Sono molto affezionata alla scrittura di Lorenza Pieri dal suo primo romanzo Isole minori che rimane uno dei miei più cari. [QUI il link della lettura che ne feci sul blog] Sono quindi tornata a leggerla con il terzo romanzo Erosione (che titolo stupendo!) dopo averla attesa da Il giardino dei mostri, pubblicato nel 2019. [Per il quale abbiamo chiacchierato QUI] Tutti per E/O edizioni.
Erosione è un romanzo sul sogno infranto dell’America e anche del capitalismo, perché Lorenza Pieri è una delle poche che sa raccontare le differenze sociali con acribia e sensibilità
La protagonista è una casa sulla costa atlantica degli Stati Uniti, sogno di agiatezza per la famiglia Amenta, erosa lentamente dalla morte del nonno Giovanni e non più sostenibile economicamente per i nipoti, le tre voci narranti che si alternano nell’ultimo soggiorno nella casa, venduta con l’inganno, per raccogliere in tre scatole, come facevano da ragazzi per le vacanze estive, ciò che vogliono conservare della casa dell’infanzia, di sé stessi e della vita in generale.
Gli oggetti che Anna, Geoff e Bruno (i nomi tradiscono le origini italiane tranne per l’ultimo dei fratelli, ma anche questo dato non è casuale) raccolgono nelle scatole sono correlativi oggettivi della loro indole e segni tangibili delle loro particolari esistenze, attuali e passate.
Attraverso gli oggetti si scatena il racconto di ciò che ha segnato le vite di ciascuno dei tre, del dipanarsi dei loro rapporti e delle scelte che li hanno portati a quell’ultimo giorno. Lorenza Pieri scalfisce un romanzo di fine introspezione psicologica dove è l’interiorità dei personaggi che accoglie e analizza la contemporaneità a partire dal cambiamento climatico.
È il dentro che abita il fuori. Un fuori che si sta lentamente e inesorabilmente erodendo, creando dei barbagli anche nell’intimo dei personaggi. E poi c’è la voce della scrittrice, quel suo modo di attraversare la narrazione con passo spedito e sicuro. Quel modo affilato di abbracciare diversi temi e di tenerli stretti alle vite dei personaggi che racconta.
Ma questa è solo una riconferma per chi come me ha già amato i libri precedenti.

Il romanzo americano dell’autrice di Isole minori e Il giardino dei mostri: si legge sulla quarta di copertina del nuovo libro di Lorenza Pieri, Erosione.

Americano di certo perché ambientato negli Stati Uniti, specificatamente sulla costa atlantica, la Chesapeake Bay. Ma forse la quarta si riferisce a qualcosa di più profondo, radicato e visionario, che influisce non tanto sulla voce della scrittrice, che rimane quella calda, raffinata, inebriante che abbiamo già conosciuto, apprezzato e amato, ma sulla struttura narrativa e sulla modalità del racconto. Tre voci che si alternano, prima quella di Anna, poi quella di Geoff, unica in prima persona, infine quella di Bruno. Tre fratelli che stanno per vendere la casa al mare, erosa dall’azione costante e continua dell’oceano e dalla cattiva gestione umana del territorio. 

Lo considera un romanzo americano come antitesi ai precedenti anche Lorenza Pieri? O è più forte la linea di continuità al di là della diversità di ambientazione?

