Il più bel libro della mia estate, che mi ha fatto compagnia con acribia e piacevolezza regalandomi tante inattese scoperte e frequenti illuminazioni.

Il Novecento in trenta racconti (e tre profezie) è il sottotitolo esplicativo del nuovo libro di Giacomo Papi per Rizzoli: Italica. E se non fosse ancora del tutto chiara l’intuizione geniale che è alla base del libro, sulla copertina si legge ancora: Da Calvino a Tondelli, i nostri ultimi cent’anni raccontati dai grandi maestri.

Ma è l’introduzione che dà la netta e precisa indicazione di quale idea sia stata declinata in Italica: la letteratura come documento, al pari delle altre arti, per illustrare in presa diretta il Novecento in tutte le sue sfaccettature. I racconti scelti sono stati scritti per la maggior parte mentre i fatti avvenivano.

Vi invito a leggere l’indice per farvi un’idea ancora più chiara della molteplicità dei fenomeni e degli eventi storici che Giacomo Papi passa in rassegna attraverso la voce di scrittori e scrittrici, tutti non viventi, come chiarisce Papi:

per coerenza con la concezione documentale della letteratura e per consegnare il Novecento ai classici.

Io aggiungerei per traghettare il Novecento dai classici ai “viventi”, i contemporanei, i millenials… o a chi altro, chiederei allo scrittore? C’è stata anche un’intenzionalità sul lettore alla base dell’ispirazione per un libro come Italica?

RISPOSTA: All’inizio non ci ho pensato. Non è mai una buona idea scrivere con un pubblico in mente. Desideravo semplicemente capire se fosse possibile costruire una storia dell’Italia degli ultimi cent’anni attraverso la letteratura, e i racconti in particolare che da noi sono un materiale abbastanza trascurato. Via via che lavoravo, però, una tipologia di lettore mi si è chiarita in testa, almeno sotto forma di desiderio: vorrei cioè che questo libro arrivasse agli studenti o comunque alle persone giovani, perché mi pare che sia un modo nuovo e diverso di raccontare la storia e la letteratura, una specie di bigino, un riassunto tutto sommato breve, per ricapitolare quello che è successo negli ultimi cent’anni e perché siamo quello che siamo oggi, ma anche una panoramica sulla letteratura italiana del Novecento.

Come ogni volta che un libro mi appartiene e mi entusiasma, mi colmo di gratitudine per chi l’ha scritto: quindi ti ringrazio infinitamente per averci regalato un libro come Italica. Il grazie più intenso te lo devo non solo come lettrice ma come docente.

Sono da anni alla ricerca di un modo per attraversare il Novecento con i miei alunni di quinta. Ero alla ricerca di un modo non scontato, non libresco, di una sintesi non semplificata sulla banalizzazione ma viva e vivida. Adesso l’ho trovata con Italica e la sua narrazione.

Sempre nell’introduzione tu poni l’accento sull’importanza della voce femminile per raccontare l’Italia del Novecento, avvertendo che

gli scrittori sono più numerosi delle scrittrici, perché nel Novecento anche la letteratura è stata un’attività in prevalenza maschile. Scrivere è un potere che implica la possibilità di essere letti, dunque di avere attenzione, e così, per ritagliarsi uno spazio e rispondere alle aspettative della società, la maggior parte delle scrittrici italiane si relegò nell’analisi della sfera intima, non in quella pubblica, scrivendo per lo più di sentimenti e di famiglia, di costume più che di politica, di amore più che di cronaca.

Nonostante questo, o forse proprio in virtù di questa premessa, tra i trenta racconti, ci regali delle scoperte sensazionali. Rosa Rosà in apertura per la città futurista; Mura, pseudonimo di Maria Assunta Giulia Volpi Nannipieri, per raccontare La donna italiana nel ventennio fascista; Paola Masino con Fame, che come il precedente racconto costò la chiusura delle riviste in cui furono pubblicati, da parte del regime fascista; Leda Muccini con Il Grassone per il capitolo dedicato agli anni Sessanta e intitolato Le italiane si confessano; Luce d’Eramo sul terrorismo; e infine Anna Rinonapoli per una delle tre profezie con il racconto Silenzio su Terra. Oltre alle scrittrici note e amate: Elsa Morante, Natalia Ginzburg e Anna Maria Ortese. Nel solco delle scoperte, tue e dunque di noi lettori, voglio annoverare Maria Messina e Chiara Palazzolo, che come scrivi nei ringraziamenti

per ragioni diverse non hanno trovato posto nell’antologia.

