di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

Donne Vere, dedicato a Camilla Schiavo

Camilla Schiavo, docente e dirigente lucana, scomparsa il 26 febbraio.
Camilla Schiavo, docente e dirigente lucana, scomparsa il 26 febbraio.

Donne e Racconti questa settimana in libreria, tra incontri internazionali e storie belle e autentiche dentro cui ciascuno potrà trovare qualcosa di sé e della sua vita.0 Questo intervento sul blog di Giuditta me lo ha suggerito una risposta di Chiara Marchelli alle nostre domande in libreria. Ha parlato di onestà nella scrittura, di saper arrivare al lettore raccontando storie vere, autentiche, credibili. Nelle chiacchiere fatte a cena quella sera, tra amici veri, ho toccato con mano quel senso di autenticità, quello che ci fa essere persone vere.
Tante volte da queste pagine abbiamo rimarcato il concetto che per far funzionare bene una Libreria occore comprarci necessariamente qualcosa, nello specifico Libri. Una libreria non è un esercizio commerciale come tutti quanti gli altri, ma per stare in piedi deve avere i conti in ordine esattamente come ogni altro negozio. Quei sorrisi, quei consigli personalizzati, quelle proposte culturali di livello hanno un costo e quel costo si ammortizza con l’acquisto di libri. Gli incontri, gli eventi, le presentazioni di libri diventano, per questa ragione, una buona occasione per vendere. Ma gli incontri in libreria devono essere autentici. Non serve la finzione degli scrittorini che ti sono amici lo spazio di un pomeriggio. Occorre quella autenticità in più per innescare emozioni nei lettori. Emozioni che si trasformano in meraviglia e poi in possibilità di esistere se si vendono molti libri. Bisogna approfittarne di questi incontri e di queste possibilità, perchè il confronto tra mondi diversi e distanti tra persone vere, può solo fare bene alla nostra umanità.
Martedì 19 Febbraio la scrittrice uruguiana Vera Giaconi ha presentato a Parma in una libreria stracolma di gente il libro di racconti, edito da Sur, “Persone care” assieme alla traduttrice, Giulia Zavagna, e conversando con una cara amica dei Diari, Silvia Sichel. Una serata davvero molto interessante in cui si è parlato molto di vissuto, della fuga verso l’Argentina, quando aveva solo un anno e mezzo, per sfuggire a una dittatura e per trovarne un’altra, da lì a poco, nel nuovo paese. Si è parlato di famiglia e legami e rapporti molto forti tra fuoriusciti in un paese straniero.
Nel libro troviamo dieci racconti magistrali che raccontano tanti aspetti del vivere quotidiano: una ragazza che non riesce a essere davvero felice per i successi della sorella; un figlio che d’improvviso fa i conti con la vecchiaia della madre; un nonno che vuole proteggere la nipotina da tutto e tutti, nei turbolenti anni Settanta argentini; un padre che fatica a comunicare con la figlia adolescente.

“Persone care” raccoglie dieci racconti che parlano di famiglia, violenza, impulsi innominabili, desideri nascosti. Dieci racconti in cui l’inquietudine e la minaccia latente filtrano in modo quasi impercettibile nel quotidiano, esplodendo in piccole e intense epifanie, alle quali spesso il lettore è chiamato a dare la propria interpretazione.
La scrittura di Vera Giaconi lavora sulla quotidianità come un bisturi affilato, portando allo scoperto la ferocia che cova sotto i sentimenti di ognuno di noi, illuminando istinti comuni a tutti, eppure per tutti inconfessabili. Con una prosa solida e raffinata, ci regala una galleria di situazioni e personaggi così umani, fragili e imperfetti da far male, nei quali non possiamo che trovare un po­tente e impietoso riflesso di noi stessi.

Parlavo di Chiara Marchelli a inizio di questo intervento e della bella lezione di umanità che ci ha impartito. Insegna traduzione e letteratura contemporanea a New York e venerdì 22 febbraio, con grande professionalità, nonostante avesse la febbre e la stanchezza di un volo aereo, per la terza volta, dopo la presentazione di “Notti Blu” e della “Guida su New York”, è tornata a Parma per raccontarci “La Memoria della cenere”, il primo libro edito nel 2019 dalla casa editrice NN E. Una serata di grande profondità per le cose dette, per la lettura fatta a uno di quei libri, che nonostante il fatto si sia ancora a febbraio, resteranno di sicuro tra i libri del 2019. Con poche e precise parole, tutti in libreria, abbiamo potuto capire che ci trovavamo in presenza di una grande narratrice.

