di Andrea Cabassi

RIVOLUZIONI PUNK TRA LE NEBBIE PADANE

Recensione al libro di Alex Ezra Fornari

Qualcosa di naturale (Wojtek)

Nel 1973 Gershom Scholem, uno dei più grandi studiosi dell’ebraismo e della mistica ebraica, pubblicò un libro, ripubblicato poi nel 2001 con il titolo “Sabbetai Sevi. Il Messia mistico. 1626-1676” (Einaudi 2001), che è considerato una delle pietre miliari degli studi sul messianismo ebraico. Testo fondamentale che affronta le vicende di Sabbetai Sevi e del movimento messianico di cui fu a capo; un movimento di tale importanza che continuò anche dopo la conversione di Sabbatei Sevi all’Islam e dopo la sua morte; un movimento così importante che influenzò il mondo ebraico per quasi tutto il Settecento.

Il libro di Scholem evidenzia il ruolo giocato dal messianismo nella religione e nella cultura ebraica. Anche perché il movimento di Sabbetai Sevi fu quello di maggior pregnanza storica, ma tanti altri minori agitarono periodicamente le acque del mondo ebraico. Quando si affronta l’ebraismo una tale presenza non può non essere presa in considerazione.

Ci si chiederà come mai questa premessa, cosa centri il messianismo con il libro che sto per recensire. Sono fuori strada? Una premessa fuori luogo? Me ne assumo il rischio perché credo che il messianismo abbia qualcosa a che fare con il libro, molto bello, avvincente, originale, di Alex Ezra Fornari “Qualcosa di naturale” (Wojtek 2022).

Ma chi è Alex Ezra Fornari?

Alex Ezra Fornari è nato a Parma nel 1962. Ha studiato arte e lingue, ma il rock e la letteratura sono sempre stati la sua passione. Scrive racconti – che non sono mai stati editi – da quando era bambino. A 16 anni ha fondato una punk band e a 18 ha inciso il suo primo singolo, seguito da vari album con più gruppi o solo. È graphic designer e si è occupato, per anni, di direzione creativa. Ama gli animali e non li mangia.

Di cosa parla questo suo romanzo? Le tematiche sono tante e intrecciate tra di loro. Comincio con alcune parole sulla trama e dicendo che il romanzo è diviso in due parti: nella prima facciamo conoscenza con Samuele, il protagonista, che narra in prima persona. Samuele è un leader, insofferente alle norme, già dai tempi delle elementari dove capeggia una classe di disadattati. Vive le emozioni, i dolori, gli amori in ogni fibra del suo corpo. Da adolescente, insieme agli amici Marzio e Aureliano, fonda  la punk band, Haz Mat. È un’adolescenza la sua segnata dall’amore per Sara, dall’amicizia per Dario, appartenente alla ricca borghesia del nord, che morirà di eroina. È un’adolescenza la sua segnata dall’amicizia e dal desiderio per Dante, ragazzo dall’ambigua sessualità. Samuele, attraverso la musica, attraverso il punk, diventerà un riferimento per tanti altri giovani punk alla ricerca di un nuovo modo di stare al mondo

Nella seconda parte del romanzo la rivoluzione punk si è dissolta e Samuele ha sposato Monica, un matrimonio che gli ha permesso di avere agi e ricchezza in un processo di normalizzazione dell’esistenza. Ma al matrimonio seguirà la separazione, la dissoluzione dei rapporti. Nel momento di crisi massima di Samuele riapparirà Dante, che era scomparso come gli altri amici della stagione punk; un Dante  che si è trasformato in una specie di guru di strada, una specie di strano Messia. Cosa deciderà di fare Samuele con la ricomparsa di Dante in questo modo trasformato?

Il romanzo è ambientato in una città che è, allo stesso tempo a me molto conosciuta (potrebbe essere la mia città) e sconosciuta (potrebbe essere una qualsiasi città spersa nelle nebbie padane). E questo essere identificabile e sfuggente aumenta il senso di familiare estraneità di freudiana memoria.