C’è stata una precisa intenzionalità nella ricerca delle voci di scrittrici?

RISPOSTA: Le riviste di racconti furono, almeno fino a metà del secolo, la palestra grazie a cui milioni di donne impararono a leggere e a capire il mondo, ma scrivere racconti fu anche la palestra attraverso cui si fecero le ossa decine e decine di scrittrici, oggi per lo più dimenticate. Direi che per le scrittrici italiane del Novecento la forma narrativa principale sia stata il racconto. Quelli scritti da donne in genere erano dedicati alla sfera intima, familiare e amorosa, quindi perfetti per scandire i cambiamenti di costume, ma non sempre adatti a un’antologia pensata per raccontare gli eventi storici attraverso la letteratura. Volevo avere una rappresentanza femminile adeguata, e per questo ho letto molti più racconti di donne che di uomini, ma raramente ho trovato la cronaca di snodi storici precisi. Questo non toglie che ne abbia letti di bellissimi. Oltre alle scrittrici presenti in Italica, e alle due citate nei ringraziamenti, ne consiglierei altre di grande valore a cui ho dovuto rinunciare a malincuore: Milena Milani di Emilia sulla diga, Paola Drigo, e certamente le più note Alba de Cespedes, Maria Bellonci, Francesca Sanvitale.

Racconti (quasi) contemporanei agli eventi narrati e autori e autrici non più viventi sono i due requisiti che abbiamo già evidenziato nella scelta che ha guidato Italica, ce ne sono altri?

RISPOSTA: Il primo criterio di scelta è stata la qualità del racconto. Ho avuto chiaro fin da subito che questa antologia avrebbe dovuto innanzitutto essere bella da leggere. Sono convinto (e orgoglioso del fatto) che i racconti di Italica siano quasi tutti straordinari. Il secondo criterio è stato tematico: oltre a essere belli, i racconti dovevano trattare di eventi o passaggi epocali fondamentali per capire la storia del Novecento italiano, che avevo più o meno già in mente. È capitato, però, che alcuni racconti mi abbiamo suggerito capitoli a cui non avevo pensato: come quello di Sandro Onofri sul calcio negli anni Ottanta come annuncio della globalizzazione e della caduta dell’URSS o, ancora di più, come Salmace pubblicato da Mario Soldati nel 1926, a 23 anni, che mi ha suggerito il capitolo su come il fascismo perseguitò gli omosessuali perché narra in prima persona con grande gioia e modernità l’educazione sentimentale e sessuale di una persona che oggi definiremmo transgender.

Ogni singolo racconto è preceduto da un’illuminante introduzione, utile a contestualizzare sia il fenomeno o l’evento storico indagato, sia il racconto stesso. Sui singoli racconti si conoscono così informazioni importanti e curiose, che servono a rintracciare la temperie culturale in cui sono nati e veicolati. Ma è l’angolatura da cui sceveri il fenomeno storico ad essere particolarmente nuova, innovativa e incisiva. Ti servi di dati numerici, confronti e intersezioni algebrici che possano mettere in luce la dirompenza dell’evento, dando così al lettore una chiave inedita per entrare dentro il fatto.

Tanto è piacevole leggere i racconti tanto lo è leggere le tue introduzioni. Il lettore ne esce arricchito e impreziosito. Quante cose ho scoperto leggendoti.

Da quale esigenza nasce la presenza di introduzioni così ricche e dettagliate? 