Elena, la protagonista del suo ultimo romanzo, è una scrittrice come Chiara Marchelli. Come l’autrice è valdostana ed ha scelto di vivere all’estero lontano dalla sua terra. Esattamente come Chiara ha un compagno di nazionalità francese.

Elena sa leggere le storie sui volti delle persone. Una notte, un aneurisma la colpisce nella sua casa di New York. Sopravvive, e insieme a Patrick decide di trasferirsi in Francia, nell’Auvergne, in un paesino ai piedi del vulcano Puy de Lúg. Durante la convalescenza, la mente di Elena arde di pensieri, di memorie interrotte, di sentimenti riscoperti, di attese e incertezze, come il magma che ribolle sottoterra, a pochi chilometri da lei. Quando i genitori vengono a trovarla per un breve soggiorno, il loro arrivo coincide con un’improvvisa eruzione del vulcano. E mentre una colonna di fumo, cenere e lava inizia a uscire dalla bocca del Puy de Lúg, i protagonisti si trovano bloccati tra le mura di casa, in un tempo sospeso che sovverte ruoli e sicurezze, paure e desideri.
Scritto in una lingua nitida e forte, capace di trascrivere le emozioni, La memoria della cenere racconta di una rinascita, di un’anima che si rigenera, alla ricerca di un fragile, delicato equilibrio con le verità impassibili che governano la vita.
Questo libro è per chi ama correre la mattina presto lungo il fiume, per chi conserva sottopelle i minuscoli dettagli dei ricordi, per chi ricorda il cielo e le strade di cenere del vulcano islandese, e per chi ha scelto di scappare lontano, fin dall’inizio, imprimendo così il suo primo, infinito passo di danza.

Chiara Marchelli è nata ad Aosta e si è laureata in Lingue Orientali a Venezia. È autrice di quattro romanzi, una raccolta di racconti e un saggio su New York, la città dove vive. Insegna Letteratura Contemporanea, Traduzione e Scrittura Creativa alla New York University. Nel 2017 ha pubblicato “Le notti blu” (Giulio Perrone Editore), selezionato tra i dodici finalisti del Premio Strega.

Per la stessa casa editrice milanese il giorno prima, il 21 di febbraio, è stato pubblicato il romanzo di un’altra donna, Rachel Khong, dal titolo “Bye Bye Vitamine!”, tradotto da Silvia Rota Sperti.

Rachel Khong è cresciuta nella California meridionale e si è laureata alla Yale University e alla University of Florida. I suoi racconti e saggi sono comparsi su Joyland, American Short Fiction, The San Francisco Chronicle, The Believer e California Sunday. “Bye bye vitamine!” è il suo primo romanzo.
Dopo la fine della sua relazione con Joel, Ruth torna dai genitori, ma il momento è tutt’altro che felice: suo padre Howard, un autorevole professore di Storia, sta lentamente perdendo la memoria e agisce senza rendersene conto, come quando getta i propri vestiti sugli alberi attorno a casa. Sua madre Annie, convinta che tutto dipenda da una dieta povera di vitamine, smette di cucinare e chiede alla figlia di restare. Comincia così un anno che Ruth racconta giorno dopo giorno in un diario, facendo scorta dei ricordi che la mente del padre non riesce a trattenere. Con la complicità di Theo organizza un finto corso di studi per permettere a Howard di insegnare ancora; e scopre un taccuino in cui suo padre ha trascritto i momenti più belli e indimenticabili di Ruth bambina, in attesa di consegnarle quegli attimi vissuti insieme.
Bye bye vitamine! parla della memoria che si conserva e di quella che si perde, della distanza tra la vita che vorremmo e quella che ci è toccata. E racconta con gentile ironia le gioie e i fallimenti quotidiani, affidando alla parola il compito di catturare il presente e custodire eternamente il passato.
Questo libro è per chi è salito su un autobus senza saperne la destinazione, per chi passeggiando in città trova calzini abbandonati sui marciapiedi, per chi sente il sole sorgere nella testa dopo una dose di magnesio, e per chi è fuggito lontano per mettere in salvo la perfezione di un ricordo, ma poi ha trovato il coraggio di accettare l’imperfezione della realtà.