Ci sono efficaci descrizioni del quartiere in cui vive Samuele, un po’ periferico, operaio, spesso avvolto dalla nebbia:

“Ancora oggi quando penso a un luogo in cui quel pulviscolo di tristezza mi ha velato il cuore, mi torna in mente il quartiere in autunno. Ora che vivo altrove, che ho vissuto in continui altrove, so che quello che mancava là erano i colori della stagione, gli aranci, i rossi, i gialli, i verdi e i marroni. Al loro posto avevamo l’intera gamma del grigio, toni stemperati dalla foschia al mattino e dalla nebbia all’ora di pranzo che diventavano un colore unico, come quando impastavi insieme i panetti di Pongo e tutti i colori diventavano uno, un colore indefinito col quale non era più possibile modellare nulla se non la merda” (Pag. 27). 

I personaggi sono tridimensionali, descritti a tutto tondo. C’è la già citata Sara con cui Samuele avrà una storia importante; c’è Apollonia che ricomparirà nella seconda parte del romanzo; ci sono Marzio e Aureliano con cui fonderà il gruppo degli Haz Mat; c’è Dante di cui ho già parlato più sopra; c’è Dario a cui sono dedicate pagine struggenti a cui Samuele si rivolge, quando Dario è già morto, per sapere e per trasmettergli il suo senso di colpa perché non è riuscito a salvarlo:

“Com’eri tu prima dell’eroina?

Con te io non ce l’ho fatta. Non ho trovato la macchina sotto la quale muto chiedevi aiuto. Doveva essere uno di quei parcheggi su più livelli in cui la gente perde l’auto. Forse era il rumore della pioggia a coprirti la voce, o il boato dei tuoni o la grandine. La mente cerca scuse fintanto che non le trova. Me lo hai insegnato tu” (Pag. 30).

E ancora il momento drammatico in cui Samuele ricorda quando Dario gli ha mostrato il buco:

“Me lo mostrasti in classe, al banco. Ti tirasti su la manica destra del maglione e me lo mostrasti fiero. Cos’è, ti chiesi. E sorridesti, pronunciandone il nome.

Il buco te l’avevano fatto e tu te l’eri fatto fare. Da quelli che parlavano di Fugs e Pink Floyd, i grandi che guardavamo comunque con rispetto, con quei capelli lunghi, il kajal agli occhi e i bracciali di cuoio e di ottone. Tu che avevi un anno più di me, tutt’a un tratto eri diventato grande come i grandi, tu che non avevi ancora scopato e già ti eri iniettato eroina, tu che con me disegnavi fumetti e ascoltavi i Velvet Underground e i Roxy Music ora mi stavi dicendo sorridendo orgoglioso mi sono fatto di ero” (Pag. 44).

Una delle protagoniste del romanzo è la rivoluzione punk, quella rivoluzione che iniziò in Inghilterra a metà degli anni settanta e arrivò in Italia, più o meno con la fine dei settanta. Una rivoluzione che andava oltre le categorie di destra e sinistra e che qui è impersonata da Samuele e il suo gruppo. Una rivoluzione che lasciò spiazzati quelli della mia generazione, noi che avevamo sfiorato il 68, che eravamo stati dentro le lotte studentesche e operaie dei primi anni settanta, che eravamo stati dentro – non senza disagio – al movimento del 77 e che non avevamo dubbi a definire la nostra collocazione politica. Proprio non capivamo. E ci è voluto del tempo prima di comprendere. E qui, in questo romanzo, meglio che in un saggio e in tutta la sua drammaticità ci viene descritto quel mondo, le idee, il desiderio di cambiare radicalmente il modo di vita.

