Per riprendere la conversazione con Laura Fusconi là dove si era interrotta (QUI il link alla chiacchierata svolta insieme sul suo esordio per Fazi, Volo di paglia nel 2018), comincerei dal titolo, bellissimo a mio vedere nella definizione e nella grafica, del nuovo romanzo per nottetempo: I giorni lunghissimi della nostra infanzia, che si estende in verticale sulla copertina con un moto ascendente dal basso verso l’alto, come l’uscita da un pozzo, buio e profondo.

Negli anni Novanta, quando è ambientato il romanzo, i primi Game Boy erano un privilegio per pochi: stavamo ore a guardare giocare gli altri o ad aspettare il nostro turno per provarlo. Le serie animate si guardavano su Italia 1, giorno per giorno: se perdevi una puntata eri spacciato, non c’era modo di trovarla online, l’online neanche esisteva. E non c’erano gli iPad, non c’era il WhatsApp dei genitori per videochiamare gli amici, non c’erano nemmeno Alexa, Siri o Google a rispondere istantaneamente a ogni nostra domanda.

Come già in Volo di paglia, Laura Fusconi conferma la sua voce dal timbro suadente e appropriato, ad altezza di bambino, e la capacità di raccontare quanto sia difficile vivere l’infanzia, momento fondativo e in certe circostanze ostativo della vita.

Ci soffermiamo, Laura, sull’aggettivo che nella sua forma superlativa rende evidente la durata in profondità più che in estensione dell’infanzia? Cosa rappresenta la lunghezza nella visione che proponi dell’infanzia attraverso tre bambini, sfregiati dai giorni di quel tempo inarrestabile che talvolta può sembrare immobile: Susanna, Annalia e Matteo? In che senso sono giorni lunghissimi?

RISPOSTA: Quando si è bambini i giorni sembrano infiniti. Basta pensare ai tre mesi delle vacanze estive o a tutti quei pomeriggi passati chini sul tavolo della cucina a fare i compiti.

Eravamo più allenati all’attesa. Salutavamo i nostri compagni a giugno e li rivedevamo a settembre. Le distanze stesse erano insormontabili: un amico che andava alla casa in montagna era perso per mesi, non c’era modo di avere sue notizie. 

Il romanzo è diviso in tre parti, ognuna dura esattamente una giornata, una giornata lunghissima, in cui ho cercato di raccontare esattamente i ricordi, le paure, i cortocircuiti dei tre protagonisti come se avessi accesso ai loro pensieri.

Tre giornate per tre personaggi: giorni complessi e complicati, che con fashback ben costruiti danno respiro, voce e spazio alle loro infanzie. Per ognuno di loro c’è una crepa che si allarga nel racconto: l’obesità per Susanna sentita come una colpa e un disagio; la perdita per Annalia, una perdita che è resa incomprensibile dalla chiusura dei genitori in una corazza per lenire il dolore; e la disfunzionalità famigliare per Matteo, che si associa a una povertà non solo economica, ma anche affettiva e relazionale. Intorno a loro coetanei crudeli, come sanno esserlo i bambini, in maniera autentica e totale, e adulti indifferenti che non sanno guardarli. In questo mondo fragile di sentimenti, che li abbandona a sé stessi, per ciascuno di loro c’è un rifugio che non può essere stabile perché la vita è instabile e l’infanzia scivolosa: la nonna per Susanna, il fratello maggiore per Annalia, la sorellina per Matteo.

Cosa tiene unite queste tre storie e questi tre lunghissimi giorni? O sono puzzle differenti a disegnare un’età e un momento di transizione?

RISPOSTA: Quello che accomuna le tre giornate del libro è la densità del tempo: ogni giornata comprende tutta la vita dei protagonisti, ogni momento contiene i pensieri, le speranze, le aspettative, i timori e le delusioni accumulati in dieci anni di vita. La giornata di un bambino ha un peso specifico grandissimo: un bambino ricorda ogni parola degli adulti, ogni promessa, non lascia passare nulla, è sempre attento a quello che succede attorno a lui. Susanna, Annalia e Matteo hanno lo stesso sguardo sul mondo, uno sguardo spietato che pretende risposte e sincerità. Apparentemente vivono in condizioni molto diverse, ma quello che li lega è l’esperienza del dolore che “ha una voce e non varia”: il dolore di Susanna, di Annalia e di Matteo, anche se causato da motivi diversi, è lo stesso.

E mi piace pensare che questo dolore, la crepa di cui parli, sia per loro una possibilità: è sì un punto di rottura, qualcosa che segna la fine di qualcosa e l’inizio di qualcos’altro, ma tutti e tre cercano di resistere, con una forza e una determinazione di cui gli adulti non sono più capaci; Leonard Cohen dice: “C’è una crepa in ogni cosa ed è da lì che entra la luce”. Non sappiamo se questi tre bambini riusciranno a salvarsi, bisognerebbe vederli tra vent’anni, però le premesse ci sono: basta pensare alla sensibilità che porta Annalia a risparmiare il pulcino, a Matteo che farebbe qualsiasi cosa per Lucia, a Susanna che riesce a cogliere ogni cambio d’umore delle persone che ha attorno. Questa loro sensibilità può sembrare debolezza quando si scontra con la cattiveria dei coetanei o l’indifferenza degli adulti, ma invece rappresenta la loro forza più grande. 

Accanto ai bambini, il mondo degli adulti. Defilato, a tratti scontroso, nei fatti indifferente. Fatta eccezione per la nonna di Susanna, che nella sua rigidità riesce sempre a trovare le lenti adatte per guardare la nipote e strapparla da quel manto di invisibilità che Susanna vorrebbe tanto indossare, ma che in realtà le è impossibile per la sua obesità, che la rende così tragicamente visibile ai suoi compagni e coetanei.

