di Federica Pergola

Federica

 

 

 

Le cattive di Camila Sosa Villada, traduzione di Giulia Zavagna, Sur, pp. 223, €16,50

Le cattive

In una grande casa rosa, del rosa più trans del mondo, vive la Zia Encarna, che è diventata la madre di tutte le trans del Parco Sarmiento di Cordoba.

“Il Parco Sarmiento si trova nel cuore della città. Un grande polmone verde, con uno zoo e un parco divertimenti. Di notte si fa selvaggio. Le trans aspettano sotto i rami o davanti alle auto, portano a passeggio il loro fascino nella tana del lupo (…) Ogni notte, le trans riemergono da quell’inferno di cui nessuno scrive, per restituire la primavera al mondo”.

Le cattive (Premio Sor Juana de la Cruz 2020) è la storia di Camila (che una volta si chiamava Cristian) e del gruppo di donne trans che è diventata la sua vera famiglia, vista l’impossibilità di farsi accettare dai suoi genitori. Di far accettare “l’orrore di un figlio finocchio. E ancor peggio: il finocchio diventato trans. Quell’orrore, il peggiore di tutti”.

Di fronte alle violenze del padre e alla infelicità della madre, il bambino che era Cristian non sapeva cosa fare.

“Il bambino non sa consolare la madre…sembra dirle che deve andare via, che deve avere il coraggio di andare lontano…che si cerchi un altro uomo che non la insulti, che non la maltratti, che sia contento del cibo che lei gli prepara, che voglia bene a suo figlio. Un uomo che non beva, che non diventi un mostro ogni volta che esagera col vino. Un uomo che non picchi tuo figlio, che non lo disprezzi, che non provi schifo e rabbia e gelosia per lui…un uomo che dorma al tuo fianco, che non cada nei fossi da ubriaco”.

E forse si diventa quello che si è diventati proprio per quel dolore di non essere come gli altri ti vogliono. I tuoi altri più vicini.

“Quell’infanzia violenta, con un padre che alla minima scusa ti scagliava addosso tutto quello che trovava…si infuriava e picchiava ogni cosa avesse intorno: moglie, figlio, oggetti, cane. Quell’animale feroce, il  mio fantasma, il mio incubo: era tutto troppo orribile per voler essere un uomo. Io non potevo essere un uomo in questo mondo”.

Nella famiglia del branco di trans, invece, Camila incontra donne che  vanno a caccia del “cadavere dell’amore”; donne che riescono a dimostrarle che si può fare a meno di quasi tutto ciò che ci è stato detto essere necessario; donne che vogliono mutare, trasfigurarsi, che si imbottiscono di olio motore per ottenere quello che la natura non ha dato loro. C’è Maria, che sogna di volare e che (per questo?) si trasformerà in qualcosa di ancora diverso, in questo mondo triste e colorato, violento e surreale, commovente e poetico che emerge –  vivissimo – da queste pagine potenti, cariche di una ironia corrosiva e di una brutale bellezza.

La Zia Encarna, un po’ smemorata, racconta in continuazione gli stessi vecchi aneddoti. Forse  perché di botte ne ha prese tante: dai clienti, ma anche dai poliziotti, che hanno giocato a calcio con la sua testa e anche con i suoi reni. Tanto che le capita di pisciare sangue…

Perché le trans sono cagne rognose, meno di esseri umani, e per questo quando la Zia trova un bambino abbandonato nel Parco, e lo salva da una morte orribile, nello stesso tempo sa  da subito che si è condannata all’inferno.

la polizia farà ruggire le sirene, sfodererà le armi contro le trans, strilleranno i telegiornali, prenderanno fuoco le redazioni, protesterà l’opinione pubblica, sempre propensa al linciaggio. L’infanzia non è compatibile con le donne trans…Gli idioti diranno che è meglio non mostrarle ai loro figli, che non vedano che razza di degenerati ci sono in giro. Eppure, nonostante tutto questo, il branco resta lì, prende parte al delirio di Zia Encarna. Ciò che avviene in quella casa è la complicità di un gruppo di orfane”.

Il bambino si chiamerà Lo Splendore degli Occhi “perché alla Zia Encarna , e a tutte noi a dire il vero, splendeva di nuovo lo sguardo quando stavamo con lui”.

Una storia esplosiva e struggente, raccontata quasi con violenza, la stessa subita tante volte in strada. E’ stato definito un inno alla vita, Le cattive, e una preghiera, e una vendetta.

E la forza che lo anima si avverte infatti in tutte le sue pagine: è una specie di fame, una necessità impellente di raccontare e di raccontarsi.

“Non trovo in me l’energia per fare la scenata che quella manica di miserabili schiavi del buon costume meriterebbe. Quanta vergogna provo per loro. Quanta vergogna provo per me, che non faccio la giustiziera e non li mando tutti a perdersi nell’angolo più fetido della terra. (…) Che ne sanno loro delle ore perdute a cercare di dominare la difficile arte della trasparenza e dell’abbagliare. -Siamo come un tramonto senza occhiali da sole- diceva la Zia Encarna. -il nostro fulgore acceca, offusca chi ci guarda e li spaventa-. E’ vero, ma possiamo sempre andarcene. E il nostro corpo viene con noi. Il nostro corpo è la nostra patria”.

Come sarà possibile dimenticare la casa rosa, e tutte le persone che l’hanno abitata?

Federica consiglia “Le cattive”