di Andrea Cabassi

DI UNA DISTOPICA ODISSEA

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Recensione al libro di Gianluca Di Dio

La sublime costruzione (Voland)

La sublime costruzione

Tante sono le Itache a cui si può approdare: c’è quella di Omero in cui Ulisse arriva dopo un lungo peregrinare; c’è quella di Kavafis che si augura, nella poesia “Itaca”, che l’approdo avvenga solo dopo un lungo viaggiare, “Se decidi di tornare a Itaca, /augurati che sia lunga la tua strada, / piena di avventure, piena di cose da scoprire”; ci sono, poi, ritorni che paiono ruotare su loro stessi e che non trovano nessuna Itaca a cui approdare come succede nei libri di Sebald. Un ruotare su sé stessi che è magnificamente descritto nell’ultimo lavoro di Daniel Mendelsohn “Tre anelli” (Einaudi 2021):

“Man mano che ci si inoltra nelle serpentine narrazioni di Sebald, diventa sempre più difficile sfuggire all’impressione che questo girare in tondo ci estenui senza mai avvicinarci all’argomento. Mentre gli anelli di Omero ci conducono in modo vorticoso verso l’illuminazione, addentrandosi sempre più nel passato di Odisseo fino al momento della sua nascita e della scelta del suo nome, ovvero le chiavi della sua identità epica, i cerchi dell’irrequieta narrazione di Sebald ci portano a  una serie di porte chiuse di cui non c’è la chiave. Le singole storie sono spesso introdotte da inquietanti semi-coincidenze – ad esempio il fatto che il compleanno di Holderlin cada pochi giorni prima di quello del suo traduttore – coincidenze mancate che alimentano l’aura di occasioni perdute e connessioni fallite che pervade l’opera di Sebald” (Pag. 91-92).

Non c’è nessuna Itaca in Sebald. C’è solo un infinito viaggiare, per dirla con un bel titolo di un libro di Claudio Magris.

Poi ci sono Odissee altre, tortuosissime e che dovrebbero portare a Itache dove si realizzano o dovrebbero realizzarsi oscuro progetti universali, sublimi costruzioni. Per arrivarci è, naturalmente, necessario intraprendere viaggi avventurosi, pieni di imprevisti, di tappe non preventivate, di incontri con il fantastico, qualche volta il mostruoso, altre volte con l’umano, troppo umano.

È l’Odissea che ci viene descritta da Gianluca Di Dio nel suo avvincente e bel romanzo “La sublime costruzione” (Voland 2021).   

Ma chi è Gianluca Di Dio?

Gianluca Di Dio è sceneggiatore, copywriter, libraio, scrittore. È nato a Parma e vive a Bologna. Ha pubblicato scritti su varie riviste e quotidiani. Un suo testo teatrale, “J. C. Woyzeck: un cane smarrito si aggira per l’Europa”  è stato pubblicato in Germania. Nel 2003 ha pubblicato il suo primo romanzo “L’Emiliano innamorato” ( Fernandel) e sempre nel 2003 “Senza titolo” (ART’E’), un rap poetico dedicato al writer e pittore statunitense Jean Basquiat. Nel 2010 è uscito il suo secondo romanzo “Prospero” (Italic-Pequod). Nel 2019 Voland ha pubblicato il romanzo “Più a est di Radi Kurkk” (Voland 2019).  

Di cosa parla “La Sublime Costruzione”?

La trama in breve: la città di Andrej è stata distrutta. Una catastrofe susseguente a una lunga guerra. L’unica possibilità per ricostruirsi una vita è offerta da una stranissima corriera che va verso il nord con meta finale un cantiere dove si sta realizzando un oscuro progetto universale: la sublime costruzione, che promette lavoro e benessere a chiunque lo desideri. Andrej e l’amico Arvo decidono di prendere quella corriera e di partire in direzione della sublime costruzione. La corriera è bianca e enorme. Sembra una nave-dormitorio ed è sotto il controllo di strani reclutatori che sembrano figure kafkiane. I reclutati, come Andrej e Arvo dovranno affrontare un viaggio con cinque tappe simboliche (le pescatrici, i sonnivori, i due colossi, la corruttrice prodiga, il regno degli assenti) e che ci  ricordano le peripezie di Ulisse.