Qui sono molto ben descritte le difficoltà, i successi del gruppo degli Haz Mat, le invidie che il successo suscita, la disperata ricerca di un senso della vita. Sono ben descritti i concerti,  gli incontri dove  Samuele assume sempre più la dimensione di leader, quasi di un mimetico Messia:

“Attacco io con la chitarra, l’attacco è Blanc Generation e Marzio mi segue con il basso, poi entra Aureliano che pesta molto di più dei Voidoids. E poi ancora io che canto  I was sayin’ let me out of here before I was even born, it’s such a gamble when you get a face e le stelle si spaccano accendendosi, la luce è rossa ed è blu e il mais alto e scuro, e siamo tutti e tre nudi e grigi di cenere con una banda nera disegnata sugli occhi tra le guance e la fronte e Dario è in piedi tra la gente in prima fila, tu di fianco a lui, che non riesce a tenere gli occhi aperti ma vuole saltare, gente che inizia a sussultare come attraversata da brividi e io che sputo in faccia al primo che mi capita davanti, che ricambia, Marzio si fa  tagli sul petto con il collo di una bottiglia rotta. Aureliano batte su tom e rullante come pioggia con la quale non vedi, ed è cielo di stelle fracassate, sangue, saliva, sudore, bocche aperte ad urlare, liberarsi nell’odore di merda della campagna attorno, nel vapore che sale dai corpi di tutti, a farsi cielo, a cristallizzarsi in adesso” (Pag. 67-68).

E poi ancora gli incontri al Parco Lobos, che potrebbe essere un luogo del Parco Ducale della mia città, ma che potrebbe essere qualsiasi altro luogo, in qualsiasi altro Parco, di qualsiasi altra città:

“Il tempietto era nascosto tra gli alberi, lontano dai viali principali del parco. Ci incontreremo qui ogni giorno in primavera ed estate, dissi. Nessuno fece domande, come se fosse implicito che là ci saremmo visti per trasformarci e trasformare. Avevo chiesto a tutti di portare qualcosa da dire o qualcosa da leggere: Uri Geller, gli UFO, Allen Ginsberg, Robert A. Heinlein, i Pavlov’s Dog, la metempsicosi, la Legione Straniera, i Velvet Underground, il Giornale dei Misteri, i coloranti per i capelli, un chiodo in pelle, il liceo artistico, il linguistico, lo scientifico, il classico, il cazzo, la fica, il buco del culo. Tutti imparammo qualcosa che prima non sapevamo.

Con un pennarello nero a punta larga scrissi TRANSFORMER su una colonna e verso sera qualcuno disse che era stato un giorno perfetto, anche se non era vero” (Pag. 69).     

Non si può non fare riferimento ai tagli che era prassi consolidata nel mondo punk. Se nel romanzo di Alfredo Palomba “Quando le belve arriveranno” il docente di sostegno protagonista si definisce un involucro (Wojtek 2022. Pag. 77), qui i tagli, le ferite penetrano nell’involucro che è il corpo di Samuele:

“Dei tagli mi hai chiesto, del perché ci si tagliava. Era un modo per avvicinarci al cuore, era come strappare la carta che avvolge un regalo, per poterlo usare.

Per sentire di più, sentire tutto il possibile.

Aprire varchi verso il cuore, in ingresso e in uscita.

Più profonda la ferita, più profonda la percezione.

Coi tagli aperti la bruttezza del mondo ti entra dentro come una mareggiata e se non affoghi, se sai fronteggiare i cavalloni, diventi più forte” (Pag. 111)

Tutta questa prima parte del romanzo (ma, per certi versi, anche la seconda) è a ritmi di punk. Non a caso quello che io considero il paratesto e che sono le due pagine poste dopo la fine del romanzo, intitolate Juke Boxe, contengono una nutrita discografia. Un’esperienza molto utile da farsi è quella di ascoltare le canzoni inserite nel Juke Boxe mentre si legge. E allora quello che si legge diventa qualcosa che va ancora più in profondità, parole e musica si compenetrano, si intrecciano, si ha l’impressione di entrare ancora di più dentro al romanzo.