Un’invisibilità dei bambini agli occhi dei genitori che diventa eclatante, tragicamente eclatante per Annalia; e una sfumatura ancora diversa per Matteo. Lui e la sorella non sempre possono godere dell’accudimento della madre, oberata dalla fatica, e sono vittime della distrazione che diventa indifferenza del padre, ma nello stesso tempo Matteo ha delle antenne sensibilissime per captare invece le idiosincrasie e le contraddizioni del mondo adulto, e in particolare quello dei genitori.

C’è un crescendo nei tre momenti, che contrassegnano le tre storie per quanto riguarda la relazione del mondo adulto, e quello genitoriale soprattutto, con i giorni lunghissimi dell’infanzia? 

RISPOSTA: Per i bambini il mondo dei grandi è del tutto incomprensibile. Gli adulti mentono, il più delle volte non rispondono alle domande o non dicono le cose come stanno. Distratti e assenti, sono amaramente disillusi e non prestano attenzione ai bambini perché sono troppo concentrati su di sé e sul proprio fallimento. 

La mamma di Matteo ha la sensazione di aver buttato via la sua vita e non si cura fino in fondo dell’affetto e della sensibilità lucidissima del figlio. Anche la mamma di Susanna, assorbita dal lavoro e dai propri pensieri, non ha la minima idea di quello che passa nella testa della figlia. 

Sono però i genitori di Annalia a sperimentare il fallimento più grande e sono talmente concentrati a pensare a quello che hanno sbagliato con Raffaele e non si accorgono di quello che stanno sbagliando con Annalia. Sono rintronati, non sanno più da che parte sono girati, non riescono a superare il proprio fallimento, ma anzi ci si crogiolano dentro. Non sappiamo cosa questi genitori avevano pensato di diventare, quali aspettative avevano, certo è che si sono trovati davanti una realtà ben diversa da quella che avevano in mente. Suscitano compassione in questo loro essere umiliati e offesi dalla vita. Si sentono in trappola, sono convinti di non aver potuto scegliere, e quando lo hanno fatto, hanno preso le scelte sbagliate. Vivono nella paura che sia troppo tardi per tutto. Ci vorrebbe un cambio di prospettiva, per tutti: potrebbero trovare la salvezza nei loro bambini. 

La struttura che hai scelto per comporre le tre storie dei protagonisti è composita. A guardare l’indice: tre parti, ciascuna dedicata a una lunghissima giornata del protagonista, con innumerevoli flashback che consentono di entrare nel vivo dell’introspezione delle singole infanzie narrate e delle diverse situazioni affettive e familiari, più un epilogo, che ci riporta al primo tempo della prima parte e al racconto in prima persona di Susanna, suggello e chiusura del cerchio narrativo.

Entrando nello specifico della composizione narrativa, il disegno che tracci è più composito e variegato ancora: sia per il cambio di voce narrante da una parte all’altra, con il ritorno nell’epilogo alla voce che abbiamo conosciuto in apertura; sia per ritmo e scansione temporale che cambia da una parte all’altra, tanto da far pensare che in realtà si tratti di tre racconti, tenuti stretti dall’epilogo. Frammentarietà e coesione tenuti in equilibrio da una piena maturità stilistica.

Quale percezione del tempo e dello spazio narrativo ti interessava indagare con I giorni lunghissimi della nostra infanzia? che effetto riverberano sulle storie narrate?

RISPOSTA: Nell’infanzia si vive una vita interiore molto più complessa e ricca di quanto si potrebbe supporre, una vita in cui il tempo gioca un ruolo fondamentale: il passato si fa continuamente presente e il presente attinge dal passato senza soluzione di continuità.

Susanna, Annalia e Matteo cercano di essere più forti del tempo che passa: la loro vita interiore è piena di fantasmi, di persone ormai cambiate o che non ci sono più – la nonna di Susanna prepara ancora le tartine con le acciughe, il fratello di Annalia va ancora a prendere la sorella a scuola, la mamma di Matteo abbraccia i figli dopo lavoro e si fa raccontare tutti i giochi che hanno fatto. Tutti e tre avvertono il male di vivere, e quindi idealizzano il passato, vorrebbero vivere in una scena di tranquillità familiare immutabile, ma la vita non è questo: bloccare il tempo è solo un’illusione.

Questi bambini non ne hanno la consapevolezza, ma quello che cercano di fare è accettare che il passato sia passato. Le domande che lasciano al lettore sono le stesse: come si fa a lasciare andare la propria infanzia? Come si fa ad accettare il cambiamento? 

In apertura della nostra conversazione ricordavamo il tuo esordio, già così maturo e consapevole, nel 2018. Cosa cambia nella percezione di chi scrive dall’esordio al secondo libro? o si è sempre un’esordiente a ogni nuova storia?

RISPOSTA: Il piacere che mi dà la scrittura è sempre lo stesso: amo raccontare storie e passare il tempo nella testa dei miei personaggi, vedere come cambiano col tempo i loro pensieri, come la loro voce si fa via, via più nitida. Con questo secondo romanzo credo di aver avuto più dimestichezza con l’editing e con le varie revisioni, e adesso sento di avere un poco più di consapevolezza del processo e dei meccanismi che stanno dietro al pubblicare. La parte più bella resta il confronto coi lettori ed è stata una gioia ritrovare quelli che avevo conosciuto grazie al primo romanzo.

Chiacchierando (di nuovo) con Laura Fusconi
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