A proposito di Donne un libro molto bello, uscito un annetto fa, è quello di Nadia Busato, “NON SARÒ MAI LA BRAVA MOGLIE DI NESSUNO”, edito da SEM.
È la storia appena romanzata di Evelyn McHale, una giovane donna nata nel 1924, la cui morte è ricordata come un evento insolito, e forse unico al mondo.

Evelyn si suicidò all’età di 23 anni, saltando dall’86 ° piano dell’Empire State Building, colpendo una limousine di un diplomatico delle Nazioni Unite, senza occupanti, parcheggiata 380 metri più in basso e distruggendola totalmente, ma senza che il suo corpo riportasse alcun danno fisico: sembrava si fosse seduta dolcemente sul veicolo, con una serenità sul viso, tenendosi il colletto e fingendo di essersi addormentata. L’incidente si verificò il 1 ° maggio 1947. Il fidanzato dichiarò che il giorno prima salutandosi, Evelyn pareva molto felice. E la mattina dopo, invece, comprò un biglietto per salire nel punto panoramico del grande grattacielo, e poi semplicemente saltare. Non si sono mai sapute le ragioni di un gesto fatto con tanta determinazione. Sulla piattaforma di osservazione, la polizia trovò il cappotto grigio di Miss McHale, il portafoglio con alcuni dollari, le foto della famiglia e una lettera di addio :
“Non voglio che nessuno mi veda, nemmeno, la mia famiglia. Fatemi cremare, distruggete il mio corpo.Vi prego: niente funerale, niente cerimonie. Il mio fidanzato mi ha chiesto di sposarlo a giugno. Ma io non sarei mai la brava moglie di nessuno. Sarà molto più felice senza di me. Dite a mio padre che, evidentemente, ho fin troppe cose in comune con mia madre.”
L’altezza da cui salto era abbastanza elevata e ci si sarebbe aspettato di vedere un corpo completamente smembrato e in una scena molto sgradevole. Ma non fu così. A soli 4 minuti dopo l’impatto, il fotografo Robert Wiles, fece per Life una fotografia dove stranamente non sembrava morta, ma invece pareva dormisse placidamente. Il suo corpo stranamente intatto, giaceva in una posizione artistica, quasi una installazione, e tutti quelli che testimoniarono non riuscivano a credere a ciò che avevano visto.La fotografia fu pubblicata pochi giorni dopo nella rivista Life. Dopo anni di ricerche la Busato ha scritto, partendo da quella foto, un libro riuscitissimo, doloroso e originale sulla storia affascinante e misteriosa di Evelyn, come e forse più di un romanzo. Dopo anni di ricerche e interviste, Nadia Busato ha scritto un romanzo ispirato a Evelyn partendo proprio dalla celeberrima fotografia che ha suggestionato, anche grazie al lavoro di Andy Warhol, la moda e l’arte delle avanguardie pop.

Finalmente in libreria, per Marcos y Marcos, “I cento pozzi di Salaga”, di Ayesha Harruna Attah nella traduzione di Monica Pareschi con illustrazione di Laura Fanelli.