RISPOSTA: Ho scelto di basare le mie introduzioni su numeri e statistiche per differenziarle dalla prosa narrativa dei racconti e per mettermi a servizio dei più grandi scrittori e scrittrici del Novecento. Avevo anche bisogno di ancorare il più possibile la storia a dati certi e non a opinioni: il numero di morti civili e militari delle guerre, i biglietti di teatro venduti in un determinato anno, la quantità di eroina sequestrata negli anni Ottanta, il numero di bordelli o i metri cubi edificati nei Cinquanta, il tasso di alfabetizzazione nelle campagne, la percentuale di donne laureate e così via. La fonte principale sono stati gli annuari dell’Istat, a cui si sono aggiunte relazioni di commissioni parlamentari, un tesoro altrettanto vasto e trascurato di quello rappresentato dai racconti, che via via per me è diventato quasi un’ossessione perché è un lavoro virtualmente inesauribile. Italica è una storia del Novecento che ha preso forma via via mentre scrivevo, perché solo lavorando io stesso ho capito quello che è successo in Italia, e che la storia ci riguarda sempre, non solo perché il passato fa ancora parte del presente, ma anche perché gli eventi storici parlano della storia di ognuno, per quanto sia giovane.

La Storia siamo noi, si canta a squarciagola.

E tra le pagine delle introduzioni fa capolino anche lo scrittore Giacomo Papi con la propria storia e le storie della propria famiglia.

La tua presenza, il racconto di vicende personali e famigliari che ti riguardano servono a dare corpo alla concezione della storia, così vivida e prepotente nei racconti che hai scelto e nell’idea di cui Italica si sostanzia, che gli eventi storici parlano della vita di tutti, come ci dicevi?

RISPOSTA: Come dicevo, ho capito scrivendo che la storia mi riguardava perché inevitabilmente quello di cui scrivevo si intersecava con la mia storia personale e con i ricordi della mia famiglia. Il mio augurio è che anche chi legge possa rievocare, collegare e capire meglio, attraverso la storia d’Italia, la sua storia personale e quella della sua famiglia.

C’è anche una particolare idea della Storia che ha guidato la composizione di Italica?

RISPOSTA: Più che un’idea, è una percezione. La storia non è qualcosa del passato, ma del presente: tutto quello che ci circonda, i palazzi, le strade, perfino le parole che usiamo per parlare tra noi, ora, sono storia, perché sono state costruite dai morti.

Veniamo alle tre profezie con cui si chiude Italica. In fronte scritto di Primo Levi, concepito tra il 1968 e il 1970 per l’antologia Vizio di forma, che anticipa la società pubblicitaria; Silenzio su Terra di Anna Rinonapoli, del 1964 per la crisi del patriarcato, con una tua bellissima introduzione, forse la più partecipata e piena; e per chiudere con una visionarietà miracolosa la prima pandemia, Qualcosa era successo di Dino Buzzati. Racconti che esplicano in pieno la forza di Italica: la storia che racconta di noi e che ci riguarda. Il passato che riflette il presente. 

In particolare per il racconto di Rinonapoli tu sottolinei che più di una profezia è un presagio, e forse il patriarcato è ciò che ancora ereditiamo come forte retaggio del passato, con dei passi avanti certo, anche vigorosi, ma non ancora definitivi.

Quale senso incarnano le tre profezie (o forse meglio: le due profezie e il presagio) nell’economia di Italica?

RISPOSTA: Leggendone centinaia, mi sono accorto che alcuni racconti anticipavano o almeno intuivano sviluppi che, quando furono scritti, dovevano ancora accadere. Tra gli scrittori più profetici del Novecento italiano ci sono sicuramente Dino Buzzati, Primo Levi, Italo Calvino e una sconosciutissima autrice di fantascienza, Anna Rinonapoli, che, oltre alla crisi del patriarcato, previde per esempio gli “euro zecchini” o le classifiche dei libri basate sugli algoritmi. La ragione che mi sono dato per spiegare questa capacità profetica di certa letteratura è che spesso inventare storie si basa su un procedimento analitico e deduttivo che parte dall’osservazione del presente per immaginarne gli sviluppi. Una domanda tipica da cui si parte per inventare una storia è che cosa succederebbe se… È evidente che se quel “se” è qualcosa che accade oggi, può condurre a immaginare a che cosa porterà domani. Volevo che Italica parlasse anche di noi, che parlasse del presente. Ho scoperto che i racconti del passato a volte ci riescono.

Chiacchierando con Giacomo Papi
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