C’è un altro elemento fondamentale da tenere in considerazione. Samuele, dopo aver descritto  il concerto che più sopra ho citato e aver parlato dei ragazzi che lo seguono, ad un certo punto dice:

“Vengono sotto la pioggia, vengono nella nebbia, nella canicola d’agosto. Vogliono che gli insegni a non usar droghe, chiedono che gli venga indicato come gestire i genitori, come trattare gli insegnanti. Ho sedici anni e sono il loro rabbino. Shmuel. Il circonciso” (Pag. 68).

Rabbino o Messia? Di certo è che nel romanzo ci sono molti riferimenti all’ebraismo, già dalle prime pagine, poiché Alex Ezra Fornari è di origini ebraiche. Di origini ebraiche è il protagonista, Samuele. E io credo che non sia un caso il modo in cui i ragazzi che lo seguono si rapportano a lui. Da lui si aspettano che gli indichi la strada, si aspettano la redenzione, si aspettano che gli indichi la strada per intraprendere nuove vite con nuovi valori Ed allora ecco che torna alla mente Scholem le cui riflessioni sul messianismo non mi hanno mai abbandonato mentre leggevo “Qualcosa di naturale” .

La seconda parte del romanzo è quella della normalizzazione di Samuele, che segue al suo tentativo di cambiare il sistema da dentro. Una normalizzazione che i suoi vecchi amici considerano un tradimento. Anche, se agli inizi, quello che Samuele vorrebbe fare è una rivoluzione dall’interno. Ma è lui a essere fagocitato dal sistema. Agli inizi i vantaggi sono tanti: un lavoro ben remunerato, il matrimonio con Monica che gli apre le porte agli agi e alla ricchezza. Poi, però, poco alla volta, tutto va a rotoli, il matrimonio, il lavoro, la serenità vera o presunta che Samuele pareva aver acquisito. E, durante questo precipitare, in cui si pone numerose domande, si accorge che i bilanci esistenziali non quadrano:

“Ero invecchiato a pezzi, a partire dalla faccia.

Prima gli occhi, poi le guance, la fronte e alla fine la bocca.

Nello specchio la bocca è un taglio basso nella faccia. Non mi riesce di ridere, anche se trovo che non esista nulla di talmente serio da non poterne ridere. Deve essere il peso del colore degli occhi, che si è fatto scuro come un bosco d’inverno, che mi fa franare la faccia verso il basso” (Pag. 177).

E poco più oltre:

“Come si diventa ciò che siamo? E’ già in noi o nel recinto famigliare all’interno del quale ci insegnano a camminare?” (Pag. 179).

In concomitanza con il matrimonio che va a rotoli ricompare Dante. Cosa significa questa ricomparsa proprio in un momento del genere?  Cosa significa la ricomparsa di una persona che è diventata un guru di strada che avvicina a sé molti giovani e giovanissimi facendo disperare i loro genitori? Chi è adesso Dante? Sembra che sia lui ad aver assunto, al posto di Samuele, il ruolo mimetico – poi non tanto mimetico – di Messia.

Che differenza c’è tra i due?

Il grande filosofo tedesco di origini ebraiche, Walter Benjamin, sosteneva, nelle sue “Tesi di filosofia della storia” – contenute in “Angelus Novus” (Einaudi. 1995) –, in  specifico nella seconda, che ad ognuno di noi è stata data in dote una debole forza messianica.

Ecco le sue parole:

“Il passato reca seco un indice temporale che lo rimanda alla redenzione. C’è un intesa segreta tra le generazioni passate e la nostra. Noi siamo stati attesi sulla terra, A noi, come ad ogni generazione che ci ha preceduto, è stata data in dote una debole forza messianica, su cui il passato ha un diritto”. (Pag. 76). Forse questa debole forza messianica è un piccolo tesoro da cui ognuno di noi non dovrebbe prescindere.

Lo Scaffale di Andrea: Qualcosa di naturale