“Le carovane arrivavano all’alba. Le carovane arrivavano quando il sole era altissimo nel cielo. Le carovane arrivavano quando la mezzanotte aveva avvolto tutto in un blu vellutato. L’unica cosa certa era che la carovana di Sokoto arrivava molto prima che la stagione finisse. Adesso, però, non era più così”.
Wurche è una principessa mascolina e selvatica, abituata a comandare; Aminah cucina per le carovane di passaggio, è timida e sensuale. Le loro strade si incrociano a Salaga, la città degli schiavi. Sogni e destino di due donne come noi nell’Africa precoloniale. Aminah vive in un villaggio sulla pista delle carovane, le piace cucinare e creare cose con le mani; sogna di cucire scarpe come suo padre e viaggiare per venderle. Il viaggio che l’aspetta è ben diverso, ma rivela il suo coraggio e la sua capacità di resistenza. Wurche è la figlia di un re, una guerriera; sogna di governare insieme al padre e ai fratelli, per risolvere i conflitti interni e contrastare la rapacità degli europei. Non immagina che le chiedano invece di sposarsi, per cementare un’alleanza. La guerra incombe, e nei villaggi imperversano i mercanti di schiavi, che portano il loro bottino a Salaga, la splendida città dai cento pozzi. Uno di loro è Moro, cavaliere bellissimo e sensibile, eppure implicato in quel traffico osceno. Aminah e Wurche si incontrano grazie a lui: sono una principessa e una schiava, ma entrambe devono conquistarsi la libertà.

Ayesha Harruna Attah è nata ad Accra (Ghana) nel 1983, sotto il regime militare, ma in una famiglia di giornalisti molto aperta in cui le storie erano il pane quotidiano. Ha studiato alla Columbia University e alla New York University, per poi tornare in Africa e cominciare a scrivere. I suoi primi due libri sono stati finalisti di premi prestigiosi (Commonwealth Writers’ Prize, Kwani Manuscript Project) e i suoi testi sono stati pubblicati sul «New York Times Magazine». La prima scintilla dei “Cento pozzi di Salaga” è il ricordo di una trisavola, venduta come schiava sul mercato di Salaga nel Ghana precoloniale, negli anni cruciali dell’aggressione europea. Celebrato in Africa per la profondità della ricostruzione storica e per la forza delle due protagoniste femminili, è in corso di pubblicazione in nove paesi. Ayesha Harruna Attah vive in Senegal ed è considerata una tra le voci più forti della narrativa africana di oggi.
A proposito di racconti autentici: in queste settimane è uscito anche “Quella metà di noi” di Paola Cereda, pubblicato con Giulio Perrone editore.

Storia di una donna, la storia di Matilde Mezzalama, che ricomincia sempre e a modo suo, storia di una città con il suo centro e le sue periferie, storie di cura, relazioni a contratto.
Paola Cereda, psicologa e scrittrice, ha scelto come protagonista del suo nuovo libro una ex maestra in pensione alle prese con un nuovo lavoro come badante nella casa di un capriccioso eppure ancora lucidissimo e interessante ex ingegnere torinese. Perché mai una donna come Matilde, meritatamente arrivata alla pensione, deve riprendere a lavorare? A cosa le servono i soldi che accantona di mese in mese? Matilde ha un segreto che condiziona in maniera irreversibile le sue scelte. Maestra in pensione, contrae un debito importante e ricomincia a lavorare. Si reinventa badante. La sua vita si divide tra il quartiere periferico di Barriera, dove vive, e il centro di Torino, dove si reca ogni giorno per prendersi cura di questo anziano ingegnere. Si ritrova così ad abitare nel mezzo: nel mezzo di due case, nel mezzo di più lingue, nel mezzo di altre vite, nel mezzo di decisioni ancora da prendere, in una società che cambia e fa emergere nuovi bisogni e nuovi mestieri. Matilde è sempre sembrata un libro aperto per tutti: moglie, madre, maestra elementare appassionata del suo lavoro. Ma chi ha mai davvero provato a conoscerla, a parte il marito, che però è morto da anni? C’è un’altra vita che Matilde ha tenuto a lungo per sé: quella che l’ha vista tornare donna, con speranze, sogni, desideri di una tanto fantomatica svolta fatta pensando a sé, per una volta. Porta con sé un segreto, questa donna, e i segreti sono spazi di intimità da preservare, nascondigli per azioni incoerenti, fughe, ma anche regali senza mittente per le persone che amiamo. Cosa resta di autentico dunque nei rapporti quando si omette una parte di sé? Dove si sposta il confine tra sentimento e calcolo? Matilde lo scoprirà nel confronto con sua figlia, con l’ingegnere di cui si prende cura, con gli spaccati di vite sempre in bilico del quartiere di periferia in cui vive. Un’altra storia autentica.

Nello Zaino di Antonello: Per Camilla