Arriveranno Andrej e Arvo alla Sublime Costruzione, alla loro distopica Itaca? Al lettore scoprirlo.

Una distopica Odissea, una distopica Itaca. La Sublime Costruzione è collocata nel luogo dell’Utopia? O è Atopia?

Una breve digressione sul sublime e il suo significato. Il significato di sublime è molto diverso dal significato del termine bello. Secondo Edmund Burke è l’orrendo che affascina. Quando guardiamo i mari in burrasca, le cime innevate, le eruzioni vulcaniche quelle che noi proviamo a osservare questi spettacoli  sono le emozioni più forti che l’animo è capace di sentire. E noi uomini abbiamo la consapevolezza della distanza insuperabile che separa noi soggetti che guardiamo dall’oggetto che contempliamo.

La Sublime Costruzione sarà sublime nel senso descritto da Edmund Burke?  

Nell’attesa di una possibile risposta il lettore accompagna il viaggio di Andrej e Arvo e lo vive in prima persona, prova un senso di straniamento perché si trova immerso in un tempo sospeso. Non sappiamo l’epoca  in cui si svolgono i fatti, quelli della distruzione della città, forse di una civiltà. Potrebbe essere un lontano sconosciuto passato, oppure un passato un poco più vicino da farci ricordare la distruzione di Troia o un futuro lontanissimo al di là da venire, il tempo della distopia, appunto. Si prova un senso di straniamento come se si vivesse tra la Scilla e Cariddi del deja vu e del jamais veçu. Insomma ci si sente sprofondati nell’Unheimlich, il perturbante, quel sentimento così ben descritto da Freud: qualcosa di non familiare che, però, era già noto da lungo tempo, ma diventato oggetto di rimozione e sigillato nelle zone più profonde dell’inconscio.

Ci sono pagine che fanno risuonare corde molto profonde e che possono funzionare da chiave per la comprensione del romanzo. Siamo ne capitolo VIII, quello intitolato “La corruttrice prodiga”, quando Andrej si rivolge ad Arvo con queste parole:

“È arrivato il momento di partire, dobbiamo andare in fondo al nostro compito, dobbiamo finire quello che abbiamo iniziato, la vita vuol dire questo: finire qualcosa, non importa cosa ma finirla, chiuderla, senza rimandare né dimenticare, a testimonianza che nel disordine incomprensibile del mondo siamo stati capaci di trovare almeno una strada e di seguirla fino a dove termina, ecco…   dobbiamo arrivare a quel cantiere, e ognuno di noi deve impegnarsi in quello che aveva detto di saper realizzare, pensateci: non si può fare tutto, è una truffa, è un idea vigliacca, ce l’hanno messa in testa per confonderci. Io non voglio poter fare tutto, voglio solo trovare il mio piccolo sentiero… dedicarmi solo a una piccola cosa che, se fatta bene, è una vita intera… (Pag. 197-98).

Parole importanti, parole che esplicitano la tensione etica di Andrej, il suo processi di maturazione avvenuto lungo il viaggio, quasi che quel viaggio sia l’equivalente di un Bildungsroman. In quel processo non si tratta di costruire in modo sublime, si tratta di mettere mattone su mattone, si tratta di dedicarsi a quel lavoro con serietà, costanza, coerenza. Ed è bello pensare che nell’estremo disordine del mondo si possa trovare un piccolo sentiero, non abbandonarlo e percorrerlo intero. Forse alla fine del percorso comparirà quell’Itaca che tutti noi agogniamo, che tutti noi nella nostra vita non abbiamo mai smesso di cercare anche quando la speranza sembrava non accompagnarci più.