RISPOSTA: Grazie Giuditta per questa domanda, che contiene già in sé parte della risposta… non considero Erosione un romanzo in antitesi con i due precedenti, piuttosto una loro prosecuzione che ha in un certo senso un legame con i “salti” della mia storia personale. Ognuno dei miei romanzi è ambientato in un luogo che conosco molto bene, per averci vissuto. E anche questa volta per la mia storia sono partita da una geografia. Un luogo che ho amato, la Chesapeake bay, vicino a Washington – dove ho vissuto per otto anni – e che in un certo senso mi è entrato nel cuore (anche perché con tutte le differenze del caso, trattandosi di una zona costiera, tra mare e aree lagunari, è una specie di “maremma americana” una maremma al cubo). I “posti” per me sono fondamentali micce che innescano le storie: li osservo, osservo le persone che ci vivono, le architetture, la natura, gli animali, il modo in cui lo spazio abitato parla. Pure il paese più remoto della terra contiene delle storie incredibili ed è sempre toccato dalla Storia, quella con la S maiuscola anche se tutto rimane apparentemente immutato nei secoli. Negli ultimi decenni la Chesapeake Bay ha subito pesantemente i danni ambientali legati ai fenomeni di climate change, mi interessava molto partire da questo, da una storia non distopica ma contemporanea sui disastri causati dal cambiamento climatico, sull’erosione della terra abitata. Ma tutto questo è rimasto solo in filigrana, perché poi il romanzo è quasi completamente focalizzato sulla storia dei tre fratelli rispetto alla perdita della loro casa d’infanzia e sui racconti delle loro vite. Se, avendo letto i miei romanzi precedenti, si sente un salto rispetto alla struttura narrativa e alla modalità del racconto spero che sia un salto in avanti… forse è grazie alle letture americane? Alla mia vita negli Stati Uniti che ha cambiato il modo con cui costruisco le voci, collego e monto le storie? Può essere, ma non so dirlo con certezza. So per certo solo che si cresce e si cambia e ogni evento che ci segna, inevitabilmente finisce per riflettersi anche nella scrittura. Nel mio caso sicuramente avere vissuto così a lungo negli Stati Uniti ha lasciato un segno.

Erosione è quella del climate change che con le sue nefaste manifestazioni ha danneggiato la casa delle vacanze, emblema del sogno americano del nonno. Ma

Anna era convinta che la casa avesse cominciato il suo lento inabissamento quando era morto il nonno

nel 1999. Erosione è anche quella della disgregazione di una famiglia, che aveva affastellato nella casa tante parti di sé: dai vasi della madre Margaret, rimasta vedova con tre figli piccoli; ai diversi oggetti che ciascuno dei tre fratelli metterà in una scatola, per forse far germogliare altrove quello che la casa al mare ha rappresentato per tutti loro. Le tre voci con cui costruisci il romanzo, pur essendo monologanti, finiscono per intrecciarsi tra loro attraverso gli oggetti che compaiono alla vista dell’uno e vengono poi raccontati e raccolti da un altro.
L’erosione può essere fermata, o con il tuo romanzo, di cui è parola chiave sin dal titolo, vuoi intendere che è cifra dominante della vita umana? C’è una differenza tra l’erosione causata dal cambiamento climatico e quella dei sentimenti che affligge ciascuno dei personaggi del romanzo?

RISPOSTA: Giuditta, come al solito la tua lettura è così profonda che quasi avrei voglia di rispondere solo, “sì, è esattamente come dici”. Il titolo del romanzo è volutamente polisemico e fa riferimento ovviamente all’erosione dovuta ai cambiamenti climatici della terra sulla quale è costruita la casa e anche in senso lato all’erosione che il tempo opera sui rapporti umani, sulle relazioni familiari e di coppia. C’è anche l’erosione che una malattia come l’alzheimer opera sulla memoria, sulla vita stessa di Margaret. In un certo senso, come dice Anna, riferendosi anche ai fenomeni della fisica, l’erosione è un processo irreversibile, e tutti e tre i fratelli si ritrovano a dover fare i conti con la parola “ormai”, con i fatti ineluttabili della loro vita. Attraverso gli oggetti che cercano di “salvare” ognuno di loro ripassa quello che nel corso della propria esistenza è successo e non si può più cambiare, quello che li ha portati fin lì, a dover dire addio per sempre a un luogo che tanto ha significato per tutti. L’erosione è letteralmente un processo inevitabile e cifra dominante dell’azione del tempo sulle cose. Eppure in un certo senso spero che non sia una lettura troppo pessimista. L’erosione è anche trasformazione, cambiamento, non è detto che qualcosa che si è consumato non possa dar vita a una forma nuova, che comunque ha un futuro davanti a sé, diverso da prima, ma comunque un futuro.

