nello stesso tempo.

Sullo sfondo un’Argentina sfumata e in bianco e nero, umida e uggiosa, che tace se stessa per divenire palcoscenico di un’umanità senza nazionalità.

Le traduzioni della Nuova Fronteria sono sempre accurate ed eleganti, ed anche questa volta le pagine di Saer tradotte da Gina Manera si leggono con il piacere di una prosa ritmica e battente, precisa nel lessico, di grande suggestione. Non so dire quanto fedele all’originale, ma di grande presa sul lettore italiano.

Fascinosa la filosofia che sostanzia i racconti e che Saer puntualizza nel primo, per poi applicarla in tutti gli altri e farne perno su cui ruotare le vite di tutti i personaggi che si incontrano e si sovrappongono, senza conoscersi e senza vedersi.

Alla fine alzai la testa e lo fissai in volto. Vidi il mio stesso volto. Era così identico a me che dubitai di essere io, lì davanti a lui, che fossero mie la carne e le ossa che circondavano il debole bagliore dello sguardo fisso su di lui. Mai prima di allora i nostri cerchi si erano mescolati tanto, e capii che non dovevo temere che lui stesse vivendo una vita a me preclusa, una vita più ricca e più elevata. Qualunque fosse il suo cerchio, lo spazio a lui destinato, che la sua coscienza attraversava come una luce errabonda e tremula, non differiva tanto dal mio da impedirgli di arrivare a un punto nel quale non poteva alzare nella pioggerella di maggio altro che una faccia spaurita, piena di quelle cicatrici premature frutto delle prime ferite della comprensione e dello stupore.

 

Cicatrici