E, a questo punto ci viene da domandarci cosa ne rimane del Sublime di Edmund Burke.

Eppure la Sublime Costruzione si aggira, come uno spettro, per tutte le pagine del romanzo. E il lettore è portato a fare ipotesi durante la lettura. Si aspetta imponenti costruzioni, si aspetta una specie di Babele, non vede l’ora di trovarsela di fronte questa Sublime Costruzione  In realtà il finale – che, naturalmente, non svelo – è un finale inaspettato, originale, un finale aperto e molto poetico. Un finale umano, molto umano perché siamo immersi in vite che se ne vanno e nuove vite che germogliano. Il finale è l’inizio. Si inizia sempre un nuovo viaggio. Il ritorno prelude sempre a una nuova partenza. Del resto lo stesso Ulisse, nell’Odissea, quando arriva a Itaca e parla con Penelope, le preannuncia che altri suoi viaggi sono già in progetto. Ulisse non conosce la meta, non sa quali saranno le difficoltà, ma sa che partirà da Itaca per approdare a nuove Itache perché la vita è un continuo partire e tornare, un continuo progettare e ri/progettare, un continuo andare e rinnovarsi.

Potrei chiudere qui, ma non si può non fare un riferimento ai diversi registri narrativi, all’immaginario, alla dimensione simbolica.

“La Sublime Costruzione” è un libro che sollecita l’ immaginario, l’immaginazione e, spesso, fa sorgere in noi immagini impalpabili, cinestesiche. Immaginiamo i paesaggi nevosi e, in essi, ci  inabissiamo; immaginiamo i silenzi che vengono descritti e abbiamo l’impressione di ascoltarli e così ci capita con le luci e i colori.

La scrittura è sempre molto elegante e ricca anche nei registri narrativi. Si passa da quello drammatico a quello grottesco. Si passa dal registro drammatico a quello grottesco quando viene descritta la corriera bianca che dovrebbe condurre alla “Sublime Costruzione”. Come scrivevo più sopra i reclutatori sembrano personaggi usciti da “Il castello” di Kafka. Incutono timore, fanno sorridere, producono una sensazione di straniamento allo stesso tempo. E quella corriera ci provoca inquietudine come tutte le cose che non possono essere catalogate in qualcosa che le normalizzi.

Ma c’è anche la suspense. Nel capitolo VII, quello intitolato “I due colossi” e che ci ricorda l’episodio di Polifemo del Canto IX dell’Odissea, noi lettori tifiamo per i prigionieri, seguiamo passo passo le loro mosse, ci chiediamo se stiano facendo la cosa giusta per liberarsi o se stiano intrappolandosi ancora di più. Ci domandiamo se e come faranno a liberarsi. Poco importa che sappiamo come termina il Canto VII dell’Odissea.

Esiste, poi, una dimensione simbolica nel senso che alcuni capitoli rimandano a epoche contemporanee, “I sonnivori” agli anni della controcultura, “I due colossi” al culto del corpo degli anni ottanta e così via.

Però, grande pregio del libro, la dimensione simbolica non sovrasta mai quella narrativa.

La accompagna.

Infine, attenzione a come Andrej conclude il prologo:

“A chi vorrà leggerla dico questo: non credete a questa storia, è simbolica, farneticante, totalmente esagerata. Qui, un fiocco di neve si trasformerà subito in una calotta polare e un decennio passerà in un battito di ciglia. Cercate al suo interno, invece, la tracce di una storia comune, che non distingue tra passato e futuro, una storia che ogni volta distrugge  per poi riaccadere di nuovo. Una costruzione infinita, a cui tutti partecipano, eternamente, senza scampo. Una storia folle. Un sogno sublime

Andrej Nikto”  (Pag. 8)

 

 

Lo Scaffale di Andrea: La sublime costruzione
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