In questo senso credo che il ruolo dato ai figli di Anna, Geoff e Bruno, che vengono solo evocati nel romanzo, sia proprio quello di ricordare che comunque sia la vita va avanti. Per questi ragazzi, ormai quarta generazione di migranti, per cui non vale più neanche la definizione di italoamericani, si è già compiuto completamente lo sradicamento, da un luogo e dalla famiglia di origine, dai legami con il passato: i ragazzi sono il distacco che è già avvenuto; l’erosione ha colpito i loro genitori, a loro rimarrà il compito di gestire il cambiamento, anche se questo non viene raccontato.

Ci sono tanti temi tuoi in Erosione, come i legami tra generazioni e tra visioni diverse della stessa realtà, e come inesorabilmente a volte si rimanga imbrigliati nei desideri e nelle aspettative degli altri, o i dislivelli di classe sociale, che in Italia sei una delle poche che riesce a raccontare con incisività, e dei retaggi che si portano dietro.

Ma quello che salta all’occhio è la differenza di voce in Erosione rispetto ai precedenti romanzi. La polifonia, talvolta stridente, che hai saputo armonizzare e valorizzare nel raccontare le vicende famigliari da tre punti di vista, convergenti eppure differenti. Con una maestria profonda, trasformi la voce narrante da una terza a una prima per poi culminare in una voce intermedia che dentro di sé racchiude la terza, la prima e persino la seconda persona nel racconto di Bruno, il primogenito che è anche il personaggio con cui il lettore meno solidarizza all’inizio e che riscopre con fragilità e crepe inaspettate. Forse il più emblematico di una certa proiezione del sogno americano.

Che valore hanno le voci in Erosione? Perché a me è sembrato che racchiudessero non solo un modo di narrare, una forma, ma un senso di profondità e spessore di ciò che volevi condividere con il lettore.

RISPOSTA: La scelta di utilizzare tre voci narranti diverse è stata un po’ una sfida che ho affrontato con la consapevolezza che avrei potuto spiazzare i lettori se non irritarli. Eppure mi è sembrato necessario e forse anche stilisticamente più coerente adattare le voci ai tre personaggi e ai loro tre diversi atteggiamenti rispetto al momento che stanno vivendo. Per Anna la narrazione in terza persona è più adatta perché è quella dei tre che sembra aver trovato le risposte che cercava fuori da sé, ha in un certo senso risolto il distacco dalla casa, dalla memoria, da un suo individuale attaccamento alle cose inserendo tutto in una sorta di ineluttabile disegno universale di cui lei è consapevole di essere solo una minuscola parte: la terza persona, il narratore onnisciente che ne descrive gesti e pensieri si adatta perfettamente alla sua idea. Geoff invece è tutto introspettivo, ripiegato su se stesso, e per raccontare lui, le sue vicende, le sue “sfortune”, la prima persona era inevitabile: avevamo bisogno di sentire direttamente dalla sua voce la sua versione dei fatti, anche quella nota di vittimismo che ogni tanto trapela, poteva essere resa soltanto affidando il racconto ai suoi stessi rimuginii. Bruno invece è apparentemente tutto “altrove”, come fosse sempre distratto da altro, da questa amante che non ha niente a che fare con il suo passato e la sua casa d’infanzia e verso la quale invece proietta ogni pensiero, ogni desiderio, persino le cose che raccoglie nella sua scatola sono per lei: è come se vivesse quelle ultime ore alla casa “in denial”, in una sorta di negazione del momento, e cercasse quindi disperatamente di aggrapparsi a Helen, ai pensieri per lei, per non assistere veramente a quello che sta facendo. Anche in questo caso, mi è sembrato più funzionale alla narrazione di Bruno l’utilizzo di questo ibrido di punti di vista che spesso prende la forma della seconda persona singolare: il tu di questi lunghi messaggi vocali con i quali si racconta cercando di occultare le sue debolezze, le sue crepe, il dolore di quel momento. Credo che questa sfida di coerenza stilistica sia abbastanza riuscita. Nessuno dei protagonisti mi sembra narrativamente più forte degli altri, tutti e tre sono molto diversi e mi pare che nessuno di loro sia più credibile o più riuscito degli altri, pure nella polifonia che si crea. Via via che incontro i lettori mi piace moltissimo chiedere chi sia il fratello preferito e sorprendentemente i tre sono praticamente in pareggio. Molte lettrici hanno amato Anna, con la quale si empatizza facilmente, ma anche Bruno (il preferito dei miei editor) dietro quella sua voce impostata e saccente rivela una fragilità che in molti hanno riconosciuto, Geoff è quello che finora piace di più ai lettori giovani che lo hanno trovato “l’anima del racconto”. Insomma è una vera soddisfazione constatare che questo libro riesce a fare quello che deve fare la letteratura, raccontare l’umano facendo risuonare in chi legge corde diverse, non univoche, perché in fondo sono i libri che leggono noi, non viceversa.

Come lettrice, alla tua domanda su quale dei tre personaggi preferisca, non riuscirei a scegliere, avendoli amati e compresi tutti, e nello stesso tempo mi ritrovo in tutte le ragioni che elenchi degli altri lettori. Forse mi viene da pensare che Anna sia più vicina alle ragazze, complesse vivide e puntute che hai raccontato nei libri precedenti, mentre con i due fratelli siamo su un terreno nuovo e spiazzante, due voci sorprendenti e che mutano nelle pagine e si trasformano al tocco di ogni oggetto che decidono di mettere nella scatola.

Vorrei tirare un altro filo di connessione tra Erosione e i tuoi libri precedenti, che erano scritti nella percezione della lontananza. Tu che vivevi negli Stati Uniti e loro che erano ambientati in Italia, nella tua terra d’origine: l’isola del Giglio e la Maremma.

Erosione è scritto in un momento particolare della tua biografia: durante i preparativi per il ritorno in Italia. Non una lontananza fisica dai luoghi narrati, ma una sensazione di distanza emotiva e forse anche di nostalgia, o come direbbero Francesca Serafini e Giordano Meacci che l’hanno coniata, di emmenalgia, il dispiacere per quello che non potrà più accadere nella tua vita americana? 

La distanza è un elemento che alimenta il tuo modo di scrivere? o la circostanza che tu abbia scritto dell’Italia quando ne eri lontana e degli Stati Uniti quando stavi per lasciarli è una mera coincidenza?

RISPOSTA: Carissima, grazie ancora per queste riflessioni profonde, per aiutarmi sempre, con le tue domande a capire meglio anche quello che io stessa scrivo, le connessioni profonde, spesso inconsce che ci sono tra un libro e un altro. 

Partendo dalla domanda sulla distanza posso dire che sì, è un elemento che alimenta moltissimo il mio modo di scrivere e in entrambe le dimensioni, quella geografica e quella temporale. La distanza geografica crea quella sorta di limbo nostalgico che è uno stato molto creativo in cui stare immersi, nello stato d’animo della mancanza la mente non fa che creare e ricreare con l’immaginazione l’oggetto della mancanza e questo lavorìo continuo diventa quasi una materia prima da cui attingere a piene mani per la scrittura. La distanza temporale a me è sempre servita per mettere a fuoco, per vedere più chiare delle situazioni che ho conosciuto e di cui, mentre ci ero immersa non ero del tutto, o per niente, consapevole. Quello che per esempio sono stati certi passaggi cruciali della nostra storia contemporanea che ho vissuto durante l’infanzia o l’adolescenza, in contesti in cui palesemente stavano accadendo cambiamenti radicali (per essere più concreta mi riferisco a tutti i cambiamenti sociopolitici avvenuti tra il finire degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 che a Capalbio dove vivevo all’epoca erano particolarmente evidenti e che ho raccontato nel Giardino dei mostri), non sarei stata assolutamente in grado di raccontarli mentre li stavo vivendo. La distanza temporale permette di avere più strumenti per leggere ciò che è accaduto, in parte perché il tempo ci regala una maggiore lucidità, più strumenti di valutazione, più maturità se vuoi, in parte perché è come se la scrittura stessa fosse una sorta di binocolo che permette di mettere a fuoco molti dettagli, alcuni dei quali ovviamente, messi lì in bella posa dalla memoria selettiva (ma questo è un altro discorso che meriterebbe troppo spazio e non voglio andare fuori tema, credo che ne abbiamo già parlato comunque della scrittura come strumento di conoscenza e del fattore memoria).

Devo confessarti che in realtà dire che Erosione sia stato scritto mentre mi preparavo a tornare in Italia non è del tutto corretto. Il romanzo è uscito nell’estate del 2022 esattamente in concomitanza del mio trasloco intercontinentale, ma l’ho scritto molto prima, tra il 2020 e l’inizio del 2021, quindi in piena pandemia, quando non solo l’idea del trasferimento non era ancora in cantiere ma anche solo viaggiare era difficilissimo. Credo che in questo caso più che la nostalgia abbia giocato un ruolo la “solastalgia” una nuova emozione coniata di recente per indicare una sorta di dolore per un posto amato e che è stato distrutto o compromesso dall’azione umana o dal cambiamento climatico. La paura di non ritrovare casa, la nostalgia di un posto che non riesci più a riconoscere come luogo che ti infonde pace o sollievo, solacium. Come la vecchia casa sul mare che ormai è diventato un posto inospitale e in rovina, come tanti luoghi di questo pianeta che abbiamo paura di non riuscire a riconoscere più come rassicuranti e nostri. Ecco credo che per scrivere Erosione abbia influito più la solastalgia che la nostalgia, più la pandemia dell’emmenalgia (che comunque è un concetto bellissimo, una sensazione che provo costantemente, io che vivo ormai sempre in un altrove, e ho eletto casa io mio costante essere “da un’altra parte”).

L’idea è di Anna: riunire i fratelli, e anche la madre ormai inferma nella casa al mare che sono alla fine riusciti a vendere, nonostante le condizioni non ottimali e con il rischio che prima o poi l’oceano la sommerga. Ciascuno ha la sua scatola in cui preservare e conservare quegli oggetti fondamentali che racchiudono la memoria personale e familiare. Una tradizione della loro infanzia. Quando si trasferivano nella casa al mare per le vacanze, la madre concedeva a ciascuno di loro una scatola di oggetti da portare con sé.

Ognuno dei tre capitoli, si apre con la lista delle cose che i tre prenderanno. La tua maestria è di usarli per indagare nelle pieghe esistenziali dei personaggi e mostrarceli così nella loro autenticità emotiva. 

Da dove ti è venuta l’idea? E dove hai scovato oggetti talvolta così particolari e altra volta così comuni, ma pieni di senso nella narrazione delle vicende del romanzo?

RISPOSTA: L’idea di partire dagli oggetti mi è venuta proprio riflettendo sul fatto che le nostre case ne sono piene, che inevitabilmente tendiamo all’accumulo e specialmente una casa di famiglia è fatta dalla somma e dalla stratificazione delle “cose” di ognuno dei componenti. Spesso gli oggetti di una casa conservano molto di più della loro semplice funzione. Molti di essi vengono caricati di un valore molto più grande, nella maggior parte dei casi collegato alla memoria di chi quell’oggetto lo ha usato o lo ha posseduto. (Guarda cosa è successo per esempio con gli oggetti della casa di Joan Didion, che sono stati di recente messi all’asta: quasi niente è stato comprato per il suo valore commerciale: paradossalmente è successo che una bella scrivania antica è stata venduta a un prezzo più basso di un set di 13 quaderni intonsi della scrittrice, evidentemente perché un taccuino appartenuto alla Didion è stato caricato di un valore magico, come se il solo fatto che fosse stato suo potesse dare a delle pagine vuote il potenziale delle sue frasi mai scritte). 

Come dice Gaia Manzini in una bella recensione di Erosione comparsa sul Foglio, le case sono “la stratificazione delle nostre esistenze” e io in effetti ho un po’ lavorato da geologa. Ho raccolto dei campioni, gli oggetti, e li ho analizzati, carpendo delle informazioni su chi li aveva raccolti. Ognuno dei tre fratelli mette nella sua scatola oggetti molto diversi: Anna, che è quella che ha avuto l’idea e in un certo senso crede in quel rito come in un momento importante per la memoria della famiglia, prende infatti quasi tutti cimeli che appartengono agli Amenta, oggetti di cucina, il coltellino del nonno, strumenti casalinghi che venivano usati nel passato. Geoff che invece è più ripiegato su se stesso, colleziona e salva degli effetti personali, perlopiù oggetti della sua infanzia. Bruno poi, sembra raccogliere cose a caso, prive di un valore simbolico, come se compisse questo rito in una totale “distrazione” dal momento, mette nella scatola oggetti che vuole regalare  alla donna amata, che non ha nessun legame con quella casa, quello che trova ha più a che fare con i desideri che con i ricordi, ma vedremo che la sua stessa strategia di distrazione funziona fino a un certo punto… Rispetto alla collezione di questi oggetti molto particolari che ognuno dei tre fratelli decide di conservare, devo confessare che non c’è stata una vera e propria pianificazione dei ritrovamenti. A un certo punto io ho ricostruito questa casa sul mare nella mia testa in maniera così dettagliata che le scene le vedevo mentre le scrivevo: i miei personaggi aprivano sportelli, armadi, cassetti e lì gli oggetti c’erano già, li trovavano, non ho la più pallida idea da quale anfratto del mio cervello spuntassero, erano già lì.

Per concludere, mia cara Lorenza, con infinita gratitudine: se avessi anche tu a disposizione una scatola per traslocare nel tuo prossimo romanzo, che cosa porteresti con te di indispensabile dei libri precedenti? 

RISPOSTA: Questa è una domanda difficilissima. In tutti e tre i romanzi, molto diversi tra loro, ci sono due elementi che tornano: il mare e il sentimento della fratellanza, entrambi per me imprescindibili ma impossibili da inscatolare. Diciamo allora che se invece dovessi attenermi alla ritualità degli oggetti e delle scatole: da Isole minori porterei via una bottiglietta di sabbia della spiaggia delle Cannelle del Giglio (lo so, non si dovrebbe fare, ma è un gioco!), dal Giardino dei mostri un messaggio di Niki de Saint Phalle con la sua grafia disegnata, da Erosione il coltellino “zammara” per affrontare più sicuri il futuro, tutti talismani che possono aiutare perché sentirsi protetti è importante (fermo restando che l’unica cosa indispensabile per la scrittura è la mia lingua madre, che conservo e coltivo gelosamente nell’unica scatola a cui tengo veramente, quella cranica 😉

Questa estate, ospite della trasmissione Cacciatore di libri condotto da Alessandra Tedesco ho consigliato Erosione di Lorenza Pieri insieme a Oh William! di Elizabeth Strout, tradotto per Einaudi con affinità emotiva da Susanna Basso, e La casa di marzapane di Jennifer Egan (traduzione impeccabile di Gianni Pannofino per Mondadori): vi lascio il link QUI

Chiacchierando (ancora) con Lorenza